Grande qualità dei vini, ottima organizzazione, un po’ di confusione tra i produttori
(a seguire i commenti)
La mia esperienza taurasina si è chiusa domenica sera con il seminario organizzato da Antonio Del Franco, responsabile regionale Ais, a cui hanno partecipato Enzo Ricciardi, mitica figura del vino campano, dirigente nazionale Ais e titolare con il figlio Marco dell’Enoteca La Botte a Casagiove, e Nicoletta Gargiulo, fresca vincitrice del titolo italiano di sommelier dell’anno: segno, anche questo, della grande vivacità della Campania in questi anni. La discussione, svolta nelle affascinanti sale del Castello, ha messo sul tappeto alcuni problemi che vale la pena di sviscerare sul futuro produttivo della docg perché al centro degli interventi c’era proprio il problema del posizionamento del Taurasi nelle carte dei vini dei ristoranti. L’occasione per trasferirvi le mie impressioni sulla tre giorni.
L’organizzazione
Anno dopo anno la squadra si è collaudata e consolidata. Non è stato facile intervallare i tre livelli: lo specialistico della stampa di settore ampiamente rappresentata, quello per gli operatori e agli appassionati e, infine, il coinvolgimento del paese. La divisione in due poli della manifestazione, cioé il Castello e il Convento, gli altri anni ancora in restauro, ha funzionato in pieno e non è stato possibile cogliere una sola critica. Ci sono, è vero, difficoltà logistiche nella ricettività, perché il territorio non è ancora pronto ad impattare un così altro numero di visitatori qualificati, ma la situazione sta migliorando ogni edizione. Tutto ha funzionato senza nessuna sbavatura grazie all’impegno, bisogna sottolinearlo, anche di alto contenuto volontario di tanti giovani sommelier oltre che degli stessi organizzatori. Voglio, un atto dovuto e sentito, spendere due parole di elogio agli amministratori, il presidente della Comuntà Montana Nicola di Iorio e il sindaco Antonio Buono, due autentici innamorati del loro territorio che sanno mettersi in gioco in modo rischioso ed esaltante in questo avvenimento nazionale senza limitarsi a fare sagre e sagrette, a differenza della stragrande maggioranza dei loro colleghi che sperperano fondi europei in cose inimmaginabili, quando sanno intercettarli. Entrambi spendono energia e credibilità sul mercato nazionale mentre il loro, quello dei voti e del consenso, è locale: ma per fortuna hanno la vista lunga e quando, mi auguro il più tardi possibile perchè sono giovani, il loro ciclo sarà esaurito, lasceranno un paese completamente trasformato, rinnovato e conosciuto mentre sino a dieci anni fa Taurasi era solo una entità geografica, un prodotto senza riferimento territoriale, a differenza di Barolo e di Montalcino. Ottima dunque la presenza di stampa specializzata e di settore rappresentata ai massimi livelli, bisognerà lavorare su quella generalista e sul coinvolgimento dei ristoratori straordinariamente e incredibilmente assenti quando, se facessero seriamente il loro lavoro, dovrebbero pagare per essere presenti ad un avvenimento che coinvolge gran parte dei conti che presentano ai loro clienti. Manca anche un po’ del fru fru mondano che si trova invece a Montalcino e che non guasta mai per alleggerire un evento e farne parlare in ambienti diversi.
La ristorazione
E’ stata l’edizione della simpatica Lina Martone che con il marito Giovanni gestisce il Megaron a Paternopoli. Sua la cena a Palazzo Rospigliosi a Roma, come pure quella ufficiale di venerdì oltre ad un pranzo per un educational tour di domenica. Una cucina semplice, senza fronzoli, che corona anni e anni di sacrifici e passione, conoscenza del territorio e delle materie prime, essenzialità dei modi. Un riferimento gastronomico per chi viene a Taurasi.
