Antoine Gaita, il più grande solista del Fiano di Avellino, è morto stanotte all’ospedale di Avellino a soli 60 anni stroncato da una malattia che non gli ha lasciato scampo.
Scompare una delle figure centrali che hanno contribuito alla leggenda del bianco irpino perché con la sua azienda, fondata insieme alla moglie Maria Diamante nel 1996, si è rapidamente imposto all’attenzione degli appassionati con annate straordinarie e di incredibile longevità. Proprio l’altra sera a Firenze abbiamo bevuto il suo Vigna della Congregazione 1998 entrato nella leggenda.
Entrambi figli di emigranti, sono rientrati, lui dal Belgio e lei dagli States, per sposarsi e avviare questa attività a via Toppole nel Comune di Montefredane.
Antoine era un artigiano vero del vino e fu il secondo, dopo Guido Marsella, a decidere di uscire con un anno di ritardo rispetto alla vendemmia avviando così un discorso che giocava sul tempo come elemento di vantaggio per l’equilibrio e la profondità dei suoi vini.
La partenza con il legno, poi la decisione di lavorare solamente in acciaio: anno dopo anno è stato un vero crescendo di emozioni, capacità di interpretare l’annata, voglia di sperimentare.
I suoi vini sono al tempo stesso ricchi e snelli, piacevoli e profondi, ampi al naso e incredibilmente pieni di energia al palato, tra i più potenti in assoluto, capaci di reggere il confronto con i migliori bianchi di tutto il mondo.
Ho ancora nel cuore la degustazione privata che facemmo nel 2011 a casa con lui e la moglie: era una mattinata fredda, freddissima e restammo insieme a Lello Tornatore molte ore a provare tutte le annate di Vigna della Congregazione dalla 2009 all 1997.
Una chiacchiera lunga e a tutto raggio dalla quale emerse la passione di Antoine, l’importanza decisiva della moglie nei giudizi, la capacità autocritica, l’istinto anarcoide e la laboriosità tipici dell’Irpinia. Nel 2009 aveva deciso di dedicarsi completamente all’impresa agricola e giocava ogni tanto anche con il rosso.
Quello che mi piaceva di lui è che amava rischiare: nonostante il successo ottenuto, ogni anno cercava qualcosa di nuovo nel protocollo, provava a sperimentare avendo come punto di riferimento la sanità dell’ambiente. Non a caso è stato tra i pochi viticultori ad essere certificati biologici sin dalla prima annata di produzione.
Il suo LP ha diciassette grandi annate, molte straordinarie, tutte buonissime, nessuna banale.
Ci piace ricordarlo con una frase che ci disse proprio in occasione di questa nostra lunga visita: La vigna è la mediazione tra il suolo e la bottiglia. La capacità di un buon viticoltore deve essere quella di trasferire il terreno nel bicchiere, perché quello nessuno ce lo può rubare.
Ciao Antoine, la tua opera continuerà nelle bottiglie che ci hai lasciato e che potremo aprire nei prossimi decenni convinti di ritrovare te: scariche di energia e di carattere.
I funerali oggi, venerdì 16, alle 10 presso la chiesa di Maria Addolorata a Montefredane
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