di Raffaele Mosca
Nell’Umbria dei poggi e delle valle fluviali, delle chiese romaniche e dei borghi arroccati, dei pittori rinascimentali e degli artigiani del tessile, per conoscere il “mostro” che alberga al centro della penisola: il vino più potente, più tannico, più ricco di sostanze aromatiche d’ Italia e forse del mondo.“ La bella e la bestia in un solo vitigno”, parafrasando una definizione del neo-eletto presidente del consorzio vini Montefalco Giampaolo Tabarrini: . Così unico che, quando fu analizzato per la prima volta negli anni 80’, gli scienziati ripeterono i test più volte perché stentavano a credere a ciò che era venuto fuori. Non riuscivano a convincersi del fatto che potesse contenere oltre 7000 milligrammi litri di polifenoli: più del doppio di qualunque vino di Bordeaux e quasi il triplo rispetto a un Sangiovese o un Nebbiolo da invecchiamento!
Il Sagrantino di Montefalco è un’ anomalia in una regione che sembra disegnata: in netto contrasto con questi paesaggi cari a Raffaello, Perugino, Benozzo Gozzoli, Pinturicchio, che hanno l’equilibrio alla radice della loro bellezza. Tende all’esuberanza, all’eccesso, all’irruenza. Non è un caso che in passato fosse impiegato quasi esclusivamente nella produzione di vino dolce e da messa – da qui il nome, che deriva da “sacer” – perché ricavarne un buon vino secco, in assenza di adeguato know how, era praticamente impossibile. A risollevarne le sorti, facendolo uscire da questo limbo sacrale, è stata la famiglia Caprai,che ha cominciato con i primi esperimenti nel 1971 e, nell’arco di un ventennio, è riuscita a raggiungere traguardi importanti, dando il via ad un vero e proprio exploit. I dati sulla crescita nell’ultimo trentennio sono impressionanti: gli ettari vitati erano 66 nel 1992, poco più di 100 nel 2000; oggi, invece, si avvicinano ai 1000. La produzione è passata in vent’anni da meno di 500 mila bottiglie a quasi 2 milioni, arrivando a rappresentare oltre il 15% del totale regionale.
Il boom, però, non ha avuto solo esiti positivi, perché, come si è già detto, questa è una varietà “pazzariella”, complessa da gestire nel vigneto e ancor più in cantina. Saremmo disonesti se non dicessimo che di nuvole all’orizzonte se ne vedono da anni e oggi sembrano particolarmente vicine: alcuni produttori confessano di fare fatica in questi tempi in cui lo “snellimento” è d’obbligo, e nessuno ha più voglia di bere vini neri come la pece, masticabili e disidratanti, che costringono il palato alla resa già al secondo bicchiere, a meno che non li si abbini a una pernice tartufata e lardellata. Purtroppo in molti hanno fatto leva proprio su questo stereotipo nei decenni passati, finendo per mettere sul mercato vini si potenti, si ricchi e complessi, ma poco scorrevoli. Si è creata un’immagine “intimorente” del Sagrantino come vino-trofeo, proverbialmente possente e impegnativo, dalla quale è difficile evadere. E allora la domanda che sorge spontanea è: cosa si può fare per dargli un appeal più contemporaneo? Come si può rafforzare una denominazione che sta pagando lo scotto del cambiamento del gusto anche sul piano commerciale?