Il vino
Entriamo adesso nel cuore della questio. Il Taurasi davvero ha fatto mediamente passi da gigante a partire dal 1998: ci sono, certo, incidenti in cantina, ma le puzze della prima edizione pioneristica sono ormai sono un lontano ricordo, del resto i migliori enologi campani e italiani sono impegnati sul territorio e il livello medio è davvero alto oltre che interessante. Non vedo neanche rischio di omologazione perché le interpretazioni sono diverse fra loro, come diversi gli areali e i terreni, certo, qualcuno cerca qualche scorciatoia verso la piacevolezza ma non credo potrà andare lontano perché lampone e fragole non rientrano nei descrittori di un rosso autero e complesso e il mercato finirà per punire quelli che pensano di interpretarlo in questo modo caricaturale. La 2004 è stata davvero una grande annata e alcuni campioni, cito il Vigna Andrea di Colli di Lapio, il Santa Vara de La Molara, il Taurasi de I Capitani e di Perillo, il Naturalis Historia di Mastroberardino, il Macchia dei Goti di Caggiano, il Vigna Cinque Querce di Molettieri, faranno molto parlare nei prossimi anni. Il Taurasi, lo ha ricordato Nicoletta, non è facile da proporre perché gli americani, e soprattutto i francesi, sono abituati alla morbidezza come valore esiziale nel bicchiere: la brava sommelier lo ha definito un vino monovalente, ossia abbinabile solo a certi piatti non precisamente in voga nell’alta ristorazione in questo momento. Questo significa che va imposto come tipologia a se stante, capace di per se di attrarre l’appassionato.
La produzione
Il Taurasi si colloca infatti nella fascia alta dei vini italiani, la sua scelta in una carta è impegnativa per chi la fa e questo impone alcuni correttivi. I produttori devono cioé lavorare in estensione e in profondità. Non esistono grandi vini se non c’è la possibilità per gli appassionati di fare le differenze fra le zone e le annate. Finchè il Taurasi non avrà cru e vendemmie da raccontare resterà sempre sull’uscio della porta del club dei grandi vini italiani e mondiali.
a-Una visione orizzontale
E’ necessaria una immediata zonazione e mappatura dell’areale della docg. Penso che questa sia al momento l’esigenza più urgente nel settore della ricerca, il compito più importante che attende gli amministratori e le aziende perché è il terreno che fa la differenza per creare la caratterizzazione della bottiglia necessaria ad un alto standard del vino. Sinora si è proceduto a tentoni, sulla base dell’esperienza o di ricerche individuali affidate a qualche specialista, ma non esiste ancora una dimensione scientifica a cui attingere per decidere dove e cosa piantare.
b-Una visione verticale
Vi sembrerà incredibile, ma non esiste nelle aziende, tranne Mastroberardino, un archivio ragionato e organizzato commercialmente delle annate. I produttori tendono a vendere tutto, giudicano un colpo di fortuna poter piazzare le ultime mille bottiglie su una pedana per gli Usa e non capiscono che così facendo stracciano l’album di famiglia, si negano la possibilità di esistere, essere raccontati e descritti. Questo perché l’humus culturale del territorio è ancora esclusivamente contadino e poco commerciale: da un lato offre ai curiosi aspetti naif e autentici, dall’altro però rischia di creare gravi danni all’immagine del prodotto e dunque all’economia dell’areale. Il Taurasi è un vino che si può conservare minimo dieci anni senza neanche pensarci: solo adesso è giusto stappare senza rimorsi infanticidi il 1998 o il 1999 per capirci.
Il commercio
Dunque bisogna evitare di inseguire la domanda obbedendo ai ristoratori e ai commercianti poco colti che chiedono alla stessa piccola azienda la gamma completa, Taurasi, Aglianico, Fiano, Greco e Falanghina, impegnarsi a fare i prezzi a seconda della qualità delle annate, costruire e mantenere l’archivio. Sarebbe opportuno che ciascuno si concentri su quello che l’esperienza e le dimensioni dei suoi terreni possono offrire. Questo valorizzerebbe di molto il prodotto principe come pure quello di ricaduta. Fiano e Greco possono esistere seriamente nella offerta aziendale solo se presenti come sfizio, curiosità, o se prodotti con uve proprie. Discorso diverso, ovviamente, per le grandi realtà.
