Angelo Pizzi torna a misurarsi con una grande realtà dopo cinque anni. Dalla Cantina del Taburno, dove tra gli anni ’80 e ’90 inventò l’Aglianico, la Falanghina, il Coda di Volpe e il Greco lanciati commercialmente da Nicola Di Girolamo, passa dopo una breve pausa alla Cantina Sociale di Solopaca, una delle portaeree del vino campano i cui silos dominano il paesaggio della parte bassa del comune, nella mitica via Bebiana. Un compito difficile, perché la rivoluzione vitivinicola regionale si è compiuta senza la sua doc storica, quella più famosa a Napoli e ben conosciuta in Italia. La conferma di una verità, se volete, banale: quando si è a lungo in pole, difficilmente si coglie la necessità di cambiare passo, gli altri vengono visti con fastidio e magari osservati con sussiego mentre ti scavano la fossa di cui ti rendi conto solo quando ci sei alla fine caduto. Angelo è stato chiamato dal presidente Massimo Di Carlo, tornato a sedersi su una poltrona che già aveva occupato, sono sue le storiche etichette disegnate da Ro Mercenaro. Sono loro i due piloti a cui tocca rilanciare il Solopaca, le cui migliori interpretazioni al momento sono di aziende più piccole come Santimartini, Venditti, Petrare, Ciabrelli, Torre Gaia. La prima difesa è stata normativa, istituire la zona del «classico», ma nel mondo degli appassionati conta la sostanza e non la forma giuridica ed è servito ben poco dire «questo lo possiamo fare solo noi». Direi anzi che una grande cantina deve sempre favorire la crescita di tante piccole realtà perchè è la diversità la vera ricchezza di un territorio, capace cioè di attrarre gli appassionati nel gioco più bello del vino: comparare, litigare sulle caratteristiche, dividersi sul gusto. Questo segreto è diventato patrimonio commerciale da poco in Campania dove l’osmosi tra grandi e piccoli è stata a lungo impedita da visioni ottuse, visto che nel mercato globale non è il tuo vicino che ti frega la bottiglia, ma John Smith dall’Australia. La Cantina Sociale ha una base buona, parte da vini corretti, come l’Arlata 2004 provata al nuovo ristorantino del centro storico Simposium al termine della Festa dell’Uva giunta alla XXVII edizione e sostenuta stavolta dal progetto InNatura di Artsannio. Freschezza, mineralità, bella struttura: un bianco da spendere, come abbiamo fatto, su salsicce avvolte da foglie di verza, oppure su piatti di mare ben strutturati perché la Falanghina in questo caso è supportata da un leggero passaggio in legno che la rende interessante. La premessa di un gigante che si è svegliato e si sta finalmente stropicciando gli occhi.