di Antonio Di Spirito
Aglianico a Roma!
Oltre settanta aziende Hanno partecipato alla kermesse portando in assaggio i loro vini ai tantissimi appassionati ed operatori del settore che hanno affollato oltre ogni aspettativa le due sale del Radisson; basti pensare che i due seminari annunciati,hanno registrato subito il tutto esaurito ed avevano lunghe liste di attesa, impossibile da soddisfare.
In certi momenti della giornata gli spazi erano esigui, ma come si fa a prevedere un afflusso cosi elevato?
Tutto ciò a dimostrazione che gli appassionati ci sono ed in gran numero; non sono altrettanti gli eventi così interessanti e ben organizzati. In questa circostanza Andrea Petrini e Marco Cum, con la regia di Luciano Pignataro, si sono superati.
Il tema dell’appuntamento era dedicato ai vini prodotti con aglianico, il vitigno principe del centro-sud; ma molti produttori hanno portato anche altri vini, bianchi compresi.
Erano rappresentati tutti i territori interessati, importanti e piccoli: Irpinia, Sannio, Vesuvio, Costa Amalfitana, Cilento, Falerno, Basilicata e Puglia. E la rappresentanza dei vini non ha soddisfatto solo i territori, ma anche le varie espressioni e gli esercizi stilistici che in alcuni territori sono molto variegati.
Abbiamo avuto modo di assaggiare vini molto giovani (2018), intermedi e con invecchiamento importante; qualsiasi versione prendiamo in considerazione, non troviamo mai un vino banale.
A tal proposito mi sento di dire, confortato anche dal parere di un’”autority” assoluta e che con questo vitigno si dà del “tu” da più di qualche decennio – Luciano Pignataro – che i vini prodotti con questo vitigno invecchiano benissimo; non si trova mai un vino decrepito, neanche tra le annate molto vecchie. Con quell’acidità e con quel tannino è una continua sfida al tempo; ma questo lo avevano constatato già i Romani, che lo bevevano solo molto invecchiato.
Talvolta, per fortuna di rado, qualche vino, specie fra quelli invecchiati oltre i tre anni, risentono della vetustà dei recipienti di legno utilizzati, di pratiche di vinificazione che guardano troppo alla tradizione di vendemmiare nella prima decade di novembre e sovra estraendo tanta materia con lunghissime macerazioni; con il risultato di avere dei vini molto corposi, stanchi, con note di confettura e/o di cacao.
Questa occorrenza non avviene, guarda caso, nella denominazione “Campi Taurasini”, che resta sempre un vino giovane, con una notevole struttura acida, sulla quale è innestata una componente, molto piacevole, floreale e fruttata ed un tannino imponente, ma dolce e vellutato: domato.
Dovunque venga coltivato, l’aglianico si annuncia al naso con profumi di ciliegia nera (cerasa), marasca ed arancia sanguinella; al palato quella frutta è sorretta da una componente acida notevole, dei tannini intensi e dolci ed il sorso risulta sempre molto concentrato e di grande personalità.
Il territorio, pur assecondando ed esaltando sempre queste caratteristiche, completa il quadro organolettico con la mineralità. La Campania, si sa, è una regione i cui terreni posano su roccia lavica o, addirittura, dolomitica e lo strato superficiale è un misto di terra e cenere piovuta da una o più eruzioni dei tanti vulcani presenti, ancora in attività o spenti da millenni.
E’ così per la zona di Roccamonfina e Falerno (il vulcano di Roccamonfina si è spento oltre 50 mila anni fa); la zona di Campi Flegrei è tuttora su vari vulcani attivi e solfatare; il Vesuvio, a seconda delle bocche che si sono aperte e dei venti, ha incensato tutta l’area circostante nel raggio di almeno cento chilometri, dal Sannio, all’Irpinia, alla costa Amalfitana e, naturalmente , tutta l’area sottostante: le falde del Vesuvio. Senza dimenticare, poi, che molte di queste terre sono riemerse dal mare e sono ricche di fossili.
