di Carmine Pinto*
Il conte di Cavour andava al ristorante Del Cambio. Un antico locale, aperto alla metà del XVIII secolo, un capolavoro ancora oggi aperto nel centro di Torino. Il grande statista era deciso, sempre inquieto, inarrestabile, passava dal governo al parlamento, dai ministeri alla corte, dai suoi uffici alle stanze personali. Sempre inarrestabile, e senza sosta. Anche il conte però doveva mangiare. E gli piaceva molto. Innanzitutto, perché era un grande imprenditore dell’agricoltura e del vino. E ne aveva una cultura internazionale. In secondo luogo, perché sapeva scegliere dove e come mangiare.
A Torino il Cambio era un suo posto fisso, strategico rispetto ai luoghi del potere e di ottima cucina. Il ristorante era aperto già da un secolo e all’epoca era gestito dai fratelli Cornagliotto. C’era addirittura l’illuminazione a gas, se serviva per una bella cena. Il ristorante diventò uno dei luoghi dell’uomo che sarebbe diventato il più grande regista della unificazione italiana. Ancora oggi, a Torino, è qualcosa a metà tra un locale di eccellenza e un monumento nazionale. Di questo si parla nel volume curato da Andrea De Simone (Padri della patria. Il Risorgimento tra storia e cucina, Gutemberg edizioni, 2023).
A Torino, negli anni Cinquanta dell’Ottocento, si ritrovavano uomini di tutta Italia, fuggiti da Napoli e da Venezia, da Palermo e da Milano, dopo il fallimento della rivoluzione del 1848. Saranno loro, nei ristoranti, nei caffè e nelle taverne, così importanti allora ed oggi per la socialità politica, a pensare una nazione nuova, capace di coincidere con uno stato, proponendo una lettura comune del proprio passato e un progetto di legittimità costituzionale indipendente da potenze esterne.
Alcuni di loro diventarono qualcosa di più. Oltre a Cavour, e più di Cavour, Garibaldi, Mazzini e Vittorio Emanuele II entrarono nell’immaginario storico e sociale, diventando i pilastri simbolici della invenzione vittoriosa dell’Italia Unita. In questo libro sono loro, uomini potenti nella grande politica, i protagonisti di un punto di vista sorprendente quanto affascinati per i lati più umani. Come mangiavano? Cosa gli piaceva? Come investivano il loro tempo nella cucina? Sapevano cucinare? E del resto, non è l’alimentazione parte di ogni giorno del tempo degli uomini?
Nel libro ci sono giovani e brillanti autori che studiano e si divertono a raccontarci questa storia, come si siedono a tavola, e come la vogliono. A partire dall’uomo di ferro, intransigente, deciso, scuro e mai domo, Giuseppe Mazzini. Alice De Matteo lo racconta nei luoghi dell’esilio, dove è costretto a provare cucine che spesso non sopporta, gli mancano i piatti della sua Genova e soprattutto si arrabbia con gli amici che, a suo avviso, stanno a tavola peggio che in una cospirazione clandestina.
Niente a che vedere con il maestro dei giochi parlamentari e delle trame diplomatiche, altrettanto capace per vini pregiati e piatti da favola. Camilla Zucchi ci racconta Cavour, l’uomo della nazione capace di dominare a tavola, di scegliere senza sbagliare cosa proporre e cosa cambiare. Un imprenditore di prim’ordine anche nel mondo dei prodotti per la tavola, ma capace di usarla per la diplomazia, la grande politica e, perché no, le conquiste galanti.
Cavour non era molto simpatico a quel Vittorio Emanuele che doveva sopportarlo e spesso ingoiarne sfuriate e decisioni, ma gli doveva un trono nazionale. Erano e restavano diversi, nel carattere, nel linguaggio e a tavola, come ci racconta ancora Alice De Matteo. Un re da battaglia e da corte, certo non da confronto parlamentare o politico. Con molto fiuto e raro tatto, spesso incapace di rispettare il protocollo per coltivare passioni popolari, a tavola e a letto.
Pure Giuseppe Garibaldi, ci spiega Roberto Ibba, era più bravo. Il generale era innanzitutto uno bravo in prima persona, a coltivare e a pescare. Si era addirittura inventato una azienda agricola, nella sua isoletta comprata un po’ alla volta con l’eredità del fratello, trasformandola e curandola pezzo per pezzo. Era lui ad organizzare, quando tornava da spedizioni militare e campagne politiche, una delle più importanti e insostituibili tradizioni italiane: il pranzo di massa con famigliari e amici, in compagnia ed interminabile.
E così, i padri della patria tornano a tavola. O si ricordano con qualche invenzione gastronomica, come ci racconta Carlo Scatozza. Ci presenta i dolci che nel casertano oggi celebrano, grazie a un maestro pasticciere, il più famoso incontro della storia del Risorgimento italiano. Insomma, ricorda Luciano Pignataro che introduce il volume, c’è il passaggio al presente così importante per un pubblico sempre più colto ed interessato a questi argomenti. La sperimentazione, la guida Andrea De Simone, proponendo una verifica concreta, una vera e propria realizzazione sul campo delle ricette recuperate con fonti e testimonianze dell’epoca. Un libro che diverte ed appassiona, soprattutto ci mostra un volto umano del momento più potente ed importante della nostra storia: la fondazione di uno stato fondato sulla libertà costituzionale e sull’indipendenza nazionale di cui possiamo andare ancora oggi fieri.
*Direttore del Dipartimento di Studi Umanistici Università di Salerno
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