Ecco l’intervista ad Alfonso Iaccarino pubblicata sul Mattino di martedì scorso
Alfonso Iaccarino, grande chef che ha aperto una strada e grande tifoso del Napoli da sempre. Ha memoria delle prime due vittorie con Maradona e il terzo titolo assume un significato particolare per la generazione dei super anta.
“Sono due contesti storici completamente diversi. A causa del terremoto del 1980 quel decennio fu molto duro per Napoli e la Campania, quasi quanto il Dopoguerra anche se non c’era il problema della fame. Maradona incantò tutto e tutti e ci regalò qualcosa a cui nessuno osava sperare e immaginare. Questo scudetto invece arriva in una città in crescita, che guarda con ottimismo al futuro, che ha superato meglio di molte altre realtà i due anni del Covid e, al di là del merito dei giocatori sul campo, è dovuto alla capacità di Aurelio De Laurentis”.
-Molti in effetti hanno ricordato le contestazioni dello scorso anno, alcuni tifosi di altre squadre ironicamente sostengono che le contestazioni più pesanti a questa presidente sono arrivate proprio dai tifosi azzurri.
“Conosco bene Aurelio De Laurentis anche sul piano personale. Ognuno ha il suo carattere, ma è sui fatti che bisogna giudicare. Vero che in estate potevano esserci grandi dubbi, ma cominciamo con il dirci che nascevano da anni giocati sempre da protagonisti, in cui lo scudetto avremmo potuto vincerlo già perché le squadre costruite da questo presidente sono sempre state competitive. E, alla luce di quello che sta emergendo nelle inchieste su alte società, possiamo dire che quella dl Napoli è stata una gestione sana, con la testa sulle spalle, senza colpi di testa finanziari pericolosi”.
-I fatti hanno dato ragione al presidente proprio in quello che poteva sembrare un anno in salita.
“Si perché Aurelio De Laurentis ha dimostrato di saper fare una cosa meglio di tutti: scegliersi i collaboratori più adatti per raggiungere lo scopo. E il risultato finale è oggettivo, non opinabile, non affidato a episodi controversi come è avvenuto per altri scudetti: il distacco dei punti con la seconda, la vittoria anticipata di cinque giornate sono numeri, fatti. E in Champions siamo stati solo sfortunati perché le partite con il Milan sono state giocate con un paio di uomini alle prese con qualche problema fisico, altrimenti oggi avremmo avuto anche un secondo obiettivo, per esempio la finale a Istanbul senza voler andare oltre”.
-Inutile dire che lo scudetto al Napoli è uno scudetto anche a Napoli. Perché?
“Più che a Napoli, all’essere napoletano in tutto in mondo. Noi abbiamo locali in Usa, in Canada, a Macao in Marocco e ovunque ci sono stati festeggiamenti. A New York ho saputo che un pezzo di strada vogliono dedicarla al Napoli Calcio, lì dove si sono trovati centinaia di tifosi azzurri ogni settimana in questa stagione. Siamo una comunità importanti, leggevo che il nostro dialetto è al 77° tra le centinaia di lingue parlate in tutto il mondo. Siamo arte, siamo cultura, siamo stile nel vestire e nel mangiare. Quando si pensa all’Italia all’estero, a parte alla Ferrari, si pensa a Napoli”.
-Festeggiamenti ovunque dovuti agli emigranti, o c’è qualcos’altro?
“Io ho notato una cosa: c’erano tanti giovani a festeggiare. Quando vincemmo i primi due scudetti difficilmente i giovani tifavano Napoli, tenevano, anche in Campania, per le squadre del Nord. Ora questo paradosso è cancellato grazie al fatto che sono parecchi anni ormai che il Napoli ci fa sognare e vedere un grande calcio in campo. Questa è una differenza fondamentale rispetto al passato. C’è un senso di appartenenza anche calcistico così come è giusto che sia. Prima il Sud era rappresentato nel mondo del calcio solo dai giocatori meridionali che comprava Agnelli. La differenza la fa anche il fatto che non siamo finiti in mano a un fondo, che abbiamo una gestione privata rispetto ad altri e questo è un elemento identitario di forza, anche in un mondo abituati a contare solo con gli algoritmi del profitto senz’anima”.
Per chiudere, molti si chiedono perché uno scudetto al Napoli diventi argomenti di discussione su Napoli, e via con tesi sociologiche a metà fra luoghi comuni e brillanti intuizioni. Perché questo non accade altrove?
“Perché noi siamo, tra le grandi comunità dell’Occidente, quella meno omologata e quindi più difficile da decifrare. E lo si vede proprio, per tornare al mio mestiere, da come mangiamo: con l’olio d’oliva e con la gioia, con la cultura in testa, la musica nel cuore e il bello negli occhi. E questi non sono luoghi comuni, perché fanno la differenza nell’affrontare ogni giorno i problemi della vita. In una parola: nessuno da noi è mai solo”.
Dai un'occhiata anche a:
- In Italia mancano 250mila figure professionali, ma la colpa è dei titolari
- Lettera ad un pizzaiolo senza qualità
- La prima polemica inutile dell’anno: Langone versus Romito
- Cilento, una stagione estiva da dimenticare
- Congresso Assoenologi a Cagliari: cinque cose sul mercato da mandare a memoria
- Michelin Italia: nell’era Bartolini-Cannavacciulo non c’è posto per Ducasse
- O la critica gastronomica è positiva o viene rifiutata. Perché cuochi e pizzaioli non accettano le critiche?
- La dittatura degli ignoranti nel food. Mio Dio come siamo arrivati a questo?