
di Carmen Autuori
Alberto Ritrovo, la vineria – osteria nel cuore del magnifico centro antico di Eboli, può essere definita senza alcun’ombra di dubbio crocevia culturale, oltre che ritrovo (appunto) per gli amanti del buon cibo e del buon bere. In altre parole, un’osteria moderna che fa dell’accoglienza il suo centro di gravità, prima ancora che la ricerca quasi maniacale di prodotti d’eccellenza non solo del territorio, ma anche di altre regioni, che spazia dai vini, ai formaggi, ai salumi, alle erbe spontanee. Tutto questo grazie all’approccio “visionario” di Giovanni Sparano, oste accogliente e sensibile a qualunque stimolo che partendo dalla cucina e dal vino, diventa ‘viaggio’ verso nuovi mondi in un cerchio perfetto che parte e ritorna alla sua terra: Eboli.

Partendo da questi presupposti, nasce l’idea di ospitare Randagia, terza tappa del progetto Lenga Longa, format itinerante legato alla cultura del cibo partendo dal suo significato più ancestrale ideato da Manuele Altieri, brillante e affermato grafico pubblicitario con una grande passione per ciò che ruota intorno alla gastronomia che è sempre elemento fondante della cultura dei popoli, insieme alla compagna Gaia Del Vecchio, anima razionale del progetto.
<<Lenga Longa nasce per conciliare gli interessi che partono dalla creatività, dal confronto e dalla autenticità del nostro lavoro con la grande passione per tutto ciò che ruota intorno al cibo – spiega Manuel Altieri -, ossia dalla nostra insaziabile “fame” intesa come curiosità, irrefrenabile voglia di ricercare, esplorare, confrontare, approfondire, assaggiare e, perché no, osare.
Il mio estro creativo si completa, e può esprimersi al meglio, grazie alle grandi capacità organizzative di Gaia, l’anima razionale di Lenga Longa il cui nome non è stato scelto a caso. Mi spiego: nel nostro dialetto “lenga longa” sta per lingua lunga, ed è proprio da questo organo che parte il tutto, ovvero il confronto attraverso il linguaggio, la scoperta e l’assaggio di nuovi sapori che diventano occasione di crescita e di integrazione tra i popoli e dunque tra culture diverse. Siamo partiti circa un anno fa con “Carnale” in collaborazione con Favilla dove il fuoco, la carne e il vino si sono intrecciati in un rito primordiale, per proseguire con “Levante “in collaborazione con Living Room in un viaggio che ci ha condotti verso Oriente attraversando Cina, Giappone e Corea dove il cibo non è solo nutrimento ma linguaggio di simboli e riti, per poi approdare da Alberto Ritrovo con Randagia che ci trasporta nel cuore del Mediterraneo>>.
Quel Mediterraneo che da sempre è stato veicolo di cultura grazie alle contaminazioni di popoli erranti e che per questo unisce la Spagna gitana, il sud Italia contadino e quello delle tavole opulente, le coste del Marocco, le influenze arabe e quelle balcaniche, diventando così una sorta di “non luogo”, ma un unico bacino di civiltà che si racconta attraverso il gusto di un menù centrato sicuramente sulla sperimentazione di contaminazioni di culture solo apparentemente lontane, ma che poi torna sempre a casa incontrando la memoria della cucina della mamma di Manuele, da cui tutto è partito.
Randagia: la degustazione
Nessun menù digitale, tutto scritto sulle originali tovagliette pensate e disegnate da Manuele che hanno sostituito il classico tovagliato da osteria della mise en place.
La degustazione parte con le olive infornate, simbolo indiscusso del bacino mediterraneo, a seguire “Un’altra giardiniera”, cavolfiore, carote, cipolle, fagiolini e sedano rapa leggermente fermentato mentre le alici marinate con pesto di rucola, omaggio alla Piana del Sele, e limone candito parlano del profumo di agrumi, anch’essi una costante del Mare Nostrum.
Golosa la patata dolce ripiena di ragù bianco ai grani di senape che parte dal Libano per tornare nel Cilento con la generosa grattugiata di cacio ricotta in nome di quel nomadismo che ha fatto della pastorizia un veicolo culturale.
Tanto il vegetale: l’indivia belga che viene coltivata anche nelle zone interne della Tunisia, con la saba (mosto cotto) e il lardo parmense, condita con il mojo, tipica salsa verde delle Isole Canarie; la carota fondente con burrata e bottarga di tuorlo d’uovo; la zuppa di sedano rapa con jus di manzo, arachidi tostate e il sommacco, la spezia che, pur essendo originaria del Medio Oriente, fa parte ormai a pieno titolo dello straordinario patrimonio gastronomico siciliano; i funghi cardoncelli arrosto con il blu di bufala di Paolo Amato affinato al Taurasi.
Si termina con Kefta, polpetta di carne di manzo e agnello, fattoush, insalata con pomodori, cetrioli e cipolle condita con salsa cacik e pane pita: un vero e proprio viaggio del gusto che parte dalle coste del Marocco ed arriva in Turchia passando per quelle libanesi.
Per dessert tarte tatin alle fragole con crema di mandorle, zenzero e olio d’oliva.
<<A questo viaggio di sapori frutto di una straordinaria contaminazione di cui è artefice il Mediterraneo ho accostato una serie di vini dedicati – spiega Giovanni Sparano -, che mettono in correlazione questo bacino epico. Partiamo dall’ Aglianico cilentano di Salvatore Magnoni, andiamo nel Peloponneso con la Ribolla dell’isola di Cefalonia e torniamo in Sicilia con i macerati di Aldo Viola. Risalendo verso nord -est incontriamo il Guarnaccino calabrese di Daniele De Marco, arriviamo nel sud della Francia con il Grenache, passando per la Provenza, nella valle del Rodano fino all’Occitania>
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