di Marina Alaimo
Una delle forme più brutali del comportamento umano che ci caratterizza è sicuramente l’indifferenza verso la sofferenza altrui. Ci siamo abituati a vedere per strada uomini e donne che vivono nella miseria più nera e passiamo oltre senza nemmeno guardarli. Praticamente il povero nella nostra società perde del tutto il suo diritto ad essere, diventando un qualcosa di invisibile e, se proprio gli dedichiamo lo sguardo, ci dà persino fastidio. Eppure un italiano su tre è a rischio emarginazione sociale e tra questi due su tre sono al Sud. Quindi il fenomeno riguarda ormai un po’ tutti in maniera vicina o lontana e dovrebbe destare non poco interesse e preoccupazione.
Qui a Napoli li vediamo numerosi accampati sotto il torrione di quello che rimane della fortezza del Carmine in via Marina, detta anche lo Sperone per la sua forma omologa. Non hanno scelto a caso di abitare le aiuole che circondano la vecchia torre, a pochi metri c’è chi garantisce loro assistenza sanitaria ed un pasto caldo ogni giorno. Sono i volontari del centro accoglienza Padre Elia Alleva che ha sede nella basilica santuario del Carmelo Maggiore in piazza del Carmine. Elia era un frate carmelitano che durante la seconda guerra mondiale si dava un gran da fare per accogliere, assistere e sfamare chi fosse caduto in disgrazia.
Aveva sognato tutta la vita di creare una mensa stabile ed organizzata per i poveri, ecco perché il centro, fortemente voluto e sostenuto economicamente dai frati, è a lui dedicato. Chi non ha mai varcato la soglia che introduce a questo mondo sommerso e sconosciuto viene immediatamente investito da sensazioni e pensieri molto forti, che tolgono quasi il respiro. Ma arriva in fretta la calma, trasmessa dagli occhi di chi si affanna tra la cucina e la sala per servire il pranzo ai numerosi ospiti senza nome. Si fanno accomodare tutti, non si chiedono le generalità o altre informazioni a nessuno. La regola è che chiunque arrivi debba mangiare perché qui la provvidenza è un valore fortemente sentito, indipendentemente dal rapporto personale che ognuno ha con la fede, qualsiasi essa sia. Con grande sforzo dei sessanta volontari la mensa è aperta 365 giorni l’anno ed è l’unica a Napoli ad offrire un servizio così costante. Le porte della mensa che danno su via Marina si aprono al pubblico dalle ore 11 alle 12,30, si servono circa 250 pasti caldi al giorno, 150 prime colazioni e tanti altri pasti vengono consegnati al sacco a chi arriva fuori orario. Si effettuano dai tre ai quattro turni per riuscire a far accomodare tutti: in sala si sta ordinati, si chiacchiera sottovoce e sono tante e diverse le etnie dei numerosi ospiti. Chi è ubriaco o troppo agitato non può entrare perché metterebbe a dura prova l’armonia che, nonostante le circostanze, si riesce comunque a garantire. Per lo più sono extracomunitari o comunque stranieri, con un forte incremento negli ultimi anni di napoletani e italiani.
Antonio, il responsabile della mensa, ci racconta che questo fenomeno crescente è spesso motivo di depressione per i volontari. Spaventa e rattrista vedere i propri concittadini essere costretti ad andare a mangiare alla mensa per i poveri. Anche in questo caso non si chiede la propria storia a nessuno perché questo crea disagio ed imbarazzo e l’ospite, messo in difficoltà, potrebbe non tornare e perdere anche questo punto di riferimento importante per la sua sopravvivenza. Spesso la miseria non è fatta di solo disagio economico, ma di solitudine ed indifferenza. Bussando a questa porta si cerca di colmare quel vuoto creato dal fallimento della famiglia o delle istituzioni che non ricoprono più certe esigenze sociali, seppure rappresentino un fenomeno in preoccupante crescita. Si presentano alla mensa con grande umiltà e sguardo basso: si paga qualcosa per sedersi? Posso tornare ancora? Guglielmo, anziano e non vedente, arriva con l’ausilio del suo bastone e viene aiutato nel mangiare perché da solo non ci riesce. Maria ha poco più di venti anni, non parla con nessuno, si è cercato più volte di aiutarla, ma non le si cava una parola dalla bocca. Francesco e Valeria sono una coppia giovane, curati entrambi, educati, giungono qui pieni di bagagli, è chiaro che vivano per strada – il loro disagio è sicuramente di natura familiare e forte la preoccupazione che possano essere vittime dei branchi violenti che circolano di notte per la città. Mentre nella sala si mangia e si servono i pasti, in cucina si lavora a gran ritmo e i volontari sono molto diversi tra loro, sia per età che per estrazione sociale. Antonio è molto contento del fatto che collaborino tanti giovani, persino oggi che è domenica. C’è anche una coppia di fidanzatini che si dà un gran da fare. Due giorni a settimana si offre servizio doccia, barbiere e biancheria pulita, ma anche assistenza medica. Il cibo servito alla mensa è garantito dalle donazioni di chi fa beneficenza in totale anonimato. E siccome questo blog è letto per lo più da produttori del settore gastronomico, agricolo e da ristoratori, ci auguriamo che qualcuno rifornisca di beni alimentari il centro accoglienza che ne ha grande necessità visto il numero sostenuto di bocche da sfamare ogni giorno.
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