Anticipazioni Guida Ristoranti Espresso 2010, Vizzari a Licia Granello: Campania prima

Pubblicato in: Polemiche e punti di vista

Riflessioni a margine dell’articolo su Repubblica: cosa sta cambiando in Italia e perché al Sud una volta tanto le cose vanno meglio
Consueta intervista di Ferragosto su Repubblica di Licia Granello al curatore delle Guide Espresso Enzo Vizzari e bella sorpresa aprendo il giornale: la Campania è prima. Tre novità (Il Mosaico a Ischia, Capo La Gala a Vico Equense, Il Comandante a Napoli) su cinque degne di menzione (gli altri sono Matteo Torretta del Savini di Milano e Martin Obermarzoner dello Jasmin di Chiusa in provincia di Bolzano). Ritorno all’antico con spaghetti cacio e pepe di Heinz Beck (il cui motore è carburato dalla moglie e dalle suocera siciliane) come piatto dell’anno e pranzo dell’anno a Villa Crespi da Antonino Cannavacciuolo.
L’ambizione della Guida è raccontare, anno dopo anno, l’Italia che cambia a tavola. Siamo passati in pochi anni dalle richieste di bis con i camerieri che giravano con le zuppiere tra i tavoli alle affannate richieste di mangiare un solo piatto. Non è solo la necessità di meno calorie: è che si mangia proprio di meno.
Nonostante la spinta colonizzatrice del cibo anglosassone prodotto dalle catene alimentari di cui Dario Bressanini è ghiotto oltre che assiduo frequentatore, sostenuta dalle multinazionali e da massicci investimenti pubblicitari, per fortuna il nostro mangiare italiano, anche quando troppo, è fondamentalmente sano e buono, soprattutto al Sud le cui tradizioni sono più impermeabili alle mode e alle tentazioni del momento.
Ma lo stile italiano, quando si esce dalla cerchia dell’alta ristorazione, arranca. In affanno la fascia di mezzo soprattutto, costretta alla concorrenza dall’alto e dal basso, quella dei precotti e del cibo in franchising. Anche i ragazzi che aprono ristoranti gourmet per distinguersi (Il ristoro degli Angeli a Salerno, l’Accartocciato a Cava de’ Tirreni, Il Poeta Vesuviano a Torre, Sud a Quarto, Locanda Severino a Caggiano per citare le ultime aperture) devono stare ben lontani dalle cifre che avrebbero potuto chiedere solo qualche anno fa. Del resto, a pensarci, 35 euro che noi consideriamo economici sono le vecchie 70.000 che io, benché figlio di borghese, vedevo con il cannocchiale sino a quando non ho iniziato a lavorare. Uscire in compagnia significava cacciare 140.000 lire, quasi proibitivo.
Le pizzerie dunque, con qualche primo, ma anche lo stile bistrot come il Mavian in provincia di Benevento. Questo fa tendenza. E questo dovremo raccontare sempre di più perché qualunque sia la forma e il modo, alla fine la differenza la faranno la qualità e la tecnica.
E poi catering e banchettistica di valore costituiscono la nuova frontiera del reddito gastronomico. E anche qui è possibile lavorare alla grande come dimostra InTavola.
In questo contesto la Campania funziona. Devo dire, senza supponenza, tutti noi lo notiamo soprattutto quando si va fuori regione verso il Centro-Nord perché la prima cosa che balza subito al palato partenopeo è la consistenza valoriale della materia prima, una cosa che si capisce immediatamente e che non richiede neanche troppo esercizio essendo qualità ben esercitata da piccoli. Mentre, con il resto del Sud, la materia è la stessa sublime (cazzo eccome se c’è) ma la differenza resta sempre, mediamente abissale, il servizio. La cornice. Dico sempre che i napoletani stanno al cibo come i francesi al vino.

Ma senza entrare troppo nel merito, cioé la tradizione, la formazione cibica metropolitana, le risorse territoriali e la varietà, dobbiamo sottolineare una cosa che Vizzari ben dice nell’intervista: ormai c’è una terza generazione al lavoro. Cosa di cui non si sono accorti quelli che ancora pateticamente si dividono tra filo-alfonsiani e filo-gennarino, per non parlare di vetusti gourmet che mettono sullo stesso piano la ricerca della vera minestra maritata con quella del Santo Graal. Entrambi somigliano a Pansa che ha scoperto dopo 60 anni le violenze partigiane, guarda caso con la destra egemone culturalmente e al potere politicamente, al netto del valore degli accadimenti storici dell’epoca. Insomma, parlano del passato che non ha alcun riverbero con il presente.
Per non parlare delle storie sui conti pagati e non pagati che fanno tanto Ku KluxKlan, gimo gimo gnu gnu, per il fascino culturale delle argomentazioni.
Chi gira il territorio si accorge invece di continue aperture, di chef giovani che osano, di uno stile, un varietale direbbero gli esperti di vino, unico e ben riconoscibile: materia prima appena toccata, al massimo divertita, aggiornamento di tecnica, gioco con la tradizione vissuta come risorsa da innovare e non come protocollo da subire. Diciamo la pastiera scomposta di Scarallo per capirci al volo e tutti.
La Campania è il terreno principe dello scontro tra razionale e irrazionale. Questa dialettica aspra e difficile, capace di regalare le emozioni più forti come mi dice sempre Riccardo Cotarella, ma anche le soddisfazioni più grandi, hanno fatto sì che negli ultimi mesi proprio dalla regione che tanto deve a Vizzari sono partite le peggiori porcate.
Enzo ha avuto la invidiabile forza di restare fermo al piatto, rinunciando a capire come i maggiori beneficiati della critica gastronomica italiana adesso improvvisamente ne parlano come l’impero di Satana in una trasmissione pensata per cameriere discinte e impiegati frustrati.
In realtà è molto facile entrare nel meccanismo mentale degli aggressori alla luce di questa analisi: spuntando sulla scena la terza generazione, alcuni della prima e alcuni della seconda, uniti prima dall’odio ora dalla vista piccola, invece di governare il processo di crescita ne hanno avuto paura e si sono lanciati della consueta tecnica di demonizzare e distruggere. Sono ben noti i partitori dilettanti utili idioti e i presunti giornalisti professionisti che hanno scritto la balbuziente scenografia scimmiesca. Pensavano di lavorare per qualcuno, in realtà hanno operato contro la Campania.
Anche questo atteggiamento patetico, perché il corso biologico delle cose è inarrestabile e se tu sei stato il primo devi essere contento che dietro ce ne sono altri cento, di cui magari 80 anche più bravi. Perché, alla fine, sarai stato sempre il primo sul piano storico.
Vale per il cibo, per il vino, per tutto: ci vuole tanto a capire questa regola e vedere il futuro come opportunità anche se non si è più gli unici protagonisti?
Tutto qua. Dalla tradizione cetarese, allo straordinario Andrea Aprea del Comandante, la Campania vive davvero il suo momento magico, il migliore di sempre. Lo testimonia la vivacità delle associazioni (Ais, Slow Food e tante tante altre) e, mi si consenta, anche della rete. Finalmente in questi ultimi sei anni una scuola di narratori e degustatori si è affacciata sulla scena, giovani preparati come i loro coetanei enologi e chef. Una massa critica reale e virtuale di una ventina di ragazzi che sta operando nonostante tutte le difficoltà e le contraddizioni quotidiane e che stimo profondamente perché non hanno le sicurezze granitiche che avevamo noi alla loro età.
Il futuro si può scrivere, a patto che gli amministratori locali la smettano di vessare e rapinare chi produce.


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