Sulle Strade della Mozzarella. Dopo Maffi e Cauzzi, ora le rimembranze capresi del collega fiorentino Aldo Fiordelli
di Aldo Fiordelli
Permettetemi di chiamare mozzarella la mozzarella. I puristi storceranno il naso, che vuol dire mozzarella senza specificarne il latte. Una treccia forse? E di quale provenienza? Non fraintendete, sono tra i primi a sentirmi svuotato quando leggo che il piatto servito durante i bunga bunga, uno dei preferiti da Berlusconi, è la Caprese.
Io stesso a pentirmi di quei giorni in cui per lavoro sono costretto a nutrirmi con una non meglio precisata mozzarella in un pane al sesamo con pomodoro quattro stagioni (cioè plastificato insapore 365 giorni all’anno) nel bar sotto la redazione. E se ricordo poi di quando quella mia bella amica del liceo da Maria de Filippi ad Amici andò a dire che per esercitarsi a pomiciare coi ragazzi (o con le ragazze a questo punto), usava una mozzarella, non ne parliamo.
La mozzarella attrae il mondo del cabaret e dello spettacolo perché nell’immaginario comune non ha bisogno del bugiardino per essere capita. Poi nell’estate di dieci anni fa in vacanza a Capri sulle tracce di Malaparte e con i consigli del principe Giovene di Girasole, mi ritrovai a ordinare da studente spiantato qual ero una caprese a cena per me e per la mia fidanzata di allora. Lei ha sposato uno più ricco (e più coglione) io ho conservato il ricordo dei sandali fatti a mano che le regalai e soprattutto di una mozzarella profumata e soda.
Era il sapore dell’amore? Certo, ma un sapore che ho ritrovato solo dopo anni, sulla terrazza di un amico, di fronte a una bufala di Paestum servita alla temperatura giusta, intrecciata il giorno prima e anarchica dal suo governo.
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