Adoriamo Salvatore Tassa da sempre. Perciò rubiamo recensioni quando ci vanno gli amici. Ci è successo con Nico Piro con questa delle Colline Ciociare, e adesso con Stefano Caffarri (Appunti di Gola) che ringraziamo per il via libera alla pubblicazione.
La sala pare disadorna: il tavolo pare nudo. E invece è un’ouverture. Una prefazione, senza parole, della rappresentazione elementale che sta per andare in onda, tra le mani artefici dell’Artisan Culinairae di Acuto.
La sala pare nuda: il tavolo è apparecchiato con soli tre sassi. Soli e potenti, silenziosi e roventi di verità, nell’angolo del tavolo, in contrasto quasi imbarazzante con la tovaglia spoglia, i colori tenui, i grandi spazi. Elegantissimi, nella quasi totale assenza d’ornamenti. Non ricercatamente minimali, semplicemente minimi.
Eppure se stai attento, dopo due ore ti accorgerai che a questo punto è già stata enunciata interamente, seppur in sintesi, la poetica di Salvatore Tassa, modi schietti e cuore grosso: per sottrazione, che dove c’è meno c’è il meglio.
Stai attento, perchè nelle prossime due ore sarai preso in un turbine di sensazioni inebriante, ubriacante come una bruciante passione: eppur costruita di dettagli infinitesimi, di particolari subatomici e spesso addirittura intangibili ma che ti consegnano ad una fusione quasi carnale con le vecchie montagne tutt’attorno. Come se quel sipario di sfoglia appoggiato in verticale, finemente cesellato di semi e frutta secca, fosse una specie di porta d’ingresso per un mondo di Bianconigli, fauni e folletti, non di rado magicamente materializzato.
Ecco allora il bonbon di cipolla e zafferano, la pralina di besciamella, e il biscottino di farina racchiusi in un coppo di corteccia, di cui portano l’aroma. Ecco la gelatina di Mojito, fresca ed ubriacante; ecco i gnocchettini di polenta con una tazza d’infuso, per iniziare. E per continuare, un viaggio nel bosco: nella coppa una goccia d’ estratto di bacche rosse su cui sarà versato un distillato di legno di castagno. A fianco il maritozzo caldo, con tartufo nero in fili. Chiudi gli occhi, dice il cuciniere, ed immaginati la terra, il legno, l’umido, il muschio, gli sterpi, la terra, il bosco, il legno… Ed è un farsi maltrattare dal vortice di aromi e cullare dalla loro congiunzione, in luogo che è precluso a noi mortali.
Poi la cremosità del cappuccino di carota, ottenuto unicamente con tecniche di base: cottura sotto vuoto in ghiaccio e frullìo. E solo a questo punto arriva il rustico pane fatto in casa, bianco nero e focaccia.
Sei pronto per iniziare il viaggio con rape e ostrica: i colori abbaglianti dei fiori, una manata di terra con il tartufo, le rape croccanti e il sale dell’ostrica (preziosa: una Gillardeau n.2). Una piccola granita aromatizzata alle erbe è come un tocco di rugiata il mattino di primavera, un cucchiaio di salsa di rape rosse è il sangue del mondo.
La cipolla fondente è un piatto umano: lo conosci, perchè Tassa lo porta dentro da ventuno anni esatti: immaginala, una soup d’oignon più densa, di concentrazione stordente, e una spezia dolce da scavare via poco a poco.
E il piatto forse più stupefacente del ristorante ciociaro è “solo” un’insalata: radici e orto, una vera e propria versione in prosa dei prodotti della natura. Laborioso, pensato, progettato, studiato fino all’ossessione: una cottura diversa per ogni verdura, un procedimento per ogni consistenza, una regola per ogni aroma: e dire che c’è solo verdura dell’orto: rapa, carota, asparago, scorzonera. E le rosette verdi di erbe spontanee raccolte nel campo, delirio di verdezza, impreziosito dal tocco magico del massaggio a mani nude con l’olio d’argan e l’essenza di liquirizia. Un refolo, in fondo.
Alleggerisci, si fa per dire, con la granita di muschio raccolto sulle rocce a nord, lardo e rosa canina: devi attendere che il palato riscaldi l’essenza per avere in bocca una dilazione vertiginosa di rosa grassa e spessa, che non t’aspetti. Ed è solo un intermezzo, per giungere alla sfoglia di cipolla bruciata, una tartare d’agnello di levità assoluta, la crema di bufala ed erbaggi. A fianco una specie di uppercut gustativo, un fondo bruno ristretto con una bacca.
Ravioli, da queste parti: sfoglia tanto sottile quanto elastica, portata a termine di cottura direttamente nel piatto con un brodo di foglie e fiori di ciliegio. Il ripieno è pecorino romano liquido, che letteramente esplode all’assaggio, assordando.
Infine il manzo bruciato, con l’affumicatura diretta delle erbe aromatiche: una scottona che assurge a delizia per impatto tattile, per sapore – non sale, sapore – ed aroma. Sotto la rapa, silenzioso comprimario.
Un gelo di mandarino, per liberare i sensi annebbiati, sazi di tanta vastità: poi il dessert.
Che non è un dolce, ma un’altra colonna sonora dell’universo mondo sotto ai tuoi piedi: patate, lenticchie, gelato di vaniglia, gelato al cioccolato. Dolcezze sottili, ctonie: ma ferme e precise, indelebili, spazzolate dal vento del tè verde in polvere.
Il caffè è quello di Frasi, la piccola piccola pasticceria è fatta in casa: ma molto più dell’appetito, sono i sensi ad essere satolli ed appagati, fino in fondo. Il cuciniere si avventa dalla fucina dei sapori, ti chiede, ti regala le spiegazioni, i racconti, la vita: ti accompagna sulla porta. E quando con la mano avvolta nella sua dici che sei tornato, finalmente, dopo ventun anni, perchè ricordavi ancora la millefoglie fatta a la main, ti accorgi che non sono solo le lenti degli occhiali a brillare, là dietro.
È il fuoco della magia, l’ardore della fantasia: perchè alle Colline accade qualcosa che non potrai trovare altrove.
Via Prenestina, 27
Tel. 0775.56049
www.salvatoretassa.com
Sempre aperto. Chiuso il lunedì e martedì a pranzo e domenica sera
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