Via Matteo Camera 12
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Sempre aperto. Chiuso il martedì. Ferie a novembre.
Naturalmente dall’ultima visita registrata nel sito siamo stati spesso da Antonio Dipino. Ma stavolta vi consegnamo le nostre impressioni scritte perché siamo in un evidente e continuo salto di qualità. L’alta cucina in questa fase si divide sostanzialmente in due filoni di ricerca, il primo basato sui sapori e sugli odori, oltre che sulle consistenze, creati dalla combinazione dei prodotti sino alla loro perfetta astrazione fisica, alla dissoluzione piena in cui quasi solo il nome rappresenta qualcosa che consente l’aggancio con la realtà di tutti i giorni. Il secondo filone, proprio dei territori di grande tradizione gastronomica come l’area napoletana, si basa sull’aggiornamento delle antiche esecuzioni e sulla valorizzazione quasi naturale, spontanea, dei prodotti. In questo contesto si inserisce praticamente tutta la nouvelle vague partenopea senza distinzione alcuna, anzi accentuando questo carattere autoctono con il passare degli anni evitando scimmiottature e concedendosi al massimo qualche divertimento, qualche pernacchio.
In genere, per allargare un po’ il discorso, è l’alta cucina del Sud che imbrocca questa strada come forma di mediazione ad una clientela sicuramente più tradizionalista e conservatrice oltre che favorita dalla reperibilità della materia prima di qualità senza dover passare necessariamente per la Selecta, ma facendo davvero solo un salto al mercato o, più spesso, nell’orto di famiglia. La Caravella si è inserita in questo contesto con autorità sempre maggiore attraverso alcuni ripensamenti geniali, come i tubettoni di Gragnano con il ragù scomposto giusto per fare un esempio esemplificativo. Già, cosa vuole dire scomposta? No, niente sifoni. Significa rendere didatticamente appetitoso un problema di tecnica di cottura che chiunque abbia fatto la zuppa di pesce almeno una volta nella sua vita ha dovuto affrontare, ed ecco dunque la versione light con il solo pesce da taglio, scorfani, cernie, lampare e quant’altro. A parte, in una tazza, ci sono invece polpi, calamari e totani per il completamento del piatto.
C’è un filone gentile e agrumato nel menu che riflette la profonda sensibilità di Antonio, il classico trito di pesce grigliato alcuni decimi di secondo in foglia di limone che è uno dei piatti da portare con se per il viaggio nell’Aldilà, e ancora il risotto al limone con crostacei cotti e crudi e bottarga di muggine, sino al pesce del Golfo in crosta di sale. E poi c’è il tocco guappo ed esuberante, come la frittata di spaghetti con i frutti di mare, un capolavoro di perfezione storica e gastronomica con cui ripercorriamo due secoli di pasta e pesce a Napoli e dintorni. Una piatto che ha il suo equivalente nel risottino al pomodoro di Gennaro a conferma della nostra premessa sul rapporto tra alta cucina partenopea e territorialità. La risposta alla crisi di ripiegamento in cui si vive da qualche tempo può essere infatti, alternativamente, l’astrattismo radicale alla Cracco o il rilancio dei punti fermi acquisiti nel tempo per offrire piatti attesi e invocati a lungo, come la banale insalata di mare la sua esecuzione è un Funiculì Funiculà per reinterpretato, sino al crudo di mare. Ne vogliamo parlare un momento dopo tutte le rotture subite in questi ultimi anni? Trancio di ricciola o quant’altro porta dal mare la barca di fiducia poggiato su un biscotto di Agerola appena appena spugnato per avere la giusta consistenza e adagiato su un filo d’olio della Torretta di Battipaglia, tutto l’extravergine della Caravella nasce dal frantoio di Maria Provenza, etichetta strapremiata nei concorsi nazionali. Nel dolce Antonio si rifugia nel classico, sorbetto al limone, pasticciotto caldo con gelato, il soufflé al limone classicamente spaventoso come una sinfonia, da ordinare prima perché serve quasi un’ora. E poi la cassatina scomposta e il semifreddo al torroncino.
In alternanza, ecco a voi insieme alla selezione di formaggi di Agerola (provolone del Monaco) e Salerno (caciocavallo podolico degli Alburni, caciocavallo di bufala, caprino del Cilento e pecorino degli Alburni), invece della solita composta c’è un bel gelato di pera pennuta, un biotipo agerolino per riandare al vecchio proverbio e chiudere il pranzo. La carta dei vini è monumentale, una delle più profonde in Italia con tanta tanta Francia, la Campania sempre in prima linea con buone chicche di Greco e di Fiano. Infinita la scelta di distillati e grappe. Insomma, cari lettori, davvero uno dei migliori ristoranti italiani la cui forza è nel fatto che ha già vissuto pienamente il cambio generazionale all’inizio degli anni ’90 con il compianto Don Franchino che lasciò via libera ad Antonio, aiutato in sala dal cognato, omonimo, a cui è delegata la cantina. C’è dunque quella calma e misura delle cose tipiche di chi fa il mestiere dei propri genitori, ben consapevole che le mode passano, ma che è comunque necessario aggiornarsi con passione. Già, perché la frittatina di spaghetti ai frutti di mare non nasce a caso, ma dopo anni e anni di studio e di esperienza.
