Viaggio agli estremi degli abbinamenti Abbinare, ars complessa, spesso cavillosa. Tecnica che impone competenza, audacia e notevole disinvoltura!
Uno dei limiti più vistosi degli abbinamenti è “imporre” alla portata assonanze geografiche prettamente territoriali. Imporre: in buona fede, senza alcuna malizia. Offro alcuni esempi giocando in casa, mi sia concesso. Il baccalà alla vicentina, ad esempio, con il Vespaiolo di Breganze, il fegato alla veneziana – piatto superbo – appaiato ad un Valpolicella, oppure i risi e bisi in compagnia del sopraffino Soave. Oltrepassando il Po, giungendo a Bologna, sposare le omonime lasagne con il Lambrusco. Gli esempi potrebbero continuare, perché è difficile calar il sipario quando si discute di un tema così… allettante. Per l’amor di Dio, offire all’abbinamento vino-piatto una “rotta locale” non è scorretto, né fuorviante. Tuttavia, a tavola, perché non andare oltre, sfidando disappunti e croniche perplessità, affiancando al cibo un vino che nulla ha a che fare con la zona di origine della ricetta? Perciò, non è un’idea demenziale servire con il fegato alla veneziana un Cirò rosato, oppure con le lasagne felsinee un Penisola Sorrentina rosso frizzante, vino sublime come pochi altri. E ancora, con un piatto di trenette al pesto, fiero vessillo ligure, un Pinot Grigio Friuli. E zampettando su e giù per la nostra bell’Italia, chi vieta di maritare un piatto di peperoni alla calabrese con un Rosso Piceno? Mangiare senza restrizioni e deliranti spartiacque è uno dei pochi piaceri rimasti ai poveri cristi, alla faccia di coloro che vorrebbero imporre scelte autarchiche, degne di un modo di pensare superato. Almeno, così si spera.
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