Antichi Coloni a Paternopoli, un’altra perla nel filare dell’aglianico di montagna

Pubblicato in: Giro di vite

di Annito Abate

La campagna in primavera è davvero terapeutica, non fa più tanto freddo e non fa ancora caldo, l’aria è tersa e fa risaltare i colori; a volte, un piacevole venticello è una carezza sul volto, fa “suonare” la natura e porta con se i profumi della stagione della rinascita.

E’ un po’ di tempo che non vado in tour con il prof. N, decidiamo allora di rubare un “pomeriggio terapeutico” per visitare qualche campo di “broccoli aprilatici”, quelli Paternesi, primo Presidio Slow Food della Provincia di Avellino e gli “Antichi Coloni”, Azienda vitivinicola emergente della Verde Irpinia, un’altra perla che si aggiunge al filare dell’areale di Paternopoli.

Il Borgo Irpino non è solo celebre per la sua più che secolare vocazione orticola, ma anche per gli uliveti ed i vigneti che si adagiano, bellissimi, tra i colli e le valli; qui tutto cambia da zona a zona, anche a pochissima distanza, il paesaggio muta i dislivelli ed i colori, differenti sono le tessiture dei suoli, così come i relativi microclimi.

Non è un caso che gli antichi “Pater” (giovani di buona famiglia che avevano abbandonato gli agi della vita urbana in favore di una vita semplice fatta di preghiera e meditazione) avevano scelto di vivere in questo luogo.

Qui c’è pace tra gli ulivi!

Attraversiamo il Paese da nord, un bel sole primaverile ci accompagna, incrociamo pochi passanti e qualche trattore che proviene dai campi; località Piano del Bosco, poi una lunga discesa ai cui lati si susseguono paesaggi agrari mozzafiato, una serie di fotogrammi, ognuno dei quali sembra un quadro impressionista.

Lungo la strada collinare arriviamo a “Contrada Salici”; tra i rami degli alberi si staglia in lontananza la nostra meta.

I lunghi filari di viti risalgono ordinati la collina a pettinarne l’interno versante, l’occhio si ferma sulle costruzioni in vetta, quelle dell’Azienda Agricola che dobbiamo raggiungere.

Un tempo, forse, qui c’era un unico fondo che comprendeva coltivazioni e, probabilmente, una Villa in cima al colle, alla quale si accedeva per un lungo viale che ne tagliava la sua massima pendenza; ipotizziamo che l’antica costruzione, oggi scomparsa, era la dimora del “Signorotto” che controllava le sue terre, i suoi “Coloni” ed i suoi prodotti.

A testimonianza della probabile origine della zona, due leoni di pietra giacciono ancora immobili sulle colonne, elementi in cui, un tempo, doveva essere incardinato il cancello.

Oggi la proprietà risulta evidentemente frazionata e gli accessi si sono moltiplicati, senza però perderne l’antica direzione.

L’Azienda vitivinicola occupa solo una porzione dell’intero Colle, la sua parte rivolta ad est, dove sono ubicati i vigneti di proprietà, circa 2 ettari, ed altri terreni con ulivi ed alberi da frutta.

Imbocchiamo una stradina che taglia il rilievo e, scendendo e poi risalendo, forma una sorta di arco che porta dritto all’Azienda Vitivinicola, l’aia è contornata da tre edifici: una casa nuova, la cantina di produzione e l’originaria costruzione in pietra; Raffaele Santoro, il proprietario, ci sta aspettando con un sorriso.

 

La storia della Cantina comincia con il bisnonno di Raffaele, antico colono della zona da cui, appunto, ne deriva il nome. Il logo evidenzia due lettere intrecciate; nella “A” è inserita la ruota di un carro, simbolo della cultura contadina: «Ricordo che mio nonno ne aveva due sul muro principale» dice il Vigneron che ha voglia di raccontarmi la storia della sua famiglia; «le ruote, in seguito sono state sostituite da quelle in ferro, le prime damigiane di vino, portate per la vendita in altri paesi, hanno viaggiato su quel carro». Le due grandi ruote oggi campeggiano ai lati dell’aia a formare altri elementi scenici nella prospettiva dell’ingresso.