Conclusione
Archiviamo dunque una edizione che segna un ulteriore passo in avanti del Taurasi, crescono ancora le aziende impegnate a vinificare, si rafforza la consapevolezza del territorio. Sinceramente, quando ho iniziato a scrivere di vino mai avrei potuto immaginare che in così poco tempo una campagna depressa, indebolita e immobile avrebbe potuto trovare le energie per regalare sensazioni ed emozioni uniche e straordinarie, che tanti giovani si sarebbero impegnati nella terra, in cantina, nella comunicazione, nel servizio. Speriamo adesso che al panorama produttivo ormai definitivamente consolidato faccia seguito una altrettanta consapevole maturità commerciale. Come ha chiosato Ricciardi, fare un buon vino ormai è facile, venderlo è sempre difficile.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
La caratterizzazione del Taurasi
Voglio qui riallacciarmi alle parole di Luciano Pignataro appena espresse nell’ultimo post qui pubblicato (in cui si parla di zonazione del Taurasi) per rispondere: perfetto, è giunta l’ora! Sono diversi anni che, a puro titolo culturale, sto interessandomi dei vari esperimenti nazionali di zonazione e caratterizzazione (tra cui segnalo qui quello del Barolo curato dalla Regione Piemonte) e caratterizzazione dei vini. Ne ho parlato un po’ in giro ed una cosa mi è parsa chiara a tutti: oggi la tecnologia informatica ci consente di specificare e quantizzare cosa e come si differenzia un vino, cioè un Taurasi, da un altro. Il ruolo del terroir, con i suoi tre sotto-ruoli, uno legato all’uomo (quali tecniche in vigna e quali in cantina?), l’altro legato alla pianta (quali cultivar?), il terzo legato all’ambiente (quale microclima? E soprattutto quali suoli?), deve essere valutato con uno studio che coinvolga tutti gli enti vitivinicoli avellinesi. Deve essere valutato perché oggi lo si può fare veramente con poco sforzo. Le vinificazioni commerciali attuali, per quanto eccelse, possono aiutare in questo studio? Purtroppo penso proprio di no, per cui occorrerà fare anche una serie di microvinificazioni ad hoc da tenersi presso tutte le aziende che vorranno aderire al progetto. Come procedere? Vanno, credo, individuati i maggiori cru. E’ ovvio. Ed i cru li conoscono gli anziani, solo loro, per cui vanno al più presto intervistati, un po’ come Roberto de Simone fece con le danze popolari. Poi va creata una mappa dei suoli vitati (so che ci sono in giro ottimi studi fatti dall’associazione Pedologi e dall’Università di Salerno, se non erro) che intrecci i dati sul campo con i dati del catasto viticolo. Individuate quindi le aree più caratterizzanti vanno selezionati alcuni cloni (di cui uno studio noto è quello del prof. Pasquarella a Portici; altri studi noti sono quelli della coop di Rauscedo sulle principali patologie); questi cloni selezionati vanno quindi piantati nelle aree piu’ caratterizzanti e vanno fatte identiche microvinificazioni. Occorreranno alcuni anni, senz’altro, ma perché aspettare ancora? Infine va fatta una ricognizione dei descrittori sensoriali più caratteristici del Taurasi, e quindi vanno confrontati tali profili organolettici con le microvinificazioni effettuate. Il risultato sarà l’individuazione di terroir specifici, cioè quelli che i francesi chiamano cru: in una parola la “caratterizzazione” del Taurasi. Ciò è quanto occorre per adeguare, per aggiornare, gli studi, su questo grandissimo nostro vino, a quelli compiuti sulla maggior parte dei suoi (ingiustamente) più blasonati “cugini”.
Gaspare Pellecchia
Presidente Associazione Terra da Vino
Ciao Luciano, sono Rosario Mattera, presidente dell’associazione Campi Flegrei a Tavola, della quale fanno parte alcuni dei ristoratori, più aperti al mondo del vino e della presenza qualitativa all’interno dei loro locali. Condivido in parte la tua critica relativa alla scarsa presenza dei ristoratori ad Anteprima Taurasi 2004, perchè ritengo che una qualche responsabilità sia dovuta anche all’organizzazione. Del resto se tu pensi all’edizione 2007 dell’Anteprima Vitigno Italia e alla giornata dedicata agli operatori, se non ricordo male, del lunedì, la cosa ha avuto un ottimo riscontro. Ti racconto giusto due momenti, che ho vissuto, con alcuni di essi: i primi li ho accompagnati sabato, prima dell’apertura dei loro locali, degustazione veloce, poco tempo da dedicare ai produttori, e le corse per arrivare in tempo al ristorante.
Visita domenicale, chiusura e partenza dal ristorante non prima delle 6, corsa in autostrada e arrivo a Taurasi con i produttori già con la testa altrove, ad eccezione di qualche bella persona, vedi i proprietari delle aziende, Colli Lapio, Giardino, Tecce e qualcun’ altro che aveva voglia di comunicare con persone relmente interessate ai loro vini e alle loro storie. Quindi credo che alla fine se si vogliono coinvolgere ache gli operatori, in un territorio difficile come il nostro, un qualche sforzo in questa direzione lo si possa anche fare, cosa che ho detto appena arrivato a Taurasi ad uno dell’organizzazione.
Con cordialità
info@campiflegreiatavola.it
Rosario, capisco i problemi logistici da Napoli. Ma gli irpini e i salernitani che sono di casa? Quasi nessuno. L’idea del lunedì è sicuramente buona e penso che si debba prendere in considerazione anche se è uno sforzo in più: magari solo la mattina. (l.p.)
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