Stanotte è morto Enzo Caldarelli, il più ardito, il più visionario, il più estremista dei critici gastronomici che abbia conosciuto. Se ne è andato improvvisamente mentre stava al Don Alfonso dove si era recato per un appuntamento con un giornalista straniero.
Il ristorante era chiuso per riposo, per questo si era fatto portare qualcosa da mangiare in camera, ma si è sentito subito male senza riuscire a toccare nulla. Tutto il personale del Don Alfonso si è mobilitato, la struttura è anche dotata di un defibrillatore ma il medico, prontamente arrivato, non ha potuto che constatare il decesso per morte naturale: il fisico di Enzo, provato da altre patologie, ha ceduto proprio in uno dei luoghi da lui più amato.
I critici digitali dell’ultima ora sicuramente non lo conoscono perché Caldarelli appartiene ad un altra era geologica, schierato con Santi Santamaria nelle polemiche contro la cucina molecolare di Adrià, aveva organizzato Stravaganze Mediterranee al Quisisana a Capri e poi allo stesso Don Alfonso alla fine degli anni ’90, il primo vero congresso gastronomico italiano. Essere all’avanguardia per lui significava ritornare alla purezza della materia prima, schierato contro l’eccessivo tecnicismo e contrario alla esaltazione estetica dei piatti. Nel corso degli anni i suoi interessi avevano attraversato l’arte e la filosofia senza mai perdere di vista la gastronomia e la sua posizione si era radicalizzata sempre di più.
“Dobbiamo tornare alle origini – ha dichiarato in una intervista un anno fa – La cucina di oggi ha perso la sua etica. Purtroppo per molti personaggi famosi è più conveniente e semplice produrre bellezza visiva con belle creazioni fotografiche per i social media, invece di creare una cucina buona e sana per il consumatore. Spesso nei ristoranti delle celebrità i piatti sono deludenti; non ci sono profumi, gli ingredienti sono quasi sempre poveri o mediocri, le basi sono fatte senza rigore. L’estetica è più attentamente considerata. Siamo nell’epoca dei falsi e delle falsificazioni, delle fake news”.
E, ancora: “Un esempio di falsificazione è dire di usare prodotti naturali, e aiutare gli agricoltori e i piccoli produttori. In realtà, gli acquisti si fanno per telefono e non al mercato; i prodotti sono figli dell’industria alimentare cattiva e hanno ben poco a che vedere con la salute e la naturalità. Nel campo alimentare, invece, c’è una mancanza di trasparenza nell’etichettatura e nei messaggi di comunicazione. Ma siccome mi preoccupo di mangiare sano, direi che la prima contraffazione, anche se non è la più grave, viene dalla cattiva industria alimentare, dalla perdita del rapporto diretto con la natura e con il sapere artigianale”.
Il suo cuoco preferito è sempre stato Rocco Iannone, ma fu lui a capire per primo le qualità di un giovanissimo Francesco Sposito consigliandolo a Passard e poi a Igles Corelli.
Personaggio di grandissima intelligenza, dalle mille e incredibili relazioni internazionali, ma al tempo stesso impenetrabile e assai poco propenso alla luce della ribalta. Un esempio tipico di intellettuale del ‘900, chiamato a raccontare la crisi più che a dare una risposta alla crisi.
Il suo addio è stato un coup de théâtre assolutamente aderente al suo personaggio. Impossibile dire se lo abbia in qualche modo desiderato o premonito, quel che è certo è che ha lasciato un mondo ormai troppo commerciale per un vero avanguardista come lui. Aveva capito che oggi per stare avanti bisogna camminare all’indietro.
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