Alain Passard Arpege Parigi comincia giovanissimo, a 14 anni, a lavorare in cucina. Impara poi i fondamenti da Michel Breton Kéréver per spostarsi l’anno dopo da Gaston Boyer. Il destino del cuoco francese probabilmente cambia dopo l’incontro con Alain Senderens, monumento tristellato della cucina francese, da cui Passard rileva il locale nel 1986. L’anno dopo arriva la prima stella Michelin, bissata immediatamente nel 1988 e nel 1996 arriva la terza, che mantiene ininterrottamente fino ad oggi. Al ristorante l’Arpège, nel cuore di Parigi si affiancano due grandi orti. In Normandie il Bois Giroult e in Sarthe il Gros Chesnay, inoltre un bellissimo frutteto nella baia di Mont Saint Michel.
Oggi è abbastanza usuale parlare di etica e sostenibilità nel mondo della ristorazione e iniziano ad avere un ruolo centrale le proposte che prevedono un uso importante di verdure. Quando Alain Passard decise, oltre vent’anni fa, di incentrare il suo menù sulle verdure riducendo l’impiego di carne ai soli volatili, si definì quel momento storico come la “rivoluzione vegetale di Alain Passard”. Significando in questo modo l’incredibile novità nel panorama dell’alta gastronomia francese, dunque mondiale.
Un appuntamento con la storia che oggi, durante un pranzo a l’Arpège non possiamo non ricordare e commentare direttamente con lui. Ci incuriosisce in particolare sapere quale è stato il processo mentale che ha portato il grande chef a intraprendere questa strada, in un’epoca in cui alcuni temi erano oggettivamente lontani. Quella scelta e il suo approccio lo ha reso un faro ispiratore di tante successive generazioni di cuochi, la cosiddetta “generazione Passard”.
Durante un pranzo a l’Arpège raccontato da Albert Sapere
Ci racconta lo chef. “Si, siamo stati i primi a mettere in risalto la cucina vegetale. Avevo voglia di cambiare il mio lavoro e di offrire ai miei sensi un’altra avventura, volevo soprattutto assecondare la mia curiosità scoprendo cosa si poteva fare con una rapa, una carota, un porro. In questo modo abbiamo iniziato a definire una cucina di verdure di qualità. Questo è un punto interessante perché non ci si era mai occupati di realizzare un quaderno dedicato alla cucina vegetale di tipo artistico, fine e raffinata. Desideravo farlo, tutto qui. Inoltre ho sempre avuto una passione per i colori e le stagioni. Ogni stagione ha il suo colore. Penso che in quel momento avevamo dimenticato di poter cucinare attraverso i colori, era una fonte di ispirazione trascurata e oggi è favoloso poter integrare la cucina con pittura, scultura, musica. A volte non so come raccontare quello che ho vissuto in quella fase perchè ho cambiato da un giorno all’altro la mia vita, in un momento, all’inizio degli anni ’90 in cui si veniva all’Arpège per mangiare la carne”
-L’Arpege era già stato insignito delle tre stelle Michelin quando la rotta è cambiata. Questo passo è stato compiuto da un giorno all’altro oppure la clientela è stata preparata gradualmente al cambiamento? Quale è stata poi la reazione del pubblico e dei critici nei giorni immediatamente successivi?
Ho cambiato la carta da un giorno all’altro. Il lunedì si serviva carne, il martedì verdure.
