di Rocco Catalano
L’Aglianico del Vulture muove passi sempre più certi sui palcoscenici importanti della produzione enoica d’Italia, interessanti sono le menzioni che i produttori ricevono, come pure incoraggianti sono i dati del mercato per un vitigno che potrà, e auspico saprà, ritagliarsi spazi ancora più preziosi.
Si registra rinnovato entusiasmo e giusto fermento; ciò che serve è il collante, che purtroppo non sempre è stato l’elemento distintivo tra i nostri vigneron. Visioni e visibilità sono stati spesso gli elementi critici, dove per visioni s’intende l’idea di promozione, identità e produzione e per visibilità si pensa alle sovraesposizioni di alcuni e non di tutti.
Ciononostante mi sono fatto una positiva idea e versione degli accadimenti e delle prospettive che possono favorevolmente interessare questo territorio.
Si affacciano nuovi protagonisti, nuove generazioni, quasi tutte rappresentate da donne in una fase in cui importanti aziende vitivinicole del panorama nazionale, hanno rilevato alcune storiche cantine del Vulture e stanno modificando linguaggi e probabilmente aspettative per un vitigno millenario che ancora ha fatto sentire poco dell’esplosività del vulcano buono di cui è figlio, e che oggi potrebbe e dovrebbe, invece, con più spavalderia, affrontare sfide e sgomitare con i più blasonati vini per guadagnarsi il giusto spazio sulle tavole di tutto il mondo.
Con le proporzioni del caso, e con il rispetto necessario nel parallelismo che andrò a svolgere, mi piace pensare a questo momento del Vulture e a ciò che è accaduto in Piemonte con i “Barolo Boys”, la generazione di contadini di Langa che, praticamente sconosciuta fino alla fine degli anni Ottanta, ha cambiato modo di interpretare e comunicare il più famoso vino rosso piemontese, diventando star incontrastata per tutti gli anni Novanta e consolidando il successo barolista sui mercati di tutto il mondo.
Definirei “Aglianico’s Women”, considerata la straordinaria presenza di donne, questa volontà di fare squadra, parafrasando, appunto, l’espressione che il NYT usò a suo tempo per definire il movimento dei giovani barolisti. Un po’ rivoluzionario, un po’ esuberante, spiritoso ed intraprendente è il desiderio rinnovato di raccontare il territorio che vede le donne dell’Aglianico assieme ai tanti giovani produttori di voler segnare un nuovo corso agronomico e tecnico. Lo fanno bene, almeno a giudicare dai riconoscimenti e dalle interessanti iniziative proposte per la promozione del vulcanico vitigno. Non sarà certo facile o indolore procedere verso un rinnovamento che passa attraverso, o soprattutto, da una visione di squadra e di territorio, e che probabilmente mette al centro della contesa la questione della vera identità dell’Aglianico del Vulture che, spero, non passi solo attraverso un non apprezzabile tentativo di “rottamazione” o per la demonizzazione del legno. Quindici o venti anni fa il “parquet” nel vino era un pregio e non certo un difetto, e la pipì di gatto o un cattivo odore era tale anche allora mentre oggi abbiamo rivisitato i bouquet; insomma quale è il vero Aglianico del Vulture e quale quello in grado oggi di entrare nel mercato in maniera sempre più vincente?
Mi auguro che quelli che seguiranno saranno anni di successi e ricchezza per il territorio del Vulture, che non irrompano scismi ad avvelenare un dibattito che deve essere costruttivo, minando lo spirito di squadra e l’entusiasmo che si respira in questi ultimi tempi. Che vogliano mettersi a valore l’esperienza e l’energia, cogliere nuove sfide e proiettare nuove visioni. L’alternativa, meno avvincente a mio avviso, è una continua parcellizzazione a tutto vantaggio dei grandi gruppi che potranno fare buono shopping a basso costo.
Nel frattempo The Mamas & the Papas con California Dreamin’ mi avviano ai saluti lasciando spazio, se lo si vuole, al dibattito, ai pareri, agli appunti, ai contrappunti, ai disappunti, ai mormorii e alle varie.
Prosit e Serenità.