Le riposte che emergono dal dialogo con i produttori sono diverse. La prima e più importante è: facendone di meno. Parlare di decrescita felice in questo caso non è del tutto sbagliato: forse il più grande errore è stato pensare che un’uva così difficile potesse diventare “pop”, che potesse crescere esponenzialmente ed incontrollatamente come il Sangiovese nelle zone di punta toscane, mentre in realtà è una varietà “boutique”, che si esprime al meglio quando la tiratura è limitata. Peraltro Montefalco non è solo Sagrantino: questo territorio ha la fortuna di poter contare su più di un interprete degno di nota. Al fianco del “mostro”, ci sono Il Trebbiano spoletino – bianco perduto che sta tornando in auge – e il vino più storico della zona: il Montefalco Rosso, prodotto da uve Sangiovese, con saldo di Sagrantino e altre varietà nazionali e internazionali. Ecco, dal rilancio di questi due vini, che possono avere un appeal molto più immediato – e meritano un excursus a parte – passa anche la rinascita del Sagrantino. Sono già diverse le aziende che ne hanno espiantato qualche ettaro – magari in esposizioni meno adatte – per mettere a dimora Sangiovese o Trebbiano Spoletino. “E’ un modo per diversificare la produzione – spiega Paolo Presciutti, titolare di Mevante, una delle aziende di nuova generazione più interessanti dell’areale – così andiamo a riequilibrare domanda e offerta, producendo meno Sagrantino, ma con molta più cura.”
La seconda risposta alla domanda di sopra è: affinando le tecniche in cantina. E, in questo frangente, a portare la bandiera è ancora Arnaldo Caprai. Da circa quindi cinque anni, il titolare Marco Caprai si avvale della collaborazione di Michel Rolland, il “globettrotting winemaker” più famoso del mondo, che ha perfezionato le tecniche di macerazione, implementando un protocollo di vinificazione integrale che consiste nella fermentazione di uva intera – solo disparata e raffreddata con ghiaccio secco – direttamente in barrique. Una pratica molto efficace per ottenere un’estrazione più delicata ed avere tannini più garbati; è solo una di varie tecniche più o meno innovative che le aziende stanno mettendo in campo per ottenere meno concentrazione e più finezza. Anche sulla gestione del legno si sta facendo un lavoro simile: si cerca di trovare un equilibrio ideale tra l’ ossigenazione – necessaria per ammorbidire i tannini – e un apporto aromatico che sia il meno impattante possibile (per evitare di aggiungere materia alla materia). Tra le aziende medio-piccole c’è un ritorno generalizzato alla botte grande, ma più che nella capienza, il nocciolo della questione è nelle tostature – meglio se leggere – e nel tipo di rovere utilizzato. Ma parlare solo di legno sarebbe riduttivo, perché anche qui qualcuno sta facendo degli esperimenti in cemento e anfora, peraltro con risultati piuttosto interessanti.
La terza risposta è: avere pazienza. In tempi in cui tutti puntano a mettere in commercio il vino appena possono, i produttori di Montefalco non possono far altro che andare in direzione ostinata e contraria. Quattro sono generalmente troppo pochi per un’uva così tannica: ce ne vogliono mediamente un paio in più per raggiungere un equilibrio perlomeno discreto. Non è un caso che il 70% dei 2018 in degustazione fossero campioni di botte. La maggior parte di questi vini non uscirà in commercio prima di un paio d’anni. E, ad essere onesti, sarebbe anche meglio se qualcuno avesse il coraggio di seguire il tracciato dello “Spinning Beauty” di Caprai – affinato per otto anni – e tirar fuori un vino di punta sullo stile delle Riserve decennali di Barolo o di Brunello. Questo perché le bottiglie più emozionanti assaggiati nella tre giorni – quelle che rammentano le ragioni per cui vale la pena di parlare di Sagrantino – sono proprio le vecchie annate stappate nelle visite in cantina, che sfoggiano una vitalità e una freschezza che pochissime uve riescono a mantenere nel tempo.