All’inizio è stato difficile perché non stavamo intraprendendo una strada seguendo logiche di marketing, era una scelta fatta con il cuore. I nostri clienti si trovarono sorpresi e disorientati, qualcuno scoprendo il nuovo menù decise anche di andare via. I critici invece furono favorevolmente colpiti perché stavamo creando una cucina particolare, dedicata ai vegetali. Erano sorpresi della creatività che riuscivamo ad avere e dedicare alle verdure. In quel periodo non avevamo ancora l’orto ma ci fornivamo in vari mercati. Sentivo che nel vegetale, nelle verdure c’era un potenziale di creatività fenomenale, come una luce che cade nella padella. Questa è l’immagine che mi viene per rappresentare quel periodo splendido. Una luce che cade nella padella! Certo ho corso un grande rischio per la Maison. Era il 1996, tre stelle, un menù in cui trionfava il pollo, il manzo, l’agnello, il vitello, il rognone. Oggi i pochi piatti di carne nel nostro menù sono prevalentemente di volatili. Guardandomi indietro, ripensando alla mia storia ne sono divertito, mi rendo conto che all’epoca non comprendevo il rischio che stavo correndo, fortunatamente, perché altrimenti non so se lo avrei fatto. Fu la passione che mi guidò. E’ la passione, ancora oggi.
-Come vede il futuro?
La cucina vegetale sta guadagnando un posto sempre più importante, soprattutto si sta ridando attenzione alla stagionalità. Questo è un tema importante perché viviamo in un mondo in cui non esistono più le stagioni. Il consumatore è nella confusione, credo che valga anche per l’Italia. Ad esempio nei mercati di Parigi oggi (fine aprile) sembra che sia agosto. Invece stiamo appena uscendo dall’inverno e nel nostro menu ci sono i prodotti che oggi offre l’orto. I pomodori ci saranno a luglio. Per avere gusto, profumo e consistenza ogni verdura ha bisogno del suo tempo. I migliori pomodori li mangeremo quando avranno maturato con il caldo dei mesi estivi perché hanno bisogno di sole, di calore, di luce. Cose che una serra riscaldata non potrà mai dare come la natura. Inoltre il pomodoro è fatto per la maggior parte di acqua, serve per rinfrescarsi, va mangiato quando ci sono venticinque gradi non meno cinque. Tutto è scritto. La natura è perfetta.
-Molti chef non riescono a sopportare la pressione arrivati a raggiungere le tre stelle Michelin o di stare sempre sotto i riflettori mediatici. Come si fa a sopportare questo stress?
La cosa più importante è che la mia brigata, 50 persone, possa parlare con me perché sono sempre al ristorante. Trasmettere positività e gioia di vivere. Affrontare con il sorriso le giornate, incoraggiando con parole gentili e soprattutto avere e trasmettere passione. Ogni giorno il primo giorno.
Nella nostra cucina tutti hanno il diritto di parlare, durante la fase creativa tutti posso contribuire. Ascoltiamo chiunque abbia un’idea esortando a mostrarla. Per fare questo bisogna mettere la squadra a proprio agio lavorando sempre a stretto contatto, insieme.
Non serve mettere pressione ricordando ogni mattina che abbiamo tre stelle e non dobbiamo perderle. Le stelle sono là e brillano, tutte le mattine da 23 anni.
Tutto sta nel lavorare con passione mettendo al centro delle nostre giornate l’orto. Ogni mattina trasformiamo quello che la natura ci offre. Il mio orto, dove vado spessissimo, mi ha salvato la vita, la natura scrive ogni giorno una poesia di una bellezza unica. Valorizziamo cosi anche un altro mestiere che è quasi scomparso, il contadino. Lavoro creativo quanto quello del cuoco. Oggi infatti non sono solo, ho i miei contadini che sono con me così come i miei cuochi. E’una grande squadra.
Oggi un cuoco che rispetta le stagioni ha un potenziale enorme. Non si possono vedere i pomodori in cucina tutto l’anno. Bisogna che una stagione ritorni un appuntamento, bisogna che una stagione ci apra alla sua diversità. Un pomodoro è un appuntamento in luglio, un asparago in aprile, una castagna in autunno.
Il suo maestro, Alain Senderens, cosa ha pensato della scelta drastica?
Aveva paura, non dormiva. Io dormivo ma lui no. Aveva però una grande fiducia in me. Solo dopo ha compreso quello che stava passando nella mia testa ma non mi ha mai chiesto di fermarmi. E ancora oggi, non cambierei la mia scelta, anzi la sostengo più che mai.
Alain Passard Arpege Parigi
Alain Passard sarà relatore a LSDM 2019
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