Non so se siano state le cose più buone del 2013, sicuramente sono quelle che mi sono venute continuamente in mente in questi mesi e voglio consegnarvele al termine di un anno fantastico andato oltre ogni più rosea previsione.
L’arte della frittura è una delle più antiche: quando non c’erano frigoriferi, l’infernale aggeggio che ha dato la stura all’omologazione, era il sistema più sicuro per mangiare. Nella pizzeria alla Sanità è in assoluto la migliore che abbia sinora mai provato: asciutta, a crosta, semplicemente perfetta. Montanara, crocché, fiori di zucca: vale da sola il viaggio. Ecco un esempio di come la tradizione diventa classico e va a braccetto con creatività e futuro.
Vongole di prima secca di Mauro Uliassi
Questo è davvero un piatto fantastico, cerebrale e di istinto allo stesso tempo. Per chi come me ha sempre vissuto in riva al mare ricorda l’odore degli scogli, la salsedine delle passeggiate sul molo e poi improvvisamente le trasferte parigine. La sintesi di una vita papillosa ottenuta con il frutto di mare a cui le normative europee hanno tolto ogni sapore.
Il riso mantecato della Peca di Lonigo
I piatti ricchi di ingredienti sono sempre un rischio e bisogna essere davvero bravi a farli. Ancora di più se proposto in una cena fuori dal ristorante, al Molino Quaglia per la precisione, che ha notevolmente abbassato la mia idiosincrasia per le cucinate fuori locale. Qui l’idea parte dal divertimento, il famoso risotto allo Champagne della Milano da Bere degli anni ’80 quando si accumulava allegramente il debito che ora stiamo pagando. Usando i lieviti per la spumantizzazione del Durello di un ottimo artigiano del vino, ecco l’equilibrio perfetto con un bilanciamento centrato. E soprattutto finalmente l’uso del curry in modo virtuoso in un piatto italiano. Stupenda acidità con il melone e la stessa burrata. La Peca è poco conosciuta ancora fuori regione, ma quando andate in Veneto non perdetevela mai. Davvero fantastici i fratelli Portinari.
Caccia alla lepre di Massimo Bottura
Lui non poteva mancare, c’è anche la lumaca in vigna da menzionare, la degna conclusione di uno dei pranzi più belli dell’anno nel cuore di Modena, con questo dolce-non dolce a effetto tridimensionale nel quale è impossibile contare le consistenze, con un cucchiaio sempre diverso dall’altro e la sensazione di leggerezza e stupore al tempo stesso che chiude l’esperienza. Bottura in questi anni ha una marcia in più.
Il Coda di Volpe 2006 di Michele Perillo
Lo so, può sembrare snob con le mille e passa bottiglie che provo ogni anno, ma non lo è . Tenuto alla buona nella casa in città e portato per un pranzo estivo con cari amici nel Cilento da Olimpia Lombardo, questo bianco ha semplicemente ribadito l’indiscussa e assoluta superiorità della materia prima del Sud. Un vino secondario, quasi schifato dai produttori irpini perché il mercato ottuso e abitudinario non lo capisce (direi per fortuna ma questa sì che è una affermazione snob), vinificato semplicemente in acciaio e atteso con testardaggine solo da pochi, ha regalato un risultato straordinario a distanza di sette anni. Avrei sfidato volentieri palati più allenati del mio in una degustazione alla cieca con bianchi blasonati irpini ed europei per vedere la reazione. Dunque, non il vino più buono, ma sicuramente quello che mi ha colpito di più.
Voilà, amici cari. Viva l’Italia
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