di Lee Adendorff
Una piccola rivoluzione nella viticoltura italiana proseguiva all’inizio di agosto sulle colline Lucchesi. All’ombra di un albero nel giardino della Tenuta di Valgiano sopra Lucca, Alex Podolinsky, esperto mondiale in materia di agricoltura biodinamica, ha tenuto uno dei suoi ultimi incontri con un gruppo di viticoltori e agricoltori, dopo più di due mesi di conferenze in Italia.
Il suo pubblico aveva il volto abbronzato e le mani di persone che lavorano la terra. Un paio prendevano appunti, la maggior parte ascoltavano in silenzio le parole misurate di Podolinsky, accompagnate dalla fluida traduzione del suo amico Saverio Petrilli, enologo della Tenuta e lui stesso un punto di riferimento per la viticoltura biodinamica in Italia.
Ad un certo punto, dopo di aver parlato delle basi della tecnica biodinamica, Podolinsky prende quello che sembra una piccola massa di fango da un sacchetto di plastica. Questo è stato il suo compagno di viaggio per gli ultimi dodici settimane: un colloide derivato da letame di vacca secondo un processo di trasformazione biodinamica che può contenere al suo interno fino al 70% d’acqua ed un’altissima concentrazione di materiale organica viva. Questo rappresenta, per molti versi, il fulcro del messaggio di Podolinksy.
La terra vivente.
E’ anche uno dei punti cruciali della biodinamica, che richiede l’uso di preparati organici che permettono ai microbi di fiorire, portando non solo salute ai terreni, che successivamente non hanno bisogno di additivi chimici, ma anche a piante sane senza bisogno di intervento chimico per controllare i parassiti e le malattie.
Podolinksy ora ha 86 anni e viene in Italia dal 1992, per incontrare regolarmente gli agricoltori italiani e per discutere della loro pratica biodinamica, offrendo i suoi consigli e a volte la sua critica tagliente. Non chiede mai oneri per i suoi consigli ne fondi per il suo viaggio, ma rigore e serietà da parte di chi lo ascolta. Un incontro con Podolinsky può essere a volte controverso, ma è una esperienza che non si dimentica.
Un osservatore astuto dei cicli della natura e dell’intervento umano, Podolinsky è un po’ agricoltore e un po’ filosofo. Ha vissuto gran parte della sua vita in Australia, dove fuggì dopo la seconda guerra mondiale, perseguito perchè proveniente da una famiglia importante dalla Russia-Ucraina. In Australia ha un allevamento di mucche ed è qui, insieme ad altre attività agricole, dove tanti dei suoi metodi – evoluti dalle teorie biodinamiche del filosofo Rudolf Steiner – hanno trovato un fertile campo di sperimentazione e successo. I risultati li ha condivisi con professori universitari, membri del ministero di agricoltura e agricoltori individuali quando e quanto possibile. Ha pubblicato diversi testi e ha fondato l’associazione Demeter (presente anche in Italia), per certificare e sorvegliare pratica e prodotti biodinamici. Oggi si stima che più di 3 milioni di acri sono coltivati biodinamicamente in Australia, 80% della superficie mondiale coltivata in questo modo.
Molti produttori di vino in Italia sono stati interessati nel metodo di Podolinsky ed un numero crescente è passato alla biodinamica. Questo non deve sorprendere. Vigne che crescono senza interventi chimici generano non solo prodotti più sani per il consumatore ma possono rispecchiare il vero ‘terroir’ di un luogo, leggendo la terra anziché un sacchetto di sostanze chimiche. I vini biodinamici non sono più considerati ‘i vini degli hippy’, e si presentano ora come una vera alternativa di qualità alla viticoltura convenzionale, nonché commercialmente sostenibile.
Una logica economica deve accompagnare la biodinamica secondo Podolinsky, e lui ha sempre sostenuto una differenza importante tra agricoltori di professione e chi fa l’orto per casa. La pratica biodinamica è un approccio alla vita e all’agricoltura che ha obiettivi alti – alcuni potrebbero dire altruistici o addirittura spirituali – ma si pratica in un mondo materiale fatto di commercio e scambio economico. Per avere longevità la biodinamica non deve costare di più, ma meno rispetto alle coltivazioni tradizionali, e nessuno lo capisce meglio di chi ha bisogno di collocare i suoi prodotti sul mercato. Nessuno, infatti, meglio di quelli agricoltori raggruppati sotto quel albero.
Foto di Lido Vannucchi
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