A parte c’è poi la Art Gallery di cui parliamo in questa scheda. Insomma, questa Caravella è da non perdere. Imbarcatevi ciurma.
Visita del 6 gennaio 2005. Le alici ripiene di provola su salsa di colatura di Cetara, i tubetti di Gragnano al ragù di zuppa di pesce di scoglio, il filettino di pesce spada cotto nella foglia di limone, gli ziti di Setaro pieni di carne, il totano imbottito. Ci sono alcune certezza granitiche nel mondo della ristorazione, direi senza paura di esagerare nella vita: le ricette di Antonio Dipino, occhi neri come la pece, professionalità e umiltà nell’ascoltare, punte di orgoglio di chi è figlio vero della tradizione della repubblica Marinara. Lo stellato Michelin è un sicuro riferimento per gli appassionati dei sapori del territorio capaci di apprezzare le presentazioni moderne, alleggerite, dei piatti, in un locale che è anche galleria d’arte sorvegliato, dall’altra parte del vicolo, da una cantina-cassaforte costruita negli anni con passione, competenza e tanti soldi e tempo utilizzato per viaggiare. Una magnum di Monfortino di Conterno ha spiazzato addirittua il nostro caro amico Valter Musso, responsabile delle pubbliche relazioni di Slow Food a Bra, che a Monforte è nato e ci vive da sempre ma che mai ne aveva avuto conoscenza: una prova del nove definitiva, niente affatto un caso vista la ricchezza dei francesi come pochi, non più di tre o quattro in tutto il Mezzogiorno, possono vantare. La Caravella è tradizione vera, autentica: di fronte al porto, sopra i mitici Arsenali, Franco Dipino e la moglie Anna, ancora oggi lavora sui dolci instancabile, aprirono negli anni Cinquanta questa trattoria nella quale facciamo prima a dire chi non c’è mai stato: nessuno. Andy Warhol and company stavano sulla spiaggia di giorno, la sera cenavano qui e lasciavano quadri per pagare il conto, il jet set degli anni d’oro sbarcava al porto, Fellini, Rossellini, industriali, grandi gourmet, aristocratici annoiati e yuppies berlusconizzati, tranquilli borghesi e semplici appassionati, tutti qui dentro in uno dei trenta posti, come oggi fanno gli emiri arabi e domani i cinesi e i russi. Quando Antonio ha preso in mano il locale non ha dormito sugli allori come tanti ristoranti dell’italietta spensierata e borghesuccia, ma ha avuto subito la capacità di aggiornarsi nello stile e nelle proposte restando, abbiamo appena scritto, fedele ai sapori del territorio. Diremo anzi che lui, più di tutti, è stato il protagonista della esplosione gastronomica degli anni Novanta versante Amalfitano mentre il suo compare Gennaro della Torre del Saracino faceva il suo sull’altro versante della Terra delle Sirene. Ne hanno fatto di scorribande i due per imparare e rubare segreti in Italia e in Europa prima di diventare i migliori giovani chef delle Sirene. Ma niente paura, oggi venire qui è un gesto semplice, parcheggio a parte perché è più facile essere rapinato in Svizzera che trovare posto per l’auto ad Amalfi le cui amministrazioni dormono sonni colpevoli da almeno quindici anni (speculazione su Pogerola a parte). Un gesto semplice perché Tania, la moglie di Antonio, e il cognato Tonino, sua la cura e la passione della cantina, mettono subito l’ospite a proprio agio. Dal gamberetto fritto su salsetta di pomodorini di Furore alla pastiera scomposta, il pranzo riserverà emozioni ed esperienze da manuale, una sorta di alfabeto dei sapori dai quali è impossibile prescindere quando poi si comincia a girare tra le rocce e i paesini presepio della Costiera. Veronelli benedì il piatto delle linguine alla colatura di alici e lo elesse ricetta dell’anno nel 2003. Per Vizzari è stata la cantina dell’anno 2004. Insomma, cosa dire ancora? Antonio condivide la nostra passione per i pezzi artistici di ceramica vietrese oltre che per i grandi e bianchi francesi da invecchiamento, e qui verremo sempre sino a che avremo gioia e curiosità per il mondo e per il prossimo. Conto sui 60 euro.
Come si arriva
Da Napoli in auto attraversare il Valico di Chiunzi uscendo ad Angri sull’autostrada Napoli-Salerno. In alternativa ci sono i pullman o il metrò del mare con tappa a Sorrento e Positano. D’estate la macchina è assolutamente sconsigliata, meglio arrivare a Salerno, fermarsi al comodo parcheggio di Piazza della Concordia e prendere l’aliscafo.
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