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Se questa fosse una storia transalpina sarebbe una storia di predominio del mercato mondiale delle bollicine grazie ad un vitigno dalle qualità uniche nell’universo vitivinicolo, perfette per produrre uno spumante metodo classico (e forse si sarebbe potuto dire champenoise) e sarebbe anche la narrazione di un territorio eccezionale tanto da essere chiamato felix, reso unico e strabiliante dalla alberate alte fino ad oltre venti metri che pettinano il paesaggio.
Se questa fosse una specialità iberica sarebbe la vera novità nel mondo degli spumanti. Un’uva speciale per diventare bollicine, una vite maritata ai pioppi che spinge i suoi tralci su fino al cielo e che solo grazie all’ardimento ed alla perizia di uomini speciali può essere vendemmiata.
La storia è, invece, semplicemente questa. Una tradizione che si perde nella notte dei tempi (forse risalente agli etruschi) fa sorreggere le viti di asprinio non già a dei pali inerti, ma a degli alberi vivi, che crescono e si allungano, portandosi appresso la vite.
Una uva che così Mario Soldati ebbe a decantare: “Non c’è’ bianco al mondo così assolutamente secco come l’Asprinio:nessuno. Perchè anche i più celebri bianchi dell’Alsazia e della Lorena includono sempre, nel loro profumo più o meno intenso e più o meno persistente, una sia pur vaghissima vena dolce. L’Asprinio no. L’Asprinio profuma appena, e quasi di limone: ma, in compenso, è di una secchezza totale, sostanziale, che non lo si può immaginare se non lo si gusta… che grande piccolo vino!”
Ma la piana di Aversa, fino a Villa Literno e poi oltre, non è un paradiso in cui raccontare di eccellenze ed unicità, né è la zona in cui possono diventare eroi delle specie di uomini ragno che arrampicati su scale speciali di venti e più metri si sporgono arrampicati ai tralci per vendemmiare.
E’ un’altra cosa, la piana di Aversa
Alessandro Manna
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