Veniamo all’annata presentata. La 2018 è stata giudicata come molto buona da chi si è occupato della valutazione ufficiale: di 92/100 è il punteggio attribuito dal comitato di tecnici e giornalisti presieduto dal curatore di Slow Wine Giancarlo Gariglio (era 88/100 nel 2017). A mio modesto parere, però, è difficile fare un discorso generale, perché questa è ancora una zona in cui la mano del produttore conta ancora di più dell’andamento stagionale. I migliori Sagrantino 2018 sono vini sobri, profumati, sicuramente ricchi e sfaccettati, ma non affaticanti: portano in dote l’equilibrio del millesimo privo delle bizzarrie climatiche alle quali, purtroppo, ci siamo abituati negli ultimi anni. I meno riusciti, invece, presentano i soliti problemi, ovvero eccessi d’estrazione e concentrazione, tannini non maturi che asciugano e lasciano l’amaro sul fondo, aromi poco definiti. La buona notizia è che i primi cominciano ad essere più numerosi dei secondi, anche se il traguardo della costanza qualitativa è ancora lontano. Qualche nome di azienda che ha trovato la quadra nella 2018? Sicuramente Bocale, Perticaia, Scacciadiavoli, il solito Caprai e quel pazzo del neo-presidente Giampaolo Tabarrini sul fronte dei nomi noti e affermati. E poi Ilaria Cocco, Mevante, Le Thadee, Tenuta Bellafonte tra i meno conosciuti che si danno da fare per emergere.
Ecco gli assaggi dei Sagrantino di Montefalco 2018:
Adanti – Arquata
Marasca e china, carrube e sottobosco, cioccolato e un cenno balsamico. Largo, avvolgente e un po’ asciutto sul fondo, segnato anche dall’alcol che offusca il finale di media persistenza.
Adanti – Il Domenico
Cioccolato e liquirizia, rosa rossa e sottobosco, cenni di spezie dolci. Entra grasso, carico di frutto – a suggerire un residuo zuccherino piuttosto significativo – e procede sulla stessa traccia, un po’ monolitico, ma abbastanza morbido ed equilibrato.
Antonelli San Marco
Timido sulle prime: lascia intuire profumi di giuggiole e violette, una sfumatura più scura di sottobosco e catrame. E’ un po’ difficile da interpretare adesso: il tannino impetuoso svetta sulle altre componenti. Da riprovare tra qualche tempo.
Antonelli – Chiusa di Pannone
Kirsch e rosa rossa, ginepro e melagrana, erbe aromatiche a comporre un profilo molto raffinato. Garbato e soave, con tannino egregiamente gestito, rimandi floreali e balsamici che danno soavità, tanta grazia e leggerezza – se di leggerezza si può parlare quando c’è in ballo il Sagrantino! – nel finale d’impeccabile precisione e pulizia. Ottimo!
Arnaldo Caprai – Collepiano
Liquirizia e oliva al forno, marasca sciroppata e tabacco mentolato, pot-pourri di fiori rossi a delineare un profilo denso, moderno, ma di grande pulizia. E’ perfettamente costruito, con tannino magistralmente estratto e frutto maturo che dà pienezza ed equilibrio, qualche traccia di tostatura da rovere che non stona nel finale lungo, rinfrescato da cenni di arancia sanguinella e un afflato balsamico. Eccellente.
Arnaldo Caprai – Valdimaggio
Menta e liquirizia, composta di mirtilli ed erbe officinali a go go. E’ meno avvolgente e più dritto del Collepiano, con un tannino appena più scontroso e il frutto scuro, croccante in sottofondo. Ha bisogno di più tempo per assestarsi, ma la stoffa è quella giusta.
Benedetti e Grigi – Dioniso
Liquirizia e menta, tabacco e pot-pourri di fiori rossi. Coerente al sorso, con frutto ampio, avvolgente che camuffa la parte tannica, liquirizia e cenni di tostatura da rovere nel finale discretamente equilibrato. Valido.
Bocale
Tabacco e china, pepe nero e goudron, qualche lampo di frutto sul fondo. E’ austero, mordente, con tannino vigoroso, ma ben incorporato nella struttura imponente, acidità e rintocchi salini che bilanciano la chiusura di persistenza non indifferente. Giovincello, in assestamento, ma con materia adeguata per i lunghi invecchiamenti.
Briziarelli
Incenso, cioccolato al latte, tostature a volontà. Denso e avvolgente, quasi in stile California, con tannino intenso a supporto dei ritorni fruttati stra-maturi, legno e concentrazione che conciano il finale e prevalgono sulle caratteristiche varietali. Moderno.
