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Ad Aquara Massimo e Rosangela, pastori dell’“altro mondo”

Pubblicato in: La mozzarella, i formaggi e il latte

di Carmen Autuori

Rosangela Muraro e Massimo Marmo hanno deciso di restare fedeli ai principi di un mestiere che trae inizio dalla notte dei tempi: la pastorizia (guai a chiamarli allevatori). Il loro progetto prima di vita e poi di lavoro, portato avanti con passione, nonostante difficoltà che potrebbero sembrare insormontabili ai più, è centrato sul legame indissolubile tra uomo, animali e natura: un cerchio perfetto da cui tutto ha inizio ed in cui tutto si conclude. Ma andiamo per gradi.

Entrambi originari di San Rufo, nel Vallo di Diano, Massimo proviene da una storica famiglia di allevatori di bovini, mentre Rosangela è nata con la passione per il mondo della zootecnia. Si conoscono da sempre ed insieme hanno frequentato l’Istituto Agricoltura ed Ambiente – sono periti agrotecnici –, alle spalle una lunga esperienza in organismi preposti alla prevenzione delle malattie che colpiscono in particolar modo gli ovini con i quali, soprattutto Rosangela, continua ad interfacciarsi con competenza e coscienza.

Nonostante la tradizione familiare, Massimo è stato da sempre appassionato di ovini e del mondo affascinante che ruota intorno alla pastorizia, dalla transumanza, alla cura degli animali, al latte e ai suoi derivati.  Sono state proprio le esigenze del gregge a dettare le regole di vita della giovane coppia di pastori che hanno deciso di trasferirsi ad Aquara, suggestivo borgo nel cuore degli Alburni, ricco di biodiversità e dunque di erbe necessarie all’alimentazione di un gregge sano, allevato rigorosamente allo stato brado.

<<Il pastore è innanzitutto una sentinella del territorio – spiega Massimo, un gigante schivo, ma dalla rara sensibilità che trapela da ogni sua espressine – e il nomadismo è la caratteristica principale di questo mestiere. Ciò comporta osservare ciò che ci circonda anche grazie ai comportamenti del gregge. Significa accorgersi prima degli altri di dissesti idrogeologici, di eventuali passaggi di cinghiali che notoriamente distruggono sia la vegetazione che il suolo stesso, della flora che ostruisce i passaggi da una parte all’altra della montagna e, di conseguenza, mettere in atto una serie di azioni consone a mantenere l’ecosistema come pulire un canale, oppure liberare un tratturo dalle piante infestanti. Oggi sono pochissimi i tratturi agibili, ed è un vero peccato perché queste vie di comunicazione sono state importantissime oltre che per la transumanza, anche per gli scambi culturali tra luoghi distanti.

Naturalmente tutelare l’ecosistema significa adottare pratiche responsabili, innanzitutto i tempi della natura. Si sale in montagna non prima del 20 maggio e si torna a valle non oltre la fine di ottobre, ovvero nel periodo in cui i pascoli sono rigogliosi. Siamo noi che dobbiamo adattarci ai tempi della montagna e non viceversa. Questo è valido sia per la flora che per la fauna. Si pensi al flagello dei cinghiali che si sono moltiplicati per colpa dell’uomo che ha pensato di farsi giustizia da sé abbattendo interi branchi di lupi che, ricordiamolo, non attaccano a meno che non si sentano minacciati. Eliminando l’antagonista (il lupo), il cinghiale ha potuto proliferare creando danni davvero importanti all’ecosistema>>.

Lui i tratturi li ha percorsi in lungo e in largo ogni giorno, da San Rufo ad Aquara dove portava in transumanza il suo gregge. Poi, insieme a Rosangela hanno deciso di trasferirsi definitivamente e di piantare le radici nel cuore degli Alburni.

Precisamente a pochi chilometri dal centro del paese, tra le mura ormai diroccate di un vecchio casale appartenuto ai De Sevo, antica famiglia aquarese, vivono felici settanta pecore con i loro piccoli.

C’è Zingaredda la pecora balia con Ciuffetta e Fagiana, ci sono Antonella ed Antonio gli agnelli di pochi giorni che si chiamano così in onore di Sant’Antonio Abate, protettore degli animali, c’è Brigante, il bellissimo e fiero maremmano che, con espressione serena ma attenta, vigila sul gregge che difenderebbe fino alla morte da animali e persone. Una parte di quelli che furono i locali terreni sono stati adibiti a nursery e ad infermeria. Sembra di essere in mondo “altro” dove, insieme con l’aria che profuma di boschi, si respira pura poesia.

Le loro sono pecore della pregiatissima razza bagnolese, purtroppo a rischio estinzione.

