di Monica Caradonna
Le chiamano Tette e sono la tradizione pasticcera di Altamura, la città fondata e amata da Federico II di Svevia. Ma se Tetta crea qualche imbarazzo, nel resto della Puglia c’è chi le chiama Sise, in alcune piccole frazioni sono le Zizze o ancora impropriamente – poiché cambia la forma – i Tre monti scimmiottando la tradizione abruzzese. I più pudici non ce la fanno proprio a chiamarle Tette delle Monache e parlano di Sospiri che pure ne sono solo un’evoluzione con tanto di glassa, ma sono un’altra storia. Le origini non sono assolutamente chiare. C’è chi le fa risalire ai ben noti Sospiri di Bisceglie, tra l’altro presidio Slow food, e a un dono realizzato dalle suore clarisse in occasione del matrimonio di Lucrezia Borgia. I ricordi più folcloristici parlano di un errore commesso da una suora mentre preparava il suo bel pan di spagna tanto da suscitare l’ilarità di un passante che in stretto dialetto biscegliese ha definito quello sgorbio di pasticceria le minne de le suor. I più religiosi immaginano questo dolce come un omaggio alla povera Sant’Agata, patrona di Catania e co-patrona di Gallipoli, martire santa cui furono strappate le mammelle per non aver ceduto alle avance del proconsole Quinziano.
In Puglia la tradizione ci porta inevitabilmente nella cittadina di Altamura, più famosa per il suo uomo di Neanderthal ritrovato intatto nel 1993 nella grotta di Lamalunga e per il pane dop, ma anche uno dei pochi presidi in cui le suore trasmettono a voce l’antica ricetta delle Tette delle Monache. Provano un po’ di imbarazzo suor Angela Teresa, Badessa neo eletta, e suor Francesca quando si parla delle Tette, ma trattandosi di un dolce e non di parti anatomiche ci sarà pure una dispensa non scritta che smorza i rossori e rende le monache di clausura parte attiva nella conservazione di una antichissima ricetta. Oggi c’è una forte crisi delle vocazioni e nel bellissimo monastero di Santa Chiara, nel cuore di Altamura, sono poche le consorelle che possano occuparsi della preparazione dei dolciumi. C’è chi ancora, alla bellezza di 93 anni, ha il compito di sbucciare mandorle, ma ormai la produzione dei conturbanti dolci ripieni di morbida crema è stata delegata alla pasticceria del Monastero; a pochi passi dalle donne velate poiché, grazie a una dispensa specifica del Vescovo, almeno una volta alla settimana la suora pasticcera ha l’obbligo di controllare procedure e modalità produttive.
La produzione oggi è delegata a Francesco Paolo Fiore, classe 1967, docente all’alberghiero di Altamura e presidente dell’associazione Cuochi Materana, che ha ricevuto in dono l’antica ricetta che, con le paste di mandorla, aveva conquistato persino il palato di Garibaldi, come recita un’iscrizione conservata in bella mostra all’ingresso della pasticceria.
Il trucco della buona riuscita delle Tette delle monache è nella lavorazione rigorosamente a mano, senza l’uso di macchinari, e delle doppia montata di tuorli e albume al fine di incorporare più aria possibile nell’impasto e conferirgli una consistenza assolutamente unica. Poi si inseriscono farina e amido setacciati delicatamente evitando di smontare l’impasto.
Dall’apertura della Pasticceria, in 18 mesi, sono state realizzate all’incirca 70mila tette per un totale di 15mila uova utilizzate «rigorosamente a temperatura ambiente» sottolinea lo chef.
Ed ecco la ricetta per preparare i dolci cari a Garibaldi e a tutte le spose della Murgia barese:
700 grammi di albume
400 grammi di tuorli
500 grammi di zucchero semolato
½ bustina di lievito chimico baking
250 grammi di amido
250 grammi di farina 00 setacciata in modo da incorporare aria anche in questa fase.
Gioca un ruolo fondamentale la conoscenza del forno che deve avere una temperatura tra i 160 e i 170 gradi. Nelle cucine professionali il forno dovrebbe essere posizionato a “valvola aperta”, le massaie in casa possono contrastare l’eccessiva umidità inserendo una forchetta nella chiusura del forno in modo da lasciare uno spiffero che faccia uscire il vapore. Dopo circa 20 minuti le Tette delle monache saranno pronte per essere completate con la crema pasticcera, ma solo dopo una perfetta asciugatura.
E se il nome può creare imbarazzo, ben sapendo che non ci sia nulla di malizioso, il mercato le richiede e nella Pasticceria del Monastero la tradizione è rimasta salva e magari il peccato, questa volta, sarà solo un peccato di gola.
Pasticceria Monastero di Santa Chiara
Via Santa Chiara, 7, 70022 Altamura BA
Telefono: 080 316 0511
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