Colle Ciocco
Violetta e ribes nero, susina e lavanda. Avvolgente, con frutto scuro e maturo in bella vista e tannini abbastanza equilibrati, acidità ben profilata che snellisce il finale giocato tra frutto, spezie e un refolo alcolico che non stona. Discreto.
Colle Mora – Il Bove
Purtroppo la bottiglia non è in forma.
Colpetrone
Cioccolato e sottobosco, oliva al forno e composta di more. Avvolgente e carico di frutto, con tannino particolarmente morbido, marasca e spezie dolci nel finale a delineare un profilo moderno e un po’ insolito, ma dotato di un certo equilibrio. Discreto.
Di Filippo – Etnico
Giuggiola e melagrana, liquirizia e rosa rossa, cenni vegetali. Sorso corrispondente, con cenno vegetale che rinfresca, tannino tosto e appena asciugante, finale ammandorlato di media persistenza.
Dionigi
Cioccolato e sottobosco, china, tabacco mentolato. Una nota ossidativa sciupa il sorso e lo rende difficile da interpretare.
Fattoria Colsanto
Cioccolato e rabarbaro, marasca e un cenno di vernice. Il tannino al momento svetta sulle altre componenti, lasciando un senso di ruvidità. Da riprovare.
Fattoria Le Mura Saracene
Rabarbaro e china, pepe verde e carrube. Sorso con tannino un po’ scomposto, che irruvidisce la progressione e il finale inchiostrato.
Fratelli Pardi
Arancia rossa e pastiglia alla viola, ginepro, mirto, cenni più dolci di confettura di mora. Ha un sorso discretamente equilibrato, con tannino ben gestito e tanto frutto molto maturo, ritorni di carrube e liquirizia che allungano il finale equilibrato e preciso. Molto buono.
Fratelli Pardi – Sacrantino
China e cuoio, melagrana e pot-pourri di fiori rossi. Ha un tannino potente, scalpitante, che s’impone sul sorso piuttosto raffinato da un punto di vista aromatico. Ha la stoffa per dare soddisfazioni nel medio e lungo termine, ma in questo momento il Sagrantino “base” è più leggibile.
Ilaria Cocco – Phonsano
Giovanile, fresco e vibrante: sa di carrube, china, erbe officinali quasi in stile Vermouth. Offre più frutto – ma sempre croccante, goloso – nella progressione garbata e longilinea, con cenno vegetale che rinfresca e tannino ben estratto, spezie ed erbe disidratate nel finale raffinato. Non uscirà prima di un paio d’anni, ma è già buonissimo.
La Fonte – Collepoppo
Visciola sotto spirito e lavanda, china ed erbe officinali. Ha un sorso gentile e vellutato, con residuo zuccherino abbastanza percettibile che calibra il tannino, cenni sapidi e di chinotto che definiscono il finale discreto. Valido.
La Veneranda
Rosa rossa ed erbe aromatiche, carruba e qualche refolo affumicato. Ampio e disteso, con tannino vellutato e acidità giusta che calibra il sorso appena ammandorlato in chiusura. Discreto.
Le Cimate
Cioccolato al latte e sottobosco, marasca sciroppata e legni balsamici. Largo, avvolgente, con frutto molto ricco che ingloba il tannino tosto, tostature che arricchiscono il finale ampio, ma non scorrevolissimo.
Le Thadee – Carlo Re
China e cioccolato, visciola e cacao in polvere, cenni di sottobosco e scatola da sigari. Ampio con tannino travolgente, ma ben estratto, freschezza vibrante a supporto, arancia rossa e mentolo a profilare una progressione giovanilmente irruente, ma di compostezza e finezza superiori alla media. Molto buono.
Luca di Tomaso
Mora, oliva al forno, china ed erbe officinali. Sorso ricco, imponente, con tannino appena ruvido che fa da contraltare alla massa di frutto, cenni tostati e boschivi nel finale abbastanza profondo. Muscoloso, ma ben fatto.
