di Giulia Gavagnin
Trattoria è sinonimo di cucina regionale meno sofisticata possibile, di focolare domestico contrapposto alle gerarchie del grande ristorante, di condivisione di cibo inteso come memoria e veicolo di calore umano. Gli italiani sempre più dichiarano di amare le trattorie perché le avvertono come domicilio delle loro radici, ma di questi luoghi dell’anima –di fatto- ne esistono assai pochi, e gli sparuti di cui talvolta parliamo custodiscono storie di famiglie, di generazioni, di ricette condivise, di civiltà scomparse che o già esistono o non si possono improvvisare.
Giovanni Scapin detto “Doro”, dal nome dell’omonima trattoria a Solagna, provincia di Vicenza, nonché diminutivo del padre Isidoro che per primo nel 1948 avviò l’insegna, è fuor di ogni dubbio uno dei più rappresentativi osti cucinieri d’Italia, di quelli che mettono tutti d’accordo sulla genuinità del personaggio.
Di se stesso dice che è l’antitesi di uno chef stellato perché il piatto non deve essere instagrammabile ma buono, che è buono se è lavorato il meno possibile, che se è lavorato il meno possibile è leggero, che se è leggero favorisce la serena condivisione di un pasto completo.
E’ diretto come gli abitanti di queste zone di ascendenze longobarde sanno essere (Solagna è un borgo antico che nell’Alto Medioevo il re Berengario I d’Italia cedette all’Arcivescovo di Padova), se gli stai a genio a fine pasto si siede a bere “un’ombra” con te, se non gli piaci non le manda a dire.
Siamo ai piedi del Monte Grappa e sotto il paese scorre il fiume Brenta. E’ un luogo ideale per biodiversità e prodotti DOP: Asiago non è troppo distante, vicino c’è il presidio del Morlacco del Grappa, c’è il poco conosciuto olio extravergine di Pove del Grappa e ancora, razze bovine autoctone, prodotti ittici del fiume Brenta, miele di malga. Senza dimenticare che i giovani vignaioli vicentini stanno elevando a nobiltà vitigni come la garganega e la vespaiola.
E’ il retroterra ideale per una grande trattoria, se gli ingredienti vi sono tutti: materie prime, ricette regionali, tradizione familiare ed ancestrale e un pizzico di follia dettato dal genius loci.
L’ambiente aiuta: la trattoria è in un antico palazzetto in stile veneziano, nell’anticamera un’osteria di recente apertura con un centinaio di etichette artigianali e un vecchio giradischi che testimonia lo spiritaccio jazz-rock di Scapin, al bancone il nipote Serse che serve anche in sala, qualche “cicchetto” espresso, polpettine, animelle fritte, baccalà.
La sala da pranzo, volutamente retrò e un poco fanè, tovaglie bianche, sedie di legno scuro, varia chincaglieria da rigattiere, ci riporta all’epoca del boom, dopo la quale secondo l’oste qualcosa è andato storto.
E allora ci pensa lui a raddrizzare il tempo e l’animo, con un menu stampato giornalmente su un anonimo foglietto, alcuni piatti inamovibili, altri che seguono il corso delle stagioni, con pesci di fiume e volatili a far la parte del leone e una naturale inclinazione ai risotti in una terra di riso e farina, gnocchi e pasta fresca.
Così, non mancherà mai l’aringa in bellavista con composta di cipolle rosse e il suo omologo, il “fuà gra’” locale, patè di fegati morbido con pane alle uvette; la zuppa di cipolle all’erborinato perché “la Francia ce l’abbiamo noi”; il baccalà; le lumache al verde e polenta rustica, e quando ci sono le imperdibili trotine fritte del Brenta, non sempre disponibili per via di pezzatura.
Poi, inizia la declinazione di risotti, baccalà, funghi, topinambur, zucca e rosmarino, l’immancabile trota, e le altrettanto immancabili tagliatelle di casa con ragù vari, e i gargati, maccheroncini del vicentino al torchio (“torcio”) che veniva un tempo condita con il “gargarozzo”, l’esofago e altre derivazioni del quinto quarto. A seguire, fegato di coniglio in agrodolce, costata, pollo in bellavista, trota al forno e in panino, e quanto di meglio può offrire il mercato.
A fine pasto Giovanni chiede sempre come va la digestione, perché la digeribilità per lui è tutto.
Lo fa apposta, così se gli siete andati a genio, a fine servizio si siederà a bere un’ombra con voi, e intanto la bottiglia se ne sarà andata, nella migliore tradizione veneta.
Antica Trattoria Da Doro a Solagna
Via Ferracina, 38
Tel. 0424-816026
Sempre aperto
Lunedì e martedì chiuso
Anche asporto
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