Mentre camminiamo il vignaiolo ci mostra la vecchia casa del bisnonno, un tempo intonacata (i rivestimenti in pietra davano l’impressione di non aver potuto completare la costruzione) e poi “capitozzata” dal terremoto: «ho riportato a vista l’antica tessitura in pietra e sto facendo qui la bottaia ed una saletta di degustazione, mi sono costruito anche le sedie, ricavate dai tonneau che non uso più».

Fino a pochi anni fa i Santoro conferivano le loro uve ai “Feudi di San Gregorio” ed il nonno di Raffaele aveva un usufrutto dal padre.

 

I tre vigneti di proprietà, poco meno di due ettari, assecondano il terreno e sono distribuiti intorno alle tre costruzioni che costituiscono una “cerniera” per la logistica della loro lavorazione ma anche un limite che divide le varie tessiture del sottosuolo.

Le tre vigne, infatti, sebbene vicinissime, hanno tre differenti tipologie di terreno e tre microclimi diversi, fattori che influiscono molto sul carattere dei tre vini prodotti.

Il primo vigneto è posto a valle della Casa, il terreno è argilloso ed in primavera si indurisce molto, pertanto, si decide, ogni anno, di effettuare una fresatura ed un leggero scasso per muovere le zolle ed aiutare il deflusso delle acque e la corretta traspirazione; qui la raccolta avviene a fine ottobre, un poco prima rispetto agli altri due campi, anche perché, a causa dell’esposizione, si raggiunge la maturazione voluta con qualche giorno di anticipo. Da queste uve si ricava soprattutto l’IGT.

Il secondo vigneto è la prosecuzione ideale del primo, e si colloca a monte dell’abitazione dove il terreno conserva una componente argillosa ma ne aggiunge anche una calcarea, a granulometria piccola e media, una sorta di pietrisco mischiato ai sedimenti più fini; qui si vendemmia nella prima decade di novembre e da queste uve si ottiene la DOC.

Il terzo vigneto regna sovrano sopra gli altri, cambia esposizione ed il sottosuolo è composto da calcare a granulometria grande, praticamente roccia; il vigneto rimane “intonso” in quanto il suolo non subisce movimenti ed in primavera diventa l’habitat per l’attecchimento di diverse specie di fiori ed erbe che la natura stessa cura per tenere compagnia alle viti durante il loro risveglio vegetativo; da queste uve si ottiene solo la DOCG.

Questa “tripartizione” e quest’ordine naturale, Raffaele Santoro ed il suo giovane enologo Massimiliano Spina, li hanno voluti conservare, portandone lo spirito anche nelle varie fasi di vinificazione, soprattutto quelle di maturazione ed affinamento; si mantiene inalterato il carattere dei vini prodotti, rimarcandolo anche nel progetto grafico delle etichette.

Tre tostature diverse per la barrique, due dalla Francia ed una dall’America per far riposare il vino e poi assemblarlo per l’affinamento delle bottiglie IGT, a quelle della DOC si aggiunge anche un passaggio in tonneau; per il Taurasi, invece, solo cura a legno più grande, tonneau di rovere francese.

Finito il giro in campagna, si torna a casa per raccogliere i “frutti”: degustiamo il racconto di una terra e degli uomini che la lavorano con passione.

Antichi Coloni, Vinicius IGT 2011: un “rischio” che l’Azienda ha voluto correre, uscendo quasi nello stesso anno di produzione, mitigato dalla pronta beva riscontrata. Aglianico in purezza, i tempi di maturazione ed affinamento sono stati leggermente abbreviati, 4 mesi in barrique di primo passaggio e sei mesi in bottiglia. Al colore si presenta di un rosso rubino vivacissimo che preannuncia un naso ricco di frutto; una bella nota balsamica arricchisce piacevolmente i profumi e ritorna in bocca accompagnando i tannini, la cui spiccata presenza fa pensare che il cammino del vino è ancora lungo. 2.000 le bottiglie prodotte. Vinicius, dal latino è semplicemente “il vino” ma vuol dire anche “amico del vino”; sull’etichetta, stilizzate immagini evocative di musica ed amicizia. «Ho voluto produrre il vino che faceva mio nonno», racconta Raffaele mentre stappa la sua seconda “creatura”.