<<Si tratta di una razza autoctona campana – spiega la vulcanica Rosangela – che si differenzia da quelle importate per la straordinaria resa casearia dovuta al suo latte che si caratterizza per un’alta percentuale di grasso e di proteine. Purtroppo, negli ’70 – ’80 la bagnolese è stata accantonata perché ha un ciclo di lattazione molto più breve rispetto ad altre razze. In compenso, proprio grazie all’alta percentuale di grassi e proteine, gli agnelli diventano commestibili in soli quaranta giorni. E poi si tratta di un latte straordinario che riesce a trasmettere in maniera nettissima sia i sentori che il gusto delle erbe brucate dagli animali che varia in base alle stagioni, abbiamo sentori floreali in modo particolare di sulla in estate, mentre in primavera il cardo e la cicoria donano al latte profumi più complessi ed intensi di erbe di campo, di conseguenza non otterremo mai formaggi o ricotta omologati nel gusto>>.

Al momento Rosangela e Massimo producono formaggi e ricotta solo per uso familiare o, al limite per donarli ai proprietari dei pascoli: una sorta di baratto basato sulle regole del buon vivere che da quelle parti si chiama “creanza”. Sono invece abilitati alla vendita della carne di pecora e di agnello, avendo aperto nel 2009 un Codice Stalla ad Aquara, mentre la sede legale dell’azienda di famiglia resta a San Rufo.

La produzione del formaggio e della ricotta è prerogativa di Rosangela e segue metodi ancestrali trasmessi dalla famiglia del marito: il latte crudo, il fuoco vivo, un grande pentolone di rame detto “caccavo”, la cagliata rotta con lo “spino” che ad Aquara si chiama “rutulaturo”, un bastone in legno con una sorta di sfera all’estremità. Il caglio è quello di stomaco di agnello che Rosangela preferisce acquistare presso un caglificio per un maggiore controllo della carica batterica.

L’entusiasta “pastora” non solo realizza straordinari prodotti, ma ama diffondere il suo bagaglio di sapere soprattutto ai più piccoli, è presente alle manifestazioni che si tengono nel circondario – vestita rigorosamente in abito tipico – va nelle scuole e organizza a inizi estate la bellissima festa della tosatura con tanto di preparazione in diretta della cagliata e della pecora alla pastorale, un antico stufato rituale di cui si sta perdendo la memoria.

<< La ritualità che ruota intorno al nostro mondo – mi racconta – è tanto importante quanto il rispetto per il gregge e per l’ecosistema. Il ciclo delle feste celebra la rinascita della natura ed ha anche un forte valore scaramantico. S’inizia con la festa di Sant’Antonio Abate il 17 gennaio con i falò simbolo di purificazione e la benedizione degli agnellini e si procede con la ‘ngampanata il Sabato Santo quando il gregge gira per il paese al suono delle campanelle appese al collo di ogni animale, accolto dalla popolazione che getta manciate di sale per strada per scacciare gli spiriti maligni. Ma la nostra festa più sentita è sicuramente l’Ascensione: nessun pastore tiene per sé una sola goccia di latte che, invece, viene regalato a chiunque ne faccia richiesta. Proprio per mantenere viva questa tradizione, ogni anno siamo in piazza con un banchetto per regalare il nostro latte>>.

Come dicevamo le difficoltà incontrate da Massimo e Rosangela nel corso degli anni sono state davvero importanti, avrebbero scoraggiato chiunque, ma non i nostri pastori “dell’altro mondo”. Ultima in ordine di tempo la decimazione del gregge per la pericolosissima “lingua blu”, una febbre catarrale quasi sempre letale per gli ovini, trasmessa da un insetto.

<<Abbiamo perso la metà del nostro gregge a causa di questa malattia – dice Massimo –, purtroppo un dramma su scala nazionale. Solo che per noi e per altri pastori campani al danno si è aggiunta anche la beffa, in quanto i costi per lo smaltimento delle carcasse sono stati esclusivamente a carico nostro. E non è un fatto da poco. Ora si sta profilando all’orizzonte un ulteriore grande difficoltà per chi come noi intende produrre formaggi da latte crudo. Questa volta a metterci lo zampino è la Comunità Europea con la proposta del bollino rosso su questo tipo di prodotto, sebbene la dicitura sia già in etichetta. L’unica nostra speranza resta Slow Food che sta già contrastando attivamente questa politica che sarebbe un ulteriore colpo ai prodotti tipici e alla biodiversità, il nostro vero punto di forza>>.

Ma c’è una bella notizia: tra pochi mesi saranno proprio Massimo e Rosangela a gestire il Caseificio di Comunità ad Ottati, progetto realizzato con i fondi del Ministero dell’Interno in partenariato con la Regione Campania, grazie all’impegno dell’amministrazione comunale e del giovane sindaco ‘visionario’ Elio Guadagno.

<<Questa per noi è una bellissima opportunità – conclude Rosangela, non senza una punta di emozione –, è giunto il momento per poter finalmente commercializzare i nostri formaggi. Porteremo nella nostra futura attività il ciclo chiuso, ovvero il gregge allo stato brado, il latte crudo, la valorizzazione della razza autoctona così che la nostra tanta sognata azienda biologica certificata sarà una realtà>>.

A noi non resta che attendere l’ imminente apertura per conoscere i prodotti di Rosangela e Massimo che, dati i presupposti, saranno sicuramente “dell’altro mondo”.

 


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