L’occasione era ghiotta: ritrovarsi in tre amici a far saltare nobili tappi in uno dei migliori ristoranti italiani . Ma oltre ad essere per ogni gourmet una grande tappa gastronomica, uno dei ristoranti italiani a poter vantare da più anni le prestigiose tre stelle Michelin, il Sorriso è stato per me anche un apprendistato vinicolo durato decenni.
Da qualche parte bisognava pur cominciare, e disporre con discrezione dell’amicizia e la pazienza di quel grande patron che si chiama Angelo Valazza è stato per me una grande fortuna.
Tornarci dopo alcuni anni di assenza con l’intenzione di recuperare qualche puntata era già di per se una condizione eccitante. Di quel lungo giorno, dentro il quale l’aneddotica potrebbe attingere a piene mani, vorrei ricordare oggi solo qualche brandello di quella sequenza di vini bianchi da Bordeaux a la Cote de Beaune che lasciò il segno. Se la memoria non mi inganna si tirò il collo tra gli altri a Chateau Haut Brion blanc 1990 ( o forse 1989 … o tutti e due) e diversi grand cru di Borgogna imbottigliati da grandi Domaine quali Ramonet, Drouhin Marquise de Laguiche, Leflaive, Vogue ecc…
Messo di fronte al programma decisamente aggressivo che avevamo preventivato, il nostro grande patron si offrì di inserire nel ruolo di aperitivo una sua scelta. Tutti ci aspettavamo una grande bollicina, che al Sorriso sarebbe stata inevitabilmente Krug, mentre Angelo decise che avremmo iniziato le danze di cristallo Riedel con un Riesling alsaziano che fa di nome Clos Ste-Hune .
Come al solito ebbe ragione, dopo 20 anni di studio c’era ancora qualche cosa da imparare. Non che non l’avessi mai bevuto quel riesling, questo no, però con in campo un manipolo di fuori classe di Bordeaux e Borgogna di quel calibro, pronosticare come vincitore di giornata il Trimbach proprio non se lo aspettava nessuno. E neppure fu possibile accorgersi immediatamente di quanto stava avvenendo nel nostro apparato digerente. Le avvisaglie arrivarono verso sera e furono confermate il giorno seguente. Sembrava di avere delle schegge di terreno argillo calcareo incastrate tra le papille .
Tutto il resto era stato cancellato. Il Riesling di Trimbach aveva travolto tutti e tutto.
Grande sorpresa o nessuna sorpresa, perché il prestigio del Domaine Trimbach non si è mai, o quasi mai discusso, e la qualità media della produzione è stata spesso apprezzata . Ma questo pezzetto di terreno di 1,4 ettari appartenente da oltre due secoli alla medesima famiglia deve avere qualche cosa in più degli altri cru piantati con Rieslig in Alsazia . E oltre al valore intrinseco del terroir anche la vinificazione è esemplare, così da consentire al vino di esprimersi sul medio e lungo periodo con un bouquet che spinge tutto sulla mineralità e nulla su toni ruffiani dolciastri come capita spesso di riscontrare tra altri eccellenti produttori della regione.
Pulito, verticale, secchissimo ma non magro, travolgente di sensazioni pure ed essenziali.
Di una drittezza aromatica che disegna i contorni della perfezione.
Si sarà capito, questo è il mio Riesling . Il numero uno al mondo per questa tipologia.
E fa sicuramente parte di quel Club della Cento etichette che bisognerebbe bere almeno una volta in questa vita, anche perché tutto sommato non costa una follia . In condizioni normali tra i 100 e i 150 euro dovrebbe essere la forbice in cui si colloca in enoteca o in qualche nobile carta vini.
L’unica accortezza, scegliere una annata matura, almeno 7-8 anni cautelandosi che la qualità della conservazione sia stata all’altezza del valore del prodotto. Diciamo che oggi una bottiglia affrontabile con buone possibilità di ricordarsela a lungo sarebbe una 2001 .
Dopo questo Riesling sarà però dura tornare indietro, ma è giusto sapere qual è il top di una categoria per poi scendere qualche gradino con la consapevolezza che contraddistingue le persone sagge. Per poter mettere nel cassetto della memoria un altro appunto , una nuova tesserina del puzzle che contribuirà ad allargare quel portafoglio di emozioni che si chiama esperienza .
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