In molti si sono chiesti nelle ultime ore come sia possibile che una persona posata come Antonio Starita, un erede di una tradizione come Alessandro Condurro da Michele, il pioniere della pizza di qualità Enzo Coccia e il leader carismatico della nuova pizza napoletana Gino Sorbillo si siano esposti ad una figuraccia come la protesta contro il Museo della Pizza a New York con cartelli in cui c’erano anche scritte asinate che li hanno coperti di ridicolo peggio delle loro argomentazioni.
Beh, vedete, il ragionamento che fanno, o che ha fatto il regista di questa operazione, è che tra due giorni questo polverone sarà passato e nella memoria collettiva dei social resteranno questi quattro nomi come il sale sulla pelle dopo aver fatto il bagno.
Qualcuno si chiederà, ma che logica è mai questa?
Per comprenderla fino in fondo bisogna capire la cornice in cui è maturato questo episodio, come lo smarcamento di Sorbillo sulla pizza di Cracco e come i festeggiamenti anticipati a Capodimonte nei quali il ministro Franceschini che era contrario alla candidatura dell’arte del pizzaiolo all’Unesco fu accolto a braccia aperte dalle sue vittime mentre a Seul ancora si doveva decidere.
Il primo elemento su cui riflettere è che negli ultimi dieci anni sulla categoria dei pizzaioli sta piovendo una pioggia di soldi e di notorietà come mai era accaduto in due secoli e passa di storia. Improvvisamente le telecamere e i social amplificano ogni loro gesto come se fosse il primo passo dell’uomo sulla Luna. Ci sono ormai fortissime aziende specializzate capace di veicolare i like sui social che appagano l’ego del pizzaiolo anche se i like su Facebook valgono come i soldi a Monopoli.
Il secondo elemento da non dimenticare è che come tutte le città che hanno un grande passato, Napoli, come Firenze e Venezia in Italia, è molto autoreferenziale e quindi rispondere ad una logica di informazione locale ha un suo senso prioritario se il tuo mercato quotidiano di riferimento è locale. A New York ridono perché abbiamo scritto hamburgher? E chi se ne frega, qua manco se ne sono accorti o se ne dimenticano.
Il terzo elemento è che il mercato della pizza è diventato spietato e concorrenziale: alle spalle della generazione dei 40-50enni che hanno fatto da apripista ci sono ormai decine e decine di ragazzi di venti-trent’anni che scalpitano, nativi digitali, che vedono una grande possibilità di emergere e diventare famosi in questo mondo. Questa è una cosa bellissima, ma ha completamente fatto saltare gli equilibri perché prima la pizza buona i gastrofighetti la mangiavano in una o due pizzerie (non faccio nomi perché non voglio personalizzare questo ragionamento) mentre il pubblico normale aveva le sue pizzerie di quartiere e i turisti andavano in quelle storiche.
Era raro pensare di spostarsi da un quartiere all’altro per mangiare una pizza.
Ma non è finita. Fino a dieci anni fa la pizza era solo Napoli città. Oggi abbiamo grandissima qualità in provincia, solo a Caserta abbiamo contato 40 pizzerie, a Salerno dove sino a 30 anni fa manco la pizza a pranzo si mangiava ora ce ne sono una decina.
Così alcuni pizzaioli non fanno solo più i pizzaioli ma sono imprenditori con decine di dipendenti, hanno aperto sedi fuori per rispondere alla surmaturazone dell’offerta locale e non sappiamo sino a quando continuerà questo processo.
In questo contesto la via di uscita per molti è la visibilità, fare di tutto per averla ogni giorno costi quel che costi, impostazione che è propria delle culture deboli sul piano mediatico e che ben si sposa sia con la vocazione alla sceneggiata sia con l’esplosione dei social che hanno enfatizzato la possibilità di esprimere il proprio narcisisimo e il proprio ego come come mai è stato possibile sino ad ora. Antico e moderno si fondono in una miscela esplosiva nella comunicazione. Un meccanismo compreso molto bene da Alessandro Condurro sceso in campo nell’agosto 2016 con dei video spacca-like in concomitanza con il lancio di Michele In The World.
Il vecchio “faccimme ammuina” si traduce in quanti like si prendono, in quanti commenti si fanno.
E, purtroppo, questa è l’unica risposta che si riesce a dare alla maturazione dell’offerta perché oggi una buona pizza a Napoli, per dire nella sola Fuorigrotta o al Vomero, la mangi in almeno dieci pizzerie a quartiere. Pizze in grado di competere con le migliori in assoluto.
Lo stiamo vedendo, il centro di interesse non è più sui soliti nomi, ma almeno su una ventina, per non dire trenta se usciamo dalla città.
Ecco, avete presente la corsa a un buffet in mezzo alla folla? Così è la competizione oggi tra i pizzaioli e il buffet è rappresentato dai social, dalle tv, dai media tradizionali, da questo blog, dalle guide, dalle classifiche.
Molti per questa situazione competitiva sono con i nervi a fior di pelle, altri, più volponi, riescono a nascondere tutto dietro una battura simpatica e video carini. Ma la sostanza resta una gara vera e dura, di cui alcuni devono dare conto ai loro investitori che vengono da altri campi e che, a differenza delle gestioni familiari, fanno fare i bilanci ai commercialisti e se i numeri di crescita (badate di crescita) non sono sempre gli stessi iniziano i guai.
A nulla servono gli appelli alla calma fatti dalle associazioni perchè loro stesse sono bypassate: dieci anni fa sarebbe una protesta del genere, ammesso che fosse condivisa, sarebbe stata affidata all’Avpn o all’Apn, non da quattro pizzaioli isolati che sembrano parlare a nome di tutti.
Questa situazione ha molti aspetti positivi, perché il fermento cresce, gli investimenti sono tanti e a trarre vantaggio sono da un lato i clienti, vista la qualità elevata, sia i piccoli produttori agricoli che hanno trovato sbocco ai loro prodotti.
Per natura siamo ottimisti. Vediamo chiaramente che conferenze stampa come quella contro il Museo della Pizza a New York fanno arretrare la simpatia vero il mondo della pizza napoletano che viene letto come composto da Masanielli istintivi, presuntuosi e anche un po’ ignoranti. Proprio come li dipinse la trasmissione Report sulla pizza.
Da allora c’è stato l’ingresso di nuove generazioni che si scambiamo esperienze e segreti e la situazione è stata in continua crescita fino a culminare con il riconoscimento Unesco.
Ma l’eterna lotta tra Ulisse e Polifemo, ragione e istinto primordiale, splendidi traguardi a contraltare figuracce mediatiche fa parte dei cicli storici in cui da sempre è immersa Napoli. Mozzarella e diossina, pomodori e Terra dei Fuochi, Unesco e lotta al museo di New York….
Ci dispiace che persone che dovrebbero essere da esempio, fare da leader di un movimento, rischiano di divorare i loro figli e, alla fine, se stessi.
Sapete chi sta guadagnando terreno in realtà? Coloro che trasmettono solo messaggi positivi, che non sfogano su Facebook, che riescono a raggiungere diversi livelli di interlocuzione, che non esibiscono ansia e concetti aggressivi.
Ma non ci stancheremo mai di fare appello alla ragione, all’associazionismo, all’orgoglio e ai sentimenti buoni che albergano in ciascuno di noi. Nonostante tutto.
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