Lunelli – Tenuta Castelbuono
Visciolata e prugna californiana, sottobosco e grafite, mentolo e spezie dolci. E’ imponente, molto moderno, con tannino perfettamente estratto e tanto frutto maturo che avvolge il palato, cenni balsamici e di speziati che allungano il finale avvenente, un po’ “ruffiano”, ma di pulizia superiore alla media. Ben costruito.
Lungarotti
Rosa rossa e prugna, spezie dolci, vaniglia e tabacco mentolato. Ha un sorso molto ricco e insolitamente morbido, con una vagonata di frutto stra-maturo, tannini vellutati e ritorni balsamici ad amplificare lo sviluppo. Molto piacevole ed equilibrato nel suo insieme, ma anche un po’ insolito, quasi “bordolese” per certi versi.
Mevante
Marasca e cioccolato al latte, fiori appassiti, liquirizia, qualche cenno boschivo. Il tannino è un po’ scontroso in questa fase, ma è un problema minore se si considera che anche questo non uscirà prima di un paio d’anni. La materia di fondo è molto interessante, così come il finale scandito da rimandi floreali e terragni. Promettente.
Montioni
Marmellata di mora, funghi porcini, crema di caffè. Sorso segnato da qualche traccia ossidativa che va a discapito nel frutto, con tannino abbastanza asciutto e finale su di toni di sottobosco.
Montioni – Ma.Già
Cioccolato e visciolata, fiori appassiti. Ampio, cremoso, abbastanza maturo per essere un vino appena commercializzato, con tannino relativamente morbido e acidità discreta, prugna e marasca nel finale molto ricco e avvenente. Non scorrevolissimo, ma senza asperità in eccesso.
Moretti Omero
Bacca di ginepro e cardamomo, visciola ed erbe officinali, qualche accento d’incenso e sandalo. Robusto, avvolgente, con tostature e ritorni fruttati prorompenti che segnano lo sviluppo fino al finale marcato da qualche traccia ammandorlata. Internazionale.
Perticaia
China ed erbe officinali, spezie assortite e una verve floreale intrigante. Sorprende per equilibrio e scorrevolezza: i tannini sono ben fusi nel corpo non troppo muscolare; il frutto croccante, integro prende la scena nel finale preciso ed equilibrato. Ottimo.
Raina – Campo di Raina
Sottobosco, cuoio, crema di nocciole, erbe officinali e tabacco mentolato. Ha un sorso scapigliato, scontroso sulle prime e poi agile, con un cenno di volatile che lo rende un po’ rustico, ma dà anche slancio e scorrevolezza alla progressione. Non per tutti, ma farà impazzire chi propende per lo stile naturale.
Raina – Le Pretell
Molto inusuale: ha un’apertura selvatica impetuosa, che lascia spazia a visciola e carrube, cardamomo, cacao in polvere e cannella. Segue la stessa traccia in bocca, con una volatile un po’ esuberante e cenni di sottobosco e pelliccia, il frutto in una declinazione scura e matura che bilancia la massa tannica imponente nel finale ampio e leggermente ossidativo. Anche questo potrebbe non incontrare i gusti di tutti, ma gli amanti del genere “nature” ne rimarranno stregati.
Romanelli – Terra Cupa
Liquirizia e inchiostro, cioccolato ed erbe disidratate, cenni vegetali. Il tannino imponente in questa fase comprime il sorso, svettando sul frutto e asciugando il finale. Da riprovare tra qualche tempo.
Scacciadiavoli
Liquirizia e mora, pastiglia alla viola e botanicals da amaro erboristico a definire un profilo sobrio ed educato. E’ coerente al palato: non tradisce i canoni classici del Sagrantino, ma ha più equilibrio e finezza della media, con un tannino pressapoco impeccabile. Molto ben fatto.
Tabarrini – Campo alla Cerqua
Molto ritroso, fumoso e piccante, ancora in fase embrionale. Austero e mordente, con tannino spesso e materia fruttata di fondo che s’intuisce appena, finale di ghisa e grafite. Non facilissimo da decifrare adesso, ma potrebbe essere un problema di gioventù.
