di Fabrizio Scarpato
Elegante. Di quell’eleganza intima, innata, tutta fatta per sottrazione, nei gesti e nell’apparire. Il chiasso non si addice al Prosecco Extra Dry di Bele Casel. E nemmeno la ruffianeria, ché i sedici grammi di zucchero si appalesano senza sgomitare, quasi inosservati, come una cravatta ben intonata all’abito.
Tutto si gioca sulle sfumature del bianco, già dallo sfumato paglierino attraversato da fili di madreperla: un avorio, brillante di acidità. Bianca è la schiuma fitta e pannosa, che subito si ritrae, con educazione, lasciando fini e bellissime risorgive, a vivacizzare il pizzo raffinato della corona, che rimane intatto nella sua delicatezza. Bianchi sono i fiori e bianche le pesche portate dal vento fino al naso, in una fragranza fresca di lieviti, in cui fa timido capolino la piccola pennellata gialla di giovani susine.
L’amico Enrico sostiene da tempo che le bollicine non esplodono in bocca, anzi implodono e collassando in se stesse garantiscono quella sensazione setosa propria della finezza del bere. Dell’eleganza, appunto, ché l’esplosione è violentemente estroversa, persino aggressiva. Sarà per questo che il sorso è così pieno e appagante, con le bollicine aggrappate che non vanno più via, piccoli, delicati fuochi d’artificio a sfrizzolare delicatamente il palato. Dopo, parecchi istanti dopo, con discrezione si allontanano, lasciando spremute di freschezza e di agrumi, e una stretta finale di pasta frolla, quasi una necessità in tanto dinamismo, un’oasi di esile dolcezza.
Chissà poi se l’eleganza è maschile o femminile: certo è che quella sfumatura di confetto, quella sensazione impalpabile di cipria fanno pensare a una donna, magari con un foulard su una decapottabile anni cinquanta o con un paio di occhiali da sole davanti alla vetrina di Tiffany.