di Tommaso Esposito
Un sabato mattina in quel di Nusco a pranzo da Antonio Pisaniello, il papà del piccolo Bu, quello della Locanda, ormai cresciuto.
Sono di corsa, come sempre più spesso accade ormai, ma deciso a restare cheto per qualche ora.
A fermare il tempo, che si agita convulso, dinnanzi al tavolo adorno di pani
…e zeppoline profumate, crisciute per le bucce di legumi fermentati.
Candido e nitido desco, di fronte alla parete rossa; un salame Napoli con qualche salsiccia sul tagliere e le bottiglie di vino che ammiccano alla cantina nascosta nel vicoletto dello Spagnuolo, così ricca di sorprese.
Ho trovato il candido Aglianico “Dark Side” di De Conciliis, che prende il nome dal lato oscuro della Luna.
Che si assaggia qui soltanto, a Prignano e poi a New York.
Ecco la polpettina in salsa di peperoni.
Incredibile profumo.
E l’hamburger crudo di podolica con maionese di agrumi.
Emulo di McDonald’s?
Macché. E’ la rivincita del crudo sul cotto.
Soltanto chi ha avuto la nonna e la mamma aduse a manipolare l’impasto delle polpette può comprendere e riconoscere il piacere di questa regressione straussiana: il dito immerso nella polpa di carne tritata e portato alla bocca.
Per dirla con il sommo poeta: “Qui vince la memoria mia lo ‘ngegno”.
Ma eccoci giungere “Sottobosco”.
Non riesco a trovare tra i lemmi della lingua napoletana, quelli che più mi ispirano e mi legano al gusto delle parole, termine analogo.
Il bosco è o Uosco.
I funghi sono e funge.
E Luigi Serio ne lo Vernacchio ci ricorda che: “Li fungetielle e li pesielle dinto lo pasticcio so bbuone ad agghiògnerele grazia, ma non ne fanno la sustanzia.”
Eppure qui è il contrario.
Piatto lavico, tappeto di patate in purea, porcini, tartufi, scarole.
Morbido impasto di pane con pomodoro, verza e cime di felce. Sì la felce.
Ecco il sottobosco.
Forzo la mano?
No le sensazioni sono veramente queste:
“Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.”
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