APICELLA
Uva: tintore e piedirosso (30%)
Fascia di prezzo: da 15 a 20 euro
Fermentazione: acciaio e legno
C’è la Costiera marina e quella, cupa e nebbiosa, dell’interno ad alta