Rilancio il pezzo sui due grandi cuochi di Vico ospitato su Identità Golose dagli amici Paolo Marchi e Gabriele Zanatta
All’origine c’è Cosentino. No, non vi spaventate: parlo del professoreEnrico Cosentino, inventore dello scialatiello alla Caravella di Amalfi e riferimento di tutti i giovani nati in Penisola Sorrentina e impegnati seriamente ai fornelli. Professore all’alberghiero, dove hanno studiato Antonino Cannavacciuolo e Gennaro Esposito, ma soprattutto maestro di strada, sempre disponibile ad aprire la porta di casa per un consiglio, una indicazione.
C’è questa trasmissione di sapere e di affetti, un po’ umanistica, un po’ meridionale, alla base della grinta e dell’ambizione di questi due grandi cuochi della Nuova cucina italiana, come la definisce Enzo Vizzari, direttore delle Guide dell’Espresso. Si tuffavano in quel mare amato dai ricchi romani come dai decadenti viaggiatori romantici di metà Ottocento, sino a quel grande pervertito di Norman Dougles, affabulato dalla vivacità e dalla vitalità dei guaglioni, neri neri gli occhi e i capelli e magri magri per la fame. Nel fondale roccioso prendevano ricci e patelle e quando risalivano a pelo d’acqua avevano il Vesuvio e la città di Napoli lascivamente adagiata tra il Vomero e Posillipo, la più bella e inimitabile skyline del mondo. E poi, dopo Seiano, la Sorrento degli alberghi e del turismo straniero con gli aliscafi che rombano verso Capri.
E a casa, il Sud che non si conosce, quello dello strutto e del lardo perché l’olio è poco e prezioso, dell’orto, degli allevamenti di capre e di mucche adagiate a pascolare a Punta Campanella come quelle del sole divorate da quegli idioti compagni di Ulisse, straordinaria metafora di amministratori e palazzinari poco lungimiranti che hanno devastato la vicina Castellammare, trasformandola in una grigia piattaforma di cemento che ruba i colori al cielo e al mare.
Nascono qui Antonino e Gennaro, vivono l’adolescenza negli anni Ottanta, quelli difficili e orribili del dopoterremoto in Campania, decisi a cucinare da grande e da grandi. Ci sono riusciti, io credo, e non è retorica maschilista finto-femminista, grazie a Cinzia e Vittoria, la loro santabarbara sempre ben attrezzata di idee e forza per andare avanti con tantissimi sacrifici, continui investimenti e tanto coraggio che nella vita è possibile solo se si ha la giusta persona vicino.
Cinzia, Vittoria, Cosentino, Vico Equense: ecco dove cercare i segreti dei gemelli di Vico e della loro cucina neoclassica, ricca di tecnica, idee e riferimenti alla tradizione, capace di orecchiare le tendenze senza mai diventare caricaturale, attenta all’evolversi di un gusto che oggi è completamente diverso, direi sicuramente migliore da un punto di vista gourmet, assolutamente peggiore per il consumo di massa nel quotidiano rapporto con il cibo, rispetto a quello di vent’anni fa.
Come tutti i grandi creativi, di loro colpisce la rapidità intuitiva e la semplicità. Caratteristiche, a ben vedere, che forse meglio di ogni altra contribuisce a rendere i loro piatti molto identitari e al tempo stesso leggibili anche da chi non ha una conoscenza profonda della tradizione napoletana e italiana. Tra loro sono amici, ed è questo sentimento profondo che li lega il vero piatto da godere nel duetto gastronomico organizzato alla prossima edizione di Identità Milano.
Dai un'occhiata anche a:
- Ciccio Vitiello: la sostenibilità è un modo di vivere, non un obbligo
- Anna Francese Gass: prodotti e semplicità sono la forza della cucina italiana
- L’uomo cucina, la donna nutre – 15 Laila Gramaglia, la lady di ferro del ristorante President a Pompei
- Ci lascia Sandro Brini, per riabbracciare in cielo la figlia Maria Felicia
- L’uomo cucina, la donna nutre – 13 La vera storia di Assunta Pacifico del ristorante ‘A Figlia d’ ‘o Marenaro
- Roberto Canestrini, l’enologo giramondo più esplosivo che ci sia
- Addio a Giovanni Struzziero, il viticoltore silenzioso
- Teresa Mincione, dalla toga al Casavecchia: Nulla è per Caso