di Raffaele Mosca
Torno da Tortona – o forse farei meglio a dire “Derthona”, utilizzando il nome latino tornato in voga grazie al vino – con una notizia buona è un’altra molto cattiva. Quella buona è che i Colli Tortonesi sono uno dei territori più “ganzi” del vino italiano in questo momento: la rivoluzione del Derthona, il “rosso travestito da bianco” da uve Timorasso, ha dato enorme slancio ad un areale un po’ periferico nello scacchiere vitivinicolo italiano, che per decenni è stato un serbatoio d’uve di rinforzo. Non esagero se dico che trovare un altro gruppo di produttori esordienti così affiatati, così entusiasti e, soprattutto, capaci di esprimere una qualità media altrettanto elevata, è difficile non solo in Italia, ma in tutto il mondo.
La notizia cattiva non riguarda esclusivamente questa zona, ma tutto il Piemonte, ed è la crisi disastrosa affrontata dalla Barbera. Un declino inarrestabile dovuto non solo a produzioni dozzinali che l’hanno ridotta a mera commodity – con prezzi in GDO che scendono spesso sotto la soglia critica dei 2 euro – ma anche alla flavescenza dorata, malattia nuova e ancora poco conosciuta che sta decimando i vigneti in molte aree del Monferrato, del Roero e, ovviamente, del Tortonese. I vignaioli sostengono che sia una sorta di gatto che si morde la coda: la scarsa sostenibilità economica della produzione, che spesso finisce in mano a commercianti da strapazzo, rende difficile finanziare la ricerca sulla malattia e sugli insetti che la provocano. “ Se attaccasse il Nebbiolo con la stessa virulenza, oggi si saprebbe già molto di più’ “ sostiene qualcuno.
Sul problema “Barbera” si è espresso anche Walter Massa, il paladino del Derthona, che, nel corso della manifestazione, non ha lesinato critiche nei confronti delle istituzioni, a partire dalla regione Piemonte e all’assessorato all’agricoltura, a suo dire totalmente incapace di proporre soluzioni concrete, sia in campo economico che sul fronte agricolo. Massa, che continua ad essere il “leader spirituale” del movimento vitivinicolo tortonese, sostiene che, per rilanciare perlomeno l’immagine commerciale della Barbera, bisognerebbe smettere di chiamare il vino con il nome del vitigno e cominciare ad utilizzare quello del territorio, come fanno i francesi. “ Si è appena conclusa Derthona 2.0 – ha spiegato – ma io vorrei che l’anno prossimo si facesse anche Monleale 1.0”.
Monleale è, per l’appunto, l’unica sottozona per la Barbera neiColli Tortonesi: un nome diverso per un vino che non avrà mai l’appeal unico e travolgente del Derthona (Timorasso, il va sans dire), ma che offre spunti interessanti, come dimostrato da una meravigliosa magnum del 2000 di Vigneti Massa stappata proprio a conclusione della kermesse. Il vino, con il suo alternarsi di frutto ancora intatto a ventidue anni dalla vendemmia, acidità calibrata e ritorni tostati e tabaccosi, racconta bene un territorio che è un pezzo di Sud del Nord: il più soleggiato di tutto il Piemonte e tra i più asciutti d’Italia.
Tornando al Timorasso, l’anteprima Derthona 2.0 – aperta anche ad appassionati ed operatori con i banchetti di assaggio – si è rivelata un momento molto proficuo per conoscere i nuovi volti del comprensorio. Il filo conduttore tra i vini – che è questa commistione di mineralità da Riesling e struttura da bianco mediterraneo – continua ad esserci, anche se oramai le aziende che producono Timorasso sono parecchie: più di 50 tra le sei valli, compresa la Val Borbera, l’unica che, per questioni geografiche, non rientrerà nella DOC Derthona.