Tabarrini – Colle Grimaldesco
China e humus, felce e mora di rovo, cenni di spezie disidratate e carne grigliata quasi in stile Syrah del Rodano Nord. Magistrale per gestione del tannino impetuoso, ma senza macchia, che dà forza e profondità a uno sviluppo ricco e sfaccettato, lungo nei rimandi all’arancia rossa e alle erbe aromatiche. Eccezionale.
Tabarrini – Colle alle Macchie
Melagrana e giuggiola, erbe officinali e acquavite alla more, pepe rosa e bacca di ginepro. Salato, croccante, appena più disteso del precedente, con frutto avvolgente e tannino ben fuso nel corpo, melagrana e rosa rossa nel finale splendido. Eccezionale al quadrato.
Tenuta Alzatura
Ferro e oliva in salamoia, mora e accenti selvatici. Imponente, ma con trama tannica abbastanza fine, oliva al forno e melagrana nel finale pulito e di discreta persistenza. Valido.
Tenute Baldo
Cioccolato e kirsch, cacao e legni balsamici, cannella e oliva al forno. Moderno, massiccio, con frutto ricco, quasi in confettura, e tannino leggermente disidratante, qualche cenno di tostatura da legno nel finale ben delineato, ma un po’ asciutto.
Tenuta Bellafonte – Collenottolo
Riservato e affascinante: liquirizia e anice, china e tabacco mentolato. Snello e mordente, sapido e agrumato, con tannino travolgente – ma ben estratto – e frutto integro, croccante sul fondo, poi fiori ed erbe officinali nel finale sottile ed infiltrante. Molto promettente.
Tenuta Saragano
Cioccolato fondente e inchiostro, qualche soffio floreale e poi il frutto in una declinazione molto matura. E’ più energico del previsto in bocca, con un vegetale che dà freschezza, ma amplifica anche la nota amarognola in chiusura.
Terre de la Custodia – Maior
Marasca e rosa rossa, erbe officinali e china. Vellutato, ben impostato, dotato di un bel bagaglio fruttato che copre il tannino potente e arrotonda il finale ben costruito. Non brilla per carattere, ma ha il suo perché.
Terre de Trinci
Marasca e china; cenni affumicati e di chiodo di garofano. Sorso massiccio e avvolgente, con buon frutto a sostegno del corpo, tannino ben estratto, finale persistente, leggermente irrobustito dall’alcol.
Terre San Felice
Fiori rossi, erbe aromatiche e ribes rosso a comporre un naso interessante. In questo momento, però, il tannino svetta sulle altre componenti, lasciando solo intuire il frutto sul fondo. Da riprovare più avanti.
Tudernum – Fidenzio
Cioccolato e Visciola, fiori rossi e mentolo a profilare un naso fine. Molto garbato e saporito, con tannino ben assestato e sapidità accattivante sullo sfondo, mentolo e chinotto nel finale equilibrato. Buono.
Valdangius
Incenso e liquirizia, tostature da rovere che comprimono il frutto. Largo e potente in bocca, con tannino appena ruvido e spezie che prendono di nuovo la scena, finale balsamico e vanigliato. Molto moderno.
Sagrantino di Montefalco delle annate precedenti:
Arnaldo Caprai – 25 anni 2016
Visciolata, susina nera, cioccolato al latte, lampi di sottobosco e di erbe disidratate. Largo, goloso, avvolgente, con tannino perfettamente intessuto nella struttura e cenni balsamici a rinfrescare, personalità ruggente ed affabile allo stesso tempo che lo rende veramente accattivante. Eccellente.
Dionigi – 2013
Cioccolato e tartufo, pasta di olive e cioccolato fondente; marasche e un’idea di rabarbaro e assenzio. Al naso indubbiamente complesso corrisponde un sorso largo, avvolgente, con tannino leggermente asciutto e buona acidità a sostegno, note balsamiche e chinate da Vermouth nel finale sfaccettato. Interessante.
