Non dimenticherò mai che all’inizio della Pandemia un mio pezzo sulla crisi in arrivo nella ristorazione d’autore fu duramente attaccato da chi continuava a chiedere briosche mentre mancava il pane. Molti erano semplici appassionati che non credevano alla fine del mondo, alcuni campavano piazzando gente i congressi in un mondo fatto di scambio di favori, una immensa zona grigia sotto la quale si era ormai perso ogni colore. I grandi hanno resistito, tanti hanno lasciato il grembiule e si sono travati un altro lavoro, magari meglio pagato. La bolla è esplosa in tutta la sua evidenza. Ma la situazione potrebbe essere ancora più seria. Fino a quando potranno resistere ristoranti in perdita senza sponsor, partecipazione a convegni, consulenze?
Rilanciamo l’intervista pubblicata oggi sul Mattino ad Alfonso Iaccarino, aziend apresente in cinque paesi del Mondo. Il futuro della ristorazione italiana è fuori dall’Italia?
di Luciano Pignataro
Una delle leggi delle crisi economiche è che i ricchi diventano più ricchi mentre i poveri si moltiplicano perché sparisce il ceto medio. Beh, questa crisi strutturale forse non fa eccezione per quanto riguarda l’accumulo di soldi, ma il colpo ai servizi di lusso in Italia rischia di essere letale e definitivo. Stavolta è davvero preoccupato Alfonso Iaccarino, 75 anni, impegnato insieme alla moglie Livia e ai figli Ernesto e Mario nel Don Alfonso, oggi bistellato dalla Michelin.
“Credo che questa sia la peggiore crisi dal Dopoguerra ad oggi. Neanche negli anni ’70, quelli delle domeniche a piedi, ho visto questa situazione di difficoltà. Stiamo pensando concretamente di anticipare la chiusura, dipende molto da come andrà settembre”.
Cosa è successo in pratica?
“Semplice, nel luglio 2021 abbiamo pagato circa diecimila euro di bolletta, adesso siamo a quota 38mila. Questo significa che gli utili operativi di gestione sono quasi completamente divorati dai costi di energia”.
Non potete aumentare un po’ i prezzi? Non credo che per il vostro pubblico sia un ostacolo.
“Il problema è scoppiato a stagione avviata, molti stranieri hanno già prenotato e pagato, inoltre non si possono aumentare i menu e le stanze nella stagione in corso. Dobbiamo fronteggiare questa emergenza con i prezzi che avevamo deciso di mettere. A questo elemento va aggiunto che veniamo da due anni di pandemia, lo scorso anno abbiamo aperto molto in ritardo per rispettare gli standard che i clienti si aspettano da noi”
Eppure la stagione è andata molto bene.
“Più che bene, benissimo. Non ricordo una estate così da quando abbiamo iniziato a lavorare, e la cosa non riguarda solo noi. Il tema economico è che però gli aumenti di energia sono costi fissi di gestione che sono improvvisamente quadruplicati. Dunque bisogna ripensare tutto. E quello che vale per noi vale per tutti. Tra l’altro oggi con le cucine a induzione i costi sono aumentati ulteriormente”.
Ci sta il rischio di una crisi di sistema, ossia il mercato del lusso italiano può collassare?
“Certamente perché parliamo di un mercato mondiale, ristoranti stellati e Relae Chateau non hanno ovunque gli stessi costi, è l’Italia e con noi tutta l’Europa che rischia di perdere la partita con Dubai, Stati Uniti. Tra l’altro dobbiamo considerare che abbiamo perso anche tutto il mercato dell’Est. E l’alta ristorazione si regge quasi esclusivamente con il turismo straniero”.
Quindi dovrete riprogrammare un po’ tutto per l’anno prossimo.
“Più che altro dobbiamo chiedersi se aprire o meno. Se non ci sono interventi radicale che riportano la gestione a costi ragionevoli non vale la pena lavorare per incrementare i profitti delle compagnie che sono arrivati a cifre incredibili in questo primo semestre. Ma inoltre c’è anche un altro problema serio”.
Il personale?
“Certo, anche le bollette private sono in aumento per non parlare della ripresa dell’inflazione ed è chiaro che il valore della busta paga ne soffre. Quindi già era difficile trovare personale dopo il Covid, figuriamoci l’anno prossimo, a meno che gli stipendi non raddoppiano. Ma chi può permetterselo? Ecco perché parlo di crisi strutturale”.
Crisi strutturale vuol dire anche non poter programmare nulla? Per esempio quasi nessuno si è posto prima il problema della produzione di energia con il fotovoltaico.
“Vero, noi lo avevamo in programma. Come pur il rifacimento della facciata. Ma adesso ci fermiamo perché veramente il futuro è pieno di incognite: qui se non c’è un intervento del governo radicale richiamo di vedere tempi brutti. Gli aumenti riguardano tutta la filiera, dai produttori di stoviglie e bicchieri ai fornitori di attrezzature, per non parlare della materia prima da utilizzare in cucina. E’ una catena che pensavamo di tenere sotto controllo sino a qualche mese fa e che adesso è letteralmente ingestibile senza misure politiche. Non capisco come ci siamo potuti ridurre così, come può essere che il prezzo del gas venga deciso da una borsa in Olanda. E l’Europa dov’è? Paghiamo una politica liberista senza controlli in cui alcuni si sono arricchiti mentre la condizione della maggioranza è peggiorata. Sta dunque cambiando l’umore. Noi questi problemi non li viviano a Macao, Usa, Cana e Marocco. Potremmo arrivare al paradosso di lavorare solo all’estero, e non solo noi”.
E quando si è arrabbiati non si pensa a mangiare bene, quanto, piuttosto, a sopravvivere.
“Proprio così. Sembra incredibile, ma il sistema enogastronomico italiano è sottoposto ad una prova durissima e senza precedenti dopo la rinascita degli anni ’90. Abbiamo superato la crisi delle Torre Gemelle, quella del 2008-2009, abbiamo continuato ad investire e a crescere e ad investire quando il Paese era fermo. Ma prima i due anni di Covid che hanno penalizzato proprio la ristorazione, poi questa valanga di aumenti sui costi fissi mettono seriamente in discussione il nostro futuro. E non sto esagerando. Chi me lo doveva dire a me che a 75 anni dovevo vedere tutto questo?”
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