Riceviamo e volentieri pubblichiamo
di Angelo Gaja
Le aste acquisirono popolarità in Inghilterra perchè permettevano ai discendenti dell’impero di pagare le tasse ereditarie vendendo beni di famiglia. Il meccanismo era semplice ed efficace: in modo discreto, senza clamori, esso consentiva a soggetti privati di vendere quadri, mobili d’epoca, gioielli ed altre preziosità ad altri soggetti privati oppure anche a negozianti evitando onerosi passaggi sul mercato.
Si continua ancora oggi attraverso le aste a vendere beni di lusso come le bottiglie di vini prestigiosi ed il tartufo; nel frattempo si è però scoperto che, allorché vengono organizzate e gestite in loco, esse possono essere guidate in modo da generare visibilità, immagine e prestigio a vantaggio del “Territorio”. E così il successo dell’asta si misura dalla comunicazione che essa ha saputo generare. Non senza qualche lieve ambiguità, dato che le aste dei beni di lusso sono diventate espressione del consumismo estremo ed attirano l’interesse dei media solo se riescono a scatenare le voglie degli aggiudicatari esibizionisti più esasperati, quelli per i quali la misura e la discrezione sono un optional.
L’effetto esibizionistico viene mitigato dalla veste di beneficenza della quale le aste dei beni di lusso vengono sempre più spesso ammantate. Resta da chiedersi se queste manifestazioni debbano continuare a godere del robusto sostegno di denaro pubblico e se non vada posto un freno alla tentazione di replicarle, anche per altre categorie di beni di lusso.
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