Antichi Coloni, Natu Maior DOC 2008: aglianico 100%, alla sua prima annata di produzione, come dice il nome è, infatti, il “primogenito” della Cantina, carattere preciso, spiccata personalità … elegante! Vendemmia ritardata alla prima decade di novembre, fermentazione lunga, colore molto vivo ed un insieme di profumi più complesso ed integrato; nel bicchiere è presente tutto il tempo trascorso nel “sonno dei giusti”, 12 mesi acciaio (gli ha fatto un gran bene), 12 mesi in legni differenti e sei mesi in bottiglia, il tutto al momento della messa in commercio calcolato dal marzo della vendemmia. Mentre lo beviamo penso che è passato un anno e mezzo in più, tempo che ha agito sulla composizione generale del vino e come un falegname sul suo ciocco, trovando tannini molto ben levigati ed un legno che non agisce più come un genitore che tenta di raddrizzare la schiena del figlio. In etichetta, l’evocazione del legame iniziale con il “nettare di bacco”: tratto bianco su fondo nero, figure equestri “tirano” idealmente il carro dell’antico colono.

Antichi Coloni, Centaurus DOCG 2008: anche per questo vino, un Taurasi, è la sua prima annata, in qualità di “secondogenito” ma non di “figlio cadetto”, degustiamo la bottiglia n°211 di 449. Sarà il terroir, o chissà cos’altro, so anche che la naturalità è un indicatore fondamentale, so, quindi, che è qualcosa di non voluto ma, alla cieca, si potrebbe affermare che nel bicchiere vi sia una qualche “espressione” francese: pénétrabilité, délicatesse, élégance.

Il vigneron pretende un cambio di bicchiere, non per  i residui di liquido idroalcolico, ma per proporre un esperimento sensoriale che ha già compiuto con buoni risultati. Ci presenta dei calici molto ampi, dei “balloon” richiusi i sommità, che effettivamente fanno percepire il vino in maniera differente rispetto a quelli utilizzati in precedenza (ovviamente abbiamo fatto un confronto). Il vino si fa attraversare bene dalla luce, ha un profumo intenso, è complesso ed abbastanza persistente.

Sulla dominante dorata dell’etichetta un’altra evocazione del vigneron, doppia interpretazione tra il simbolo del suo segno zodiacale, un centauro, appunto, e la potenza del “taurus”, un’immagine “classica” che la Cantina vuole trasmettere.

Un’ultima chicca prima di andare via, un esperimento in “bianco” fatto con alcuni ceppi di Coda di Volpe. Non c’è che dire, un bel vino che porta bene i suoi anni (vendemmia 2008); prodotto solo in 700 esemplari, ne restano, attualmente, circa 200 bottiglie e le piante sono state tagliate per far posto al vitigno rosso. Bisogna affrettarsi! «In molti mi hanno chiesto di degustarlo, ora si arrabbieranno perché con te è successo!», mi dice il vignaiolo ed alla mia domanda risponde: «Si, stiamo pensando di rifarlo e metterlo in catalogo, ci sono i ceppi di mia zia che non abbiamo tagliato».

Ci salutiamo che ormai le ombre si sono allungate, abbiamo un appuntamento negli orti, ci diciamo arrivederci all’inaugurazione della bottaia. Prima di partire Raffaele Santoro mi chiede: «Dei tre quale è il tuo preferito?», io, sull’onda emozionale, rispondo: «Tra i tre “figli” sceglierei il primogenito per andare a pescare!»

 

AZIENDA – VITIGNO – VINO

Cantina: Antichi Coloni

Vigneron: Raffaele Santoro

Enologo: Massimiliano Spina

Sede: Contrada Salici, Paternopoli

Contatti: cell. 3472563997 ed Email info@antichicoloni.com

Sito web: www.antichicoloni.com

Ettari di proprietà: 2

Ettari vitati: 1,70

Anno di impianto: 2004

Vitigni: Aglianico

Vigna: Paternopoli (AV)

Composizione del terreno: argilloso calcareo e pietrisco in tessiture miste

Sistema di allevamento: cordone speronato

Densità di impianto: 4.000 ceppi /ha

Produzione per ettaro: 60÷70 quintali

Altitudine: 450÷490 metri s.l.m.

Prima vinificazione: 2008

Fermentazione e maturazione vino: acciaio e legni diversi

Fascia di prezzo dei vini:

– Vinicius IGT da 7 a 10 euro

– Natu Maior DOC da 10 a 15 euro

– Centaurus DOCG da 30 a 35 euro

 


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