di Claudio Tenuta
Non è facile dopo una lunga e intensa settimana lavorativa decidere per la domenica mattina di puntare la sveglia alle 8,00 spaccate per riuscire a raggiungere alle 10,00 l’Antica Masseria Venditti alla scoperta teorica e soprattutto pratica della potatura a secco organizzata da Slow Wine Campania, ma chi conosce il buon Nicola Venditti sa che queste sono occasioni da non farsi perdere.
L’arrivo in Masseria è con qualche minuto di ritardo, ma cerchiamo di non farci notare e seguire le direttive per compiere al meglio le operazioni nel vigneto didattico realizzato nel 2005 con ciascun filare dedicato ad uno dei vini aziendali, un veloce assaggio di biscottini ritempranti fatti in casa, dopo il viaggio da Napoli e subito immersi in vigna a piccoli gruppetti con il proprio “tutor-potatore”.
Io, con la sindrome del protagonista, mi sono naturalmente affiancato per l’occasione all’enologo aziendale, Venditti in persona, con tutte le conseguenze del caso, perchè ad ogni pianta la trasmissioni di informazioni teoriche e pratiche era talmente ricca e variegata che la mia potatura e quella dei miei compagni di passeggiata era a dir poco certosina, con conseguente burla degli altri gruppi, che quando noi eravamo a metà filare loro già erano alla fine del secondo.
Non è facile trasmettere le informazioni ricevute soprattutto per non tediare la lettura di questo veloce resoconto di giornata soprattuttto conviviale, ma ciò che mi è rimasto dentro è il grande rispetto che si deve portare ad ogni singola pianta e la chiarezza sul progetto enologico che si vuole realizzare in vigna, perchè è solo da quello che può partire una potatura a secco il più possibile indirizzata alla qualità dell’uva che inizierà concretamente a prodursi solo in Primavera.
Dopo due ore piacevolissime di lavoro, chiacchiere, lezioni di agronomia spicciola e foto, si ritorna in gruppo sotto il porticato a confrontarci un pò con la storia aziendale ma anche con le tante contraddizioni della viticoltura campana, con i suoi disciplinari spesso imposti da pochi ai molti, spesso poco aderenti al territorio, troppo spesso obsoleti rispetto agli obiettivi di qualità cui la nostra Regione grazie a produttori illuminati sta finalmente raggiungendo negli ultimi decenni con riconoscimenti anche fuori dei confini nazionali, per poi concludere con un veloce giro in cantina.
Ecco finalmente, per i più famelici, l’inizio della seconda parte della giornata, quella da vivere al caldo del focolaio domestico, tutti insieme come in una famiglia allargata a confrontarci amichevolmente su cucina, abbinamenti, tradizioni culinarie tramandate di madre in figlia e per noi napoletani-cittadini circondati da cemento ad immergerci in un mondo nuovo e profondamente radicato alla terra.
La partenza è senza fiato: Strupp’l, cioè paste cresciute con uovo, fritte in olio da gustare fredde magari, per i più audaci, ripiene di caciocavallo e capocollo locale in perfetto abbinamento con la Falanghina Vàndari 2011: polposa, fresca, sapida e con un finale dal floreale dolce tanto gradito da alcune commensali del gentil sesso.
Si prosegue con bruschetta con olio extravergine Racioppella Venditti e petto d’oca allevata in loco, sublime nel gioco dolce-salato, il cavolo verza ripieno di pane, uova e prosciutto di grande complessità che abbiamo abbinato al Bacalàt, uvaggio più sottile ed elegante tra Falanghina, Grieco di Castevenere e Cerreto che esalta anche la zucca appena marina, aromatica e callosa al punto giusto.
Quindi è il momento della polenta con broccoli selvatici raccolti ai piedi della vigna, non didattica, dal gusto delicato e ammansuito dalla farina di mais che ancora il Bacalàt 2011 riesce ad esaltare al meglio, il rullo di tamburi apre il sipario tra due interpretazioni di “Scarpella”, la pasta dell’ultimo di Carnevale a Castelvenere e non solo, quella di Donna Lorenza, moglie di Venditti, che utilizza ziti spezzati e amalgama insieme uova, pecorino, parmigiano, residui di insaccati, prima della gratinatura in forno, in concorrenza con la versione modernista di Pasquale Carlo, referente di Slow Wine Sannio e giornalista di Ottopagine BN, nella quale la pasta è i perciati sanniti, il trito di formaggi e salumi non è amalgamato ma inserito al centro della pasta saltata solo con uovo e yogurt, dare un vincitore non è possibile per manifesta incapacità!!!
Tutti al tavolo ci guardiamo negli occhi straniti dall’abbinamento con la Barbetta 2010 spillata dalla botte di acciaio e invece il silenzio generale si trasforma in euforia perchè questa Barbera autoctona riesce con la sua vinosità, quel frutto carnale e una acidità irritante a maritarsi indissolubilmente alla perfezione con la pasta dalla tendenza dolce e speziata!
E’ l’ora del pezzo forte: l’abbuoto, interiora di agnello sapientemente preparati e rosolati in padella, un’estasi per gli amanti delle interiora, con in aggiunta dei morbidissimi bocconcini di maiale in agro con papaccelle di orto e scarola liscia, si stappa il Bosco Caldaia 2007, molto più fuso in tutte le sue parti ma per me meno appagante della Barbetta, perchè meno profondo e persistente, ma godurioso vino quotidiano.
Il salato non può giungere al termine senza dei piccoli piatti di coccio con della trippa in umido fumante, delicatissima quanto appagante al quale diventa d’obbligo lo stappo dell’Aglianico Marraioli 2008, un sorso nella sua massima espressività territoriale, un Aglianico puro, duro ma privo di ostentazione alcuna.
Si chiude in un apoteosi di dolcezza: cassatine dell’Antica Pasticceria Borrillo di San Marco dei Cavoti, 100 anni di storia, Nocchetelle, ovvero le chiacchiere in versione light sannita il tutto annaffiato dal millesimo 2001 di Liquore alle noci, una chicca da stappare in rare occasioni, un liquore non liquore una sorta di premuta di noci macerate in alcol, leggerissimo!!
Poco altro da aggiungere al report, un grazie a chi ha saputo trasformare una domenica cittadina in una piacevole giornata campestre tra amici.
Qui le foto del resto della giornata
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