Stessa cosa, naturalmente, per la Basilicata con il Vulture che si è spento oltre 140 mila anni fa.
Il territorio marca il vino con la propria mineralità, che ognuno di questi porta nel suo corredo olfattivo; attraverso il tipo di mineralità, talvolta, si riesce a capire la zona d’origine del vino stesso.
Non faccio mai classifiche, né assegno voti; voglio solo ricordare qualche vino, ognuno in rappresentanza del proprio territorio d’origine.
Cautiero – Campania IGP Fiano 2010: grande annata ed ideale punto d’invecchiamento per un vino che andrebbe goduto quando raggiunge note terziarie gradevoli e di grande pregio; questo vino si trova proprio in un momento magico con freschezza intatta e grande piacevolezza di beva.
Sertura – Greco di Tufo DOCG 2017: questo vino ha un grande avvenire se si riuscisse a superare la tentazione di goderselo subito; acidità, consistenza ed intensità caratterizzano un sorso progressivo.
Boccella – Irpinia Campi Taurasini DOC Rasott 2016: tipico esempio di vino giovane, fruttato, fiero, con un sorso agile e consistente.
Sorrentino Vini – Lacryma Christi del Vesuvio Rosso DOC Vigna Lapillo 2015: è un vino che cattura subito l’attenzione di chi lo assaggia ed affascina; è morbido e forte, fresco, speziato e tannico; tutto in perfetto equilibrio.
Torre Pagus – Beneventano IGP Impeto 2009: dopo una macerazione di 30 giorni passa 16 mesi in barrique e, dopo l’assemblaggio, affina 3 mesi in acciaio prima della bottiglia; è morbido e potente, fresco e speziato.
Fontanavecchia – Aglianico del Taburno DOCG Vigna Cataratte Riserva 2010: frutta ancora croccante si fonde con note balsamiche; il sorso è tannico e succoso.
Luigi Maffini – Cilento DOC Cenito 2015: è un vino concepito per la piacevolezza e per non scadere nella pesantezza e nella banalità; ha un sorso agile e consistente, succoso, saporito e speziato.
Tenuta Cavalier Pepe – Taurasi DOCG La Loggia del Cavaliere Riserva 2012: Milena Pepe ha inviato 5 etichette fantastiche: tre bianchi e due Taurasi; questa riserva ha un sorso agile, gustoso e speziato.
Di Meo – Taurasi DOCG Selezione Hamilton Riserva 2007: che finezza! Potenza ed eleganza perfettamente coniugate.
Perillo – Taurasi 2008: i tempi lunghi ripagano sempre e l’azienda è una garanzia di bontà e qualità, oltre che di tipicità.
Tenuta Scuotto – Stilla Maris 2012: edizione limitata e protocollo di nuova concezione; si produce solo in annate eccellenti. Ha freschezza, sapori intensi e tannini vellutati; chiusura elegante con spezie fini.
Casa Maschito – Aglianico del Vulture DOC La Bottaia 2015: una piacevole conferma; mi ha impressionato la nitidezza dei sapori e la potenza del sorso, comunque snello e vivace.
Grifalco – Aglianico del Vulture DOC Damaschito 2015: si avverte una mano leggera e rispettosa che guida il processo di produzione; il sorso è dinamico e deciso.
Tenuta I Gelsi – Aglianico del Vulture DOC 2016: l’azienda è molto giovane, ma il vino ha una sua personalità ben delineata; è forte e deciso, anche se si nasconde in una veste delicata e modesta.
Vigne Mastrodomenico – Aglianico del Vulture DOC Likos 2015: inizialmente pigro e timido, poi si manifesta intenso e di carattere; il suo punto forte è l’acidità e la persistenza: dopo la deglutizione ti ritorna la frutta croccante, il tannino gentile e la speziatura intensa.
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