Ilaria Cocco – Phonsano 2016
Rosa rossa e confettura di fragole, cipria e cannella, cacao in polvere e un’idea di sottobosco. Suadente, avvolgente, con bel frutto ricco – ma senza cedimnti – in prima linea, un’idea vegetale che rinfresca e non stona, tannini perfettamente estratti che bilanciano una progressione di rara finezza, floreale e balsamica nel finale garbato e infiltrante. Splendido!
Le Cimate 2015
Erbe amare e china, viole appassite e tabacco mentolato. Denso e ben calibrato, con tannino impegnativo, ma ben estratto, frutto largo e avvolgente che calibra la massa e ammorbidisce il finale di buona durata. Discreto.
Lunelli – Carapace 2016
Liquore ai mirtilli e legni balsamici, vaniglia e tabacco mentolato. Ha un sorso ben impostato, composto, cremoso, con tannino cesellato e frutto scuro e maturo che domina la progressione ben addomesticata. Molto internazionale – e a tratti un po’ atipico – ma covince per precisione e pulizia.
Moretti Omero – Vigna Lunga 2017
Cioccolato e cappero selvatico, floreale secco e ritorni animali in crescendo che danno carattere. Largo e avvolgente, più morbido della media, con frutto ricco, molto maturo e tannini ben gestiti, sapidità che allunga il finale insistente. Ben fatto.
Perticaia – 2006
L’apertura è su note evolutive di pomodoro secco, rabarbaro, tabacco da pipa e kirsch; solo dopo emerge il frutto in una declinazione matura, ma non cedevole, che va a rimpolpare un sorso vivo, reattivo, con tannino che spinge ancora e dinamizza il corpo, lampi di frutta sotto spirito ed eucalipto nel finale sorprendentemente vivace. Ancora perfettamente godibile.
Romanelli – Medeo 2016
Carrube e inchiostro, cioccolato e visciole, cenni di erbe aromatiche. Sorso masticabile, con tannino imponente, ma ben tessuto, frutto croccante al centro, cenni di erbe officinali e qualche tocco speziato nel finale di buona pulizia. Discreto.
Scacciadiavoli – 2016
Ciliegia, melagrana, soffi balsamici e di caffè a profilare un naso ancora molto giovanile. E’ corrispondente al sorso: particolarmente fine, con tannino ben calibrato, sapidità discreta e cenni di cacao e liquirizia nel finale d’indiscutibile eleganza. Molto ben fatto.
Scacciadiavoli 2005
Cioccolato e maraschino, tartufo e sottobosco s’intrecciano con una parte fruttata ancora intonsa. Il tannino si è ammorbidito, ma continua a farsi sentire; ritorni di cioccolato e composta di more danno pienezza e spessore al finale integro e goloso. Ha retto alla grande!
Tabarrini – Colle alle Macchie 2017
Incenso e china, vino e visciole e un’idea bizzarra di acciuga sotto sale; mirto e pot-pourri di fiori rossi in seconda battuta. Ha un sorso in perfetto equilibrio tra tannino travolgente e frutto che rimpolpa, matrice speziata ed ematica che emerge gradualmente e plasma un finale profondo e precisissimo. Splendido!
Tenuta Bellafonte – 2011
Aromi scuri di tartufo nero e tabacco kentucky, cuoio e cioccolato fondente, liquirizia e acquavite di mirtilli, una vena balsamica che dà freschezza. In bocca si distingue per snellezza e compostezza, con tannini arrotondati dall’evoluzione che danno man forte al frutto golosi, e poi cenni di cacao ed erbe disidratate che arricchiscono un finale più longilineo del solito e di splendida finezza. Il Sagrantino che vogliamo!
Tudernum – Fidenzio 2015
Marasca e spezie fini, carrube e inchiostro. Largo, avvolgente, con tannino incalzante e polpa a supporto, finale discretamente equilibrato su toni di sottobosco ed erbe officinali. Buono.
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