VITICOLTORE MOCCIA
Uve: piedirosso
Fascia di prezzo: dai 5 ai 10 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio
Ormai il paragone viene spontaneo a tutti: ma sembra un pinot nero della Borgogna! Il motivo è molto semplice, pugno d’acciaio in guanto di velluto con un impatto elegante e fine al naso in cui si fondono la frutta ciliegiosa matura ai sentori cinerei e fumé del territorio campano, tutto corredato a spezie e macchia mediterranea.
Ancora l’ingresso è secco, senza dolce sulla punta della lingua, i tannini sono fini, eleganti, ben risolti come sempre avviene con il Piedirosso. Poi dal centro bocca il vino inizia a sprigionare una potente energia vitale, un po’ l’alcol, un po’ la capacità di occupare ogni angolo del palato regalando alla fine una beva facile ma lunga e persistente. E, soprattutto, non monocorde.
Insomma un vino moderno e di facile approccio, ma anche cangiante ed efficace sul cibo.
Lo abbiamo riprovato in un bel pranzo invernale da Nonna Rosa, proposto da Luigi Casciello dopo il Cannonau di Dettori ed è stata felice la sequenza perché il Piedirosso di Raffaele aveva sicuramente un spinta in più rispetto al già buono vino sardo.
Sono passati ormai quasi quattro anni e questo vino fermentato solo in acciaio dimostra una longevità davvero insospettata. Di più: l’evoluzione lo vede composto, equilibrato, ben maturo. Cosa che mai ci si aspetterebbe dal Piedirosso, in genere considerato, me per primo, un vino da bere nei primi due op tre anni.
Invece lo stadio in cui lo abbiamo becatto è ancora adolescenziale, ricco di promesse.
Scheda del 3 novembre 2010. Conosco Raffaele Moccia da oltre un decennio, ho camminato a lungo con lui ogni palmo della sua vigna ad Agnano, alle pendici del cratere spento degli Astroni; Esperienza per certi versi cruda, per la fatica che impieghi a farlo ma soprattutto per il rammarico nel constatare come molti altri non hanno saputo, come lui, conservare la vigna preferendogli invece cemento e lamiere come se piovessero dal cielo. Dai declivi dei terrazzamenti ti accorgi quanto duro lavoro serva qui per portare avanti la vite, in un lembo di terra letteralmente strappato alla periferia napoletana e chissà a quale scempio condonabile.
Ogni due passi nel risalire la collina sono più o meno un metro netto regalato alla natura, un gesto del tutto estraneo al contesto che gli scorre velocemente sotto il naso. I rumori assordanti di uno dei quartieri più popolosi di Napoli sono ad un tiro di schioppo, ma risalendo la china, una volta arrivati qui, appaiono quasi del tutto assorbiti dal moto lento che la natura stessa esige ed impone.
Tre ettari e mezzo strappati alla città dicevamo, piantati perlopiù a piedirosso – qui per tradizione detto per e’palummo – e falanghina per la parte che interessa la produzione vinicola di Agnanum; Ma, qua e là tra i filari, alcuni dei quali ultra centenari, non mancano altre varietà a bacca bianca tradizionalmente presenti, in maniera certamente minore, su tutto il territorio flegreo, come la catalanesca, la biancolella e la gesummina, utilizzate però in questo caso dal papà di Raffaele per suo ludico diletto; E poi l’immancabile marsigliese, vitigno a bacca rossa dalle origini certamente francesi (si paventa una somiglianza col Tannat), di sovente utilizzata altrove come “varietà tintoria”. La stessa, recentemente, pur in maniera solo ufficiosa, è stata fortemente valorizzata dal buon lavoro della famiglia Di Meo de La Sibilla della vicina Bacoli, che ne ha fatto, con il suo cru Marsiliano, un gran bel vino, rilanciando la prospettiva di un modo nuovo per leggere i Campi Flegrei con una scrittura pur estranea alla doc locale.
Il per e’palummo 2009 di Raffaele, giuro, sarà un vino sorprendente per molti, a patto però di armarsi di una santa pazienza certosina. Eh si, perché i vini di Agnanum, pur caratterizzati da una bevibilità unica, vanno aspettati a lungo, lasciati respirare, “aprirsi”, concedendogli cioè il giusto tempo di ossigenazione, a conferma di una storia agricola pregnante, un millesimo, questo 2009, particolarmente interessante in terra flegrea ed una artigianalità espressa al massimo dai particolari, con il piedirosso più della falanghina. Un vino dal colore purpureo, vivo, caratterizzato da buona concentrazione; Il primo naso va lasciato sfumare, le prime note di evidente riduzione possono rappresentare in molti casi una caratteristica peculiare del varietale, ma già dopo qualche minuto si riescono ad apprezzare un susseguirsi di sfumature piuttosto invitanti, a tratti atipiche, che dopo poco tempo vanno evidenziando un frutto sì polposo ma soprattutto note speziate e terrose molto particolari, direi quasi ficcanti. Mentre il naso va maturando una sua linearità a tempo debito, il palato non ha bisogno di lancette per lasciare traccia della sua essenza: è subito intenso, fresco, asciutto quanto basta, un vino avvincente ed avvolgente pur mantenendosi leggiadro e godibilissimo dal primo all’ultimo sorso, offrendo alle papille gustative un costante esercizio ricognitivo di un frutto integro e sempre in primo piano. Raffaè, a dire che buono è buono, anzi direi eccellente, ma niente niente ti sono scappati due o tre grappoli di marsigliese in questo piedirosso? (Angelo Di Costanzo)
Sede in Via Vicinale abbandonata agli Astroni , 3, Napoli .Sito www.agnanum.it . email : info@agnanum.it Tel e Fax 081 2303507. Ettari : 3 e mezzo . Enologo : Maurizio De Simone. Bottiglie prodotte : 13.000. vitigni: Falanghina, Piedirosso.
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