Proprio di DOC Derthona si è parlato in queste giornate: l’iter per l’approvazione è tutt’ora in corso; l’idea di creare una denominazione di ricasco come quella del “Piccolo Derthona” – ispirata chiaramente al Petit Chablis – ha creato un po’ di scompiglio tra i burocrati del ministero, ma tutti gli equivoci sono stati risolti. E, come avevamo già detto l’anno scorso, il disciplinare sarà degno di un grande rosso: rese sotto i 75 quintali/ettaro, uve Timorasso in purezza, un anno di affinamento minimo per il Derthona e due per la Riserva (ma chi vuole aspettare di meno può chiamarlo “Piccolo Derthona”). Tutti paletti essenziali per garantire che questo vitigno non facile, non scontato, ma con personalità da vendere, si esprima al meglio. Il fatto stesso che in degustazione all’anteprima ci fossero diversi campioni con due o tre anni di affinamento alle spalle dimostra che c’è già una consapevolezza dell’assoluta impossibilità di trattarlo alla stregua di qualunque altro bianco. Del resto, il Derthona è in tutto e per tutto la controparte bianca del Barolo: i suoli sono molto simili, anzi le famose marne di Sant’Agata – parte del suolo di molte delle più grandi vigne langarole – prendono il nome dal comune di Sant’Agata Fossili, che è proprio nei colli Tortonesi, e il clima, unito alle caratteristiche dell’uva, favorisce concentrazione glicerica, aromatica (e ovviamente alcolica). Non a caso, il vitigno ha suscitato l’interesse dei langhetti, accorsi in massa a comprare vigne in zona. Molti di loro hanno già dimostrato di avere un certo feeling con il Timorasso: per esempio Borgogno e Viberti ne propongono versioni assolutamente magistrali.
In definitiva, la domanda che emerge è: cosa succederà negli anni a venire? La denominazione continuerà a crescere? Il Derthona passerà da vino di nicchia a vino “mainstream” e questa coerenza stilistica verrà meno? Il fatto che nei prossimi anni entreranno in regime produttivo più di 100 ettari fa riflettere, ma non vogliamo essere pessimisti. Anzi, è giusto entusiasmarsi davanti a un parterre di bianchi come questi appena presentati; mediamente molto strutturati e molto austeri, ma di grande incisività e longevità potenziale smisurata!
I migliori Derthona Timorasso da Derthona Due.Zero:
Pomodolce – Gruè 2021
Iniziamo con una versione quintessenziale: tutta giocata su toni di mandorla, fieno, pepe bianco e pietra focaia, che anticipano un sorso dritto, dinamico ma con buona polpa, fenolico quanto basta e salato nel finale di discreta gittata. Non troppo concessivo, ma di bello spessore, con margini di miglioramento nel tempo.
La Spinetta – 2021
I Rivetti producono sempre vini di facile approccio: non fa eccezione questo Derthona più espressivo della media, con profumi di miele millefiori e zenzero candito, rosa gialla e il solito fondo minerale-fumoso. E’ avvolgente ed equilibrato, con acidità già assestata, ritorni fenolici e salini che vivacizzano la progressione molto ben calibrata. Tra i pochi godibili da subito.
Borgogno – 2021
L’azienda storica langarola sforna un’altra versione “classica”: sulfurea, riduttiva sulle prime, poi più chiara di pesca nettarina e nocciola, camomilla e fiori bianchi. Ha polpa e volume, ma in questa fase ad avere la meglio è sprint acido-sapido “rock ‘n’ roll”, che conduce i giochi fino al finale allungato da soffi idrocarburici.
I Carpini – Rugiada del Mattino 2021
Riduttivo sulle prime, ma poi si apre e lascia spazio a idrocarburi e nocciola tostata, lanolina, mela golden, qualche accenno terragno che lo rende particolarmente caratterizzante. Anche in bocca è molto accattivante: estremamente sapido e appena fenolico, con personalità scura e leggermente terragna da vino “artigianale”, ma senza sbavature, anzi con precisione encomiabile nel finale austero, quasi roccioso.
