Carlo Numeroso non è più da stamattina. Insieme al cugino, omonimo, ha fondato una delle aziende su cui si è ricostruita la viticoltura campana moderna: I Borboni. Una malattia con cui combatteva da un paio di anni nell’ultimo mese lo ha definitivamente stroncato e oggi ha finito di soffrire.
Non è retorica, ma Carlo Numeroso è stato un grande signore del vino. Siamo addirittura alla fine degli anni ’70 quando l’azienda termina di produrre per la Buton per avviare una viticoltura di qualità culminata con la prima spumantizzazione dell’Asprinio, il vino bianco caro a Soldati e Veronelli, nel lontanissimo 1982. Ancora prima della crisi del metanolo. Furono loro a puntare al riconoscimento prima della igt e poi con la doc Asprinio d’Aversa.
Lo spumante I Borboni ha un po’ precorso i tempi, all’inizio degli anni ’90, complice anche il nome, fu uno dei successi straordinari capace di replicarsi anno dopo anno con la stessa vigoria. L’errore strategico, oltre una mancanza di progetto di comunicazione, è stato quello di non essersi mai attrezzati per la spumantizzazione in proprio.
In compenso, insieme ad un giovanissimo Maurizio De Simone, si avviò un lavoro preciso sui vitigni auotctoni Asprinio, coda di volpe e poi Casavecchia, mentre nel 1998 si inaugura la nuova cantina scavata nel tufo nella vecchia casa di famiglia al centro di Lusciano.
Carlo era una persona mite, parlava solo se qualcuno gli faceva una domanda, altrimenti ascoltava.
Una di quelle figure, come Gennaro Martusciello, Amodio Pesce, Antonio Mastroberardino, Corrado D’Ambra, che mi hanno catturato in questo mondo di sognatori e visionari un quarto di secolo fa.
L’Asprinio è in via di estinzione, possiamo dire che senza Carlo già da tempo non ce ne sarebbe più traccia.
Ciao Carlo
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