di Monica Bianciardi
Un tempo il vino come molti altri alimenti veniva trasportato via mare come testimoniano i numerosi ritrovamenti di anfore in relitti di navi affondate. Le città costiere della Toscana Etrusca erano tra i luoghi di maggior frequentazione così come le isole dell’arcipelago Toscano. Un legame antico che segue la rotta mercantile più antica e che lega l’Isola d’Elba ai commercianti greci che con i loro vini conquistarono le tavole più prestigiose dell’epoca. Di quella élite di vini considerati di lusso sul ricco mercato di Marsiglia e Roma facevano parte i vini prodotti sull’isola greca di Chio; 2500 anni di storia ed un esperimento enologico condotto in collaborazione con il Prof Attilio Scienza ordinario di Viticoltura dell’università degli studi di Milano, Angela Zinnai e Francesca Venturi del corso di Viticoltura ed enologia dell’università di Pisa.
L’Ansonica, vitigno da tempo coltivato all’Elba, ma originario proprio di Chio e frutto di un incrocio tra due antichi vitigni dell’isola greca è stato scelto per riportare alla vita l’antico leggendario vino. La realizzazione è avvenuta grazie all’impegno dell’Azienda agricola di Antonio Arrighi, il quale da anni è avvezzo a sperimentare e vinificare nelle anfore di terracotta di Impruneta. Da qui una metodologia antica che riproduce la pratica di Chio che prevede utilizzo di grappoli selezionati, adagiati in piccole nasse di vimini ed immerse per 5 giorni nell’acqua marina dell’Elba a una profondità di 7 metri.
Il processo prosegue durante la fase di asciugatura delle uve su graticci all’aria aperta. La pratica dell’immersione nel mare permette al sale di penetrare per osmosi all’interno del chicco senza danneggiarlo, il lavaggio rimuove la pruina esterna ed accelera la fase di appassimento sotto il sole a cui segue la vinificazione nelle anfore di terracotta. L’intero procedimento si é reso arduo sia nel reperire le nasse fatte con ceste di vimini intrecciate sia per assicurarsi il perfetto ancoraggio al fondale marino eseguito da sub esperti. L’intento è riprodurre il famoso vino fatto alla maniera degli antichi Greci dell’isola di Chio. 40 bottiglie della vendemmia 2018 sono il risultato del primo tentativo che sarà messo nuovamente in prova nella attuale vendemmia 2019.
Durante la presentazione di Nesos curata da Toscana notizie con la collaborazione di Daniela Mugnai, ufficio stampa Vetrina Toscana è stato proiettato in anteprima italiana il documentario Vinum Insulae diretto e prodotto da Stefano Muti che racconta l’esperimento enologico di Nesos. Premiato come Miglior Cortometraggio della Revue des Œnologues, per l’originalità e il valore della sperimentazione al 26° Festival International Œnovidéo di Marsiglia.
NESOS 2018
Vino sperimentale con aspetti che vogliono volutamente riprodurre qualcosa il più possibile simile a quello prodotto 2500 anni fa e che per un attimo ha riportato le lancette indietro. Prodotto senza alcun contenuto in solfiti per l’azione antiossidante e disinfettante del sale nell’uva che ha permesso di ottenere una stabilità naturale. Il colore giallo paglierino ha riflessi oro quasi ambrati la trasparenza appare ridotta poiché il vino non è filtrato. I profumi vertono su toni quasi tropicali con frutta secca e canditi, cera, resina nei quali si specchia l’appassimento ma subito incalzato da sentori marini salmastri dove si avvertono anche le erbe aromatiche mediterranee. Palato dominato da sapidità ed avvolgenza, dove si trova struttura ed equilibrio, acidità ridotta compensata dalla parte fenolica, che risulta molto più evidente in quanto c’e stata una maggiore estrazione a causa del bagno in mare. Finale leggermente tannico.
“Ricerca scientifica ,scoperte archeologiche, arte, passione per la cultura e la coltura della vite, in un territorio unico come del Parco dell’Arcipelago Toscano hanno dato vita ad un prodotto unico che racconta una storia millenaria.”
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