di Antonio Di Spirito
Non è raro che in Sardegna alcuni vitigni autoctoni (cosiddetti minori) siano diffusi in zone molto ristrette e possano fregiarsi di una DOC. Penso al Carignano del Sulcis, alla Malvasia di Bosa, al Moscato di Sorso-Sennori (Ss), al Nasco di Cagliari, al Nuragus di Cagliari, alla Vernaccia di Oristano, e tanti altri.
Invece, altri vitigni molto importanti e diffusi non solo in Sardegna, ad esempio il Cannonau, si avvalgono di un’unica DOC che abbraccia l’intera regione.
In Campania sono state istituite due diverse DOCG (Taburno e Taurasi) per l’Aglianico; ed ulteriori tre DOC (Sannio, Galluccio e Falerno del Massico) prevedono il suo prevalente utilizzo!
In Toscana sono ben cinque le DOCG che prevedono l’utilizzo del Sangiovese ed ulteriori sei DOC per distinguere meglio le caratteristiche organolettiche che quel vitigno offre a seconda del territorio in cui è coltivato.
Ed infine, voglio ricordare il binomio Nebbiolo-Piemonte: nel raggio di pochi chilometri sono ben tre le DOCG (Barolo, Barbaresco e Roero) che identificano il nebbiolo quale vitigno principe per i vini di quei territori.
Si può mai credere che un vitigno offra le stesse qualità organolettiche sull’intero territorio Sardo? Si può, infine, pretendere di uniformarne la coltivazione e le pratiche di cantina per ottenere vini quanto più omogenei possibile, quale che sia la provenienza territoriale? Ma, il concetto di “terroir”, allora, che fine ha fatto? E tutto ciò per permettere alla famosa sommelier inglese, massima esperta di vini derivanti da uve grenache, di identificare con immediatezza se quel Cannonau è sardo e non francese?
Da molti decenni ormai Mamoiada viene considerata una delle località a più elevata vocazione per il cannonau, eppure nulla (sembra) si possa fare per evidenziare la provenienza privilegiata di questi vini.
Intorno al 1880 Mamoiada aveva circa 65 ettari vitati; cento anni dopo, 1985, gli ettari vitati erano 395; sono scesi a 255 nel 2000 e sono risaliti a 286 nel 2011 e molti vigneti, impiantati ad alberello, hanno oltre cinquanta anni..
Nell’immediato dopoguerra il modello di sviluppo adottato fu quello delle cooperazione: la cantina sociale nacque nel 1956. Ma il vino prodotto non riesce ad affermarsi come “vino del territorio”, bensì come “vino di cantina”, termine alquanto dispregiativo. Negli anni ’80 dello scorso secolo si registra il fallimento del modello cooperativistico ed anche in Sardegna arrivano i grandi enologi. Questi ultimi propongono un modello “chiavi in mano”: fanno il vino e lo vendono. Il vino diventa una interpretazione personalizzata dell’enologo, una versione “internazionale” e di facile distribuzione sul mercato. Un vino, insomma, legato alla bravura dell’enologo, non certo al territorio, ancora una volta ignorato
Dal 2000 ad oggi a Mamoiada gli ettari vitati sono diventati trecento; i produttori già presenti sul mercato, per un totale di 250.000 bottiglie, sono sei. Negli ultimi quindici anni lo sviluppo è stato velocissimo, tanto che il modello Mamoiada spesso viene citato come esempio e non solo in Sardegna.
A fine giugno ho assaggiato quasi tutti i Cannonau di Mamoiada, sia quelli di produttori presenti sul mercato ormai da qualche anno (Sedilesu, Montisci, Cabiddu-Fittiloghe, Puggioni, Tramaloni), sia le “nuove leve”, che si stanno affacciando da poco nel mondo del vino, fra i quali Canneddu, Gungui, Perdas Longas, Melchiorre Paddeu. Sicuramente i più rappresentativi erano quelli di Sedilesu (vini di personalità consolidata, sulla breccia ormai da alcuni anni) ed i vini di Montisci (che rispecchiano molto la personalità del produttore: originale e bizzarro, ma con tanta personalità). I vini dei nuovi produttori erano per lo più campioni di botte prodotti nel 2014. E’ prematuro dare dei giudizi, ma l’ottima materia prima ed il filo comune del territorio sono gli elementi che colpiscono con immediatezza.
Sotto la guida della famiglia Sedilesu, la voce più autorevole e di consolidata esperienza nel territorio, si sono uniti tutti i produttori e si stanno definendo aspetti e pianificando azioni per:
- identificare quale sia la migliore forma associativa e creare un organismo che li rappresenti al meglio;
- mettere in comune metodi ed esperienze per definire le migliori pratiche in vigna ed in cantina per migliorare la qualità;
- produrre dei vini che siano tipici ed espressione del territorio;
- creare un marchio territoriale e promuoverlo con determinazione;
- dar luogo ad una serie di manifestazioni per attirare l’attenzione su Mamoiada: concorsi, anteprima, ecc.
La materia prima è ottima ed i numeri sono in crescita: Auguri Mamoiadini e non accontentatevi di una semplice sottozona!
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