Oggi davvero seppellisco una parte della mia memoria gastronomica: è scomparso da due ore Raffaele Vitale, l’autore di alcuni dei più bei locali mai pensati. Raffaele, 69 anni a ottobre, è stato un grande architetto, un ambasciatore non nostalgico del passato, aveva capito che il vero lusso oggi è fare, costruire e mangiare il meglio di quello che ci ha regalato la nostra storia prima del devastante ingresso delle multinazionali del cibo in questo settore, della estetica che ha dettato i tempi dell’etica, di quella omologazione di sapori e di costumi che, come notò amaramente Pierpaolo Pasolini, neanche i regimi totalitari della prima metà del ‘900 erano riusciti a creare quanto l’inurbamento forzato, l’abbandono delle campagne, il disastro demografico delle zone interne.
Peggio, molto peggio di una guerra.
Per Raffaele il vero lusso era rivivere quel passato con il confort moderno: i suoi fantastici locali, Terrasanta, Casa del Nonno, Casamare accolgono, rassicurano, diventano antri pieni di cose buone, il meglio del nostro Paese raggiunto con la conoscenza, i viaggi, lo scambio di opinioni, prima dei social, fuori dai social, lontano dai social. Ma la sua genialità si è espressa sul mare con Acquapazza e il Praia Resort, sulla terra con Accurso a Giffoni Valle Piana, tanto per citare altri due suoi capolavori assoluti.
Ha passato la vita a raccogliere le schegge di un passato che molti buttavano nella spazzatura. La sua cucina era tradizionale ma moderna, contemporanea, i sapori erano appena rivisti e sostenuti dalle tecniche.
Con il suo Casa del Nonno 13 raggiunse la stella Michelin, ma non ne fu condizionato, non cambiò stile, anzi, lo consolidò ampliando le sue possibilità e diventano una piccola fucina di talenti che poi si sono fatti strada in questo settore.
Negli ultimi anni aveva scoperto la ricchezza della Calabria, ed era un tema di cui abbiamo discusso tanto fra noi: di questa miniera di sapori e cielo aperto fra Tirreno e Jonio, da scovare fra Pollino, Sila e Aspromonte, frammenti di saperi e di sapori non riproducibili. Quando lo andai a trovare sullo Jonio ci ripromettemmo di fare una serie di escursioni a caccia di maiali neri, caciocavalli, ‘nduja. Ma l’errore più comune è quello di pensare che abbiamo sempre tempo a disposizione per fare quello che rimandiamo..
Amava i materiali che da sempre preferisco: il legno e la ceramica, estetica ed etica corrispondevano perfettamente come in pochi locali nell’ambiente e nei piatti.
Forse il suo difetto, o il suo pregio non so, è stato quello di non voler affrontare le grandi città, Napoli per lui era fonte di ispirazione ma non ha mai voluto entrarci nonostante infinite sollecitazioni. Roma e Milano non ne parliamo proprio. Amava la provincia, la prima immagine che ho di lui è una manifestazione dove rilanciava l’usanza di mangiare il cozzetto di pane con il pomodoro in un cortile a Mater Domini fra contadini e studenti. Con lui lanciammo I Fedeli del San Marzano nel 2004, quando la grande industria aveva ormai abbandonato questo straordinario prodotto.
Ora che ne sto scrivendo, mi accorgo che forse è la persona che più mi ha influenzato in questo mondo regalandomi una sana diffidenza verso le forme di nuovismo senza sostanza, l’avanguardia urlata ed esibita per la tv e i social, il punto di equilibrio fra tradizione e contemporaneità me lo ha piantato lui nel palato durante le innumerevoli serate che abbiamo trascorso insieme.
Ironico, un po’ fumino, il suo pensiero fisso era sempre il cliente che voleva far godere dal primo all’ultimo boccone. Disponibile sempre.
Posso dirlo? Forse la stella più bella, colta e intelligente di Fausto Arrighi.
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