Luca Amerio Reis – 2021
Confesso di non sapere quasi nulla di questo vino, che, però, è piaciuto a più a meno tutti i presenti. Dispensa profumi di anice e buccia d’agrume, pepe bianco e zenzero, con sottofondo idrocarburico che emerge più chiaro nell’arco di qualche minuto. Ha polpa ricca e complessità data dall’intreccio di ritorni balsamici e idrocarburici, nocciola e zenzero sul fondo, qualche cenno fenolico e di nuovo l’idrocarburo che allunga il finale ben profilato. Giovanissimo, ma eloquente; da tenere in cantina per almeno tre o quattro anni.
Luca Canevaro – Ca’ degli Olmi 2020
Luca Canevaro è una delle “rising stars” del Derthona: un giovane che è partito con il piede giusto e, già dalla prima vendemmia, ha cominciato a tirar fuori di precisione millimetrica. Il Ca’ degli Olmi ha un naso molto intrigante: camomilla, melissa, pesca noce, soffi minerali e qualche cenno di erbe officinali. L’acidità incalza la ricca materia, rendendo un senso di austerità insieme ai ritorni minerali di fondo. Come altri vini della batteria, richiede mesi – se non anni – di riposo per esprimersi al meglio, ma la stoffa è quella giusta.
Cascina Gentile – 2020
Naso semplicemente meraviglioso: zafferano, cannella e qualche spennellata di miele fanno il paio con i soliti accenti idrocarburici. Tutto torna sul fondo di una progressione già ben assestata, con salinità salivante che bilancia il corpo cremoso e amplifica il finale molto incisivo.
Giacomo Boveri – Lacrime del Bricco 2020
Pietra focaia e cherosene abbracciano nespola, melone estivo, fiori bianchi e scorzetta di limone candita, con qualche cenno di erbe aromatiche a completare. Il sorso brilla per equilibrio tra sapidità, acidità guizzante e polpa più chiara e suadente a contrasto. Chiude lungo, tra fiori, frutta a guscio e ritorni “steely” di lunga persistenza.
Luigi Boveri – Filari di Timorasso 2017
Cinque anni ed escono fuori aromi radiosi che possono ricordare un grande Riesling Auslese: propoli e zagara, incenso e crema chantilly, qualche accenno di curry e l’idrocarburo sullo sfondo. L’annata è stata calda e il vino comincia già ad avvicinarsi al suo apice: è morbido, disteso, con acidità levigata e salinità giusta, finale quasi umami tra toni di zenzero, mostarda e wasabi.
Ezio Poggio – Archetipo 2016
Sottile, ancora giovanile di agrumi, erbe officinali e pietra focaia. E’ quasi un poppante: salato e leggermente vegetale, con polpa misurata e finale rinfrescante su toni di lime e iodio. Lo stile dell’annata fresca si sente e lascia intuire un potenziale d’invecchiamento non indifferente.
BONUS TRACK:
Vigneti Massa – Sterpi 2014
Da una magnum stappata al ristorante Montecarlo di Tortona: non è la migliore versione di sempre di questo Cru, ma dimostra quanto sia stata sottovalutata la 2014, annata ostica per i rossi, ma molto valida per i bianchi. Conquista con il suo profilo freschissimo che parte verde di erbe officinali e bergamotto, e poi vira su miele millefiori, nocciole tostate, zafferano, curcuma e qualche accenno – ancora relativamente leggero – di cherosene. E’ freschissimo, sferzante, meno ampio e più dritto del solito, ma con energia spiazzante e lunga vita davanti a sé.
Beykush Winery – Fantasy Timorasso Dry White Wine 2019
Una piccola grande scoperta fatta grazie al collega Bisser Atasanov: l’unico Timorasso ucraino, prodotto da una vigna nei dintorni di Mikolayiv, a pochi chilometri da uno dei principali fronti del conflitto. Al naso è nettamente Timorasso: leggermente idrocarburico e ricco di zafferano, mostarda, fiori gialla e nocciole, con vena mentolata a incorniciare il tutto. In bocca, invece, è l’acidità quasi estrema – ma non sgarbata – a prevalere sul sorso relativamente sottile, ma tonico e scorrevole, con finale balsamico e appena vegetale. Una bottiglia sorprendente, che ci ricorda quanta poca distanza intercorra tra il nostro paese e i territori dove si sta consumando la più grande tragedia del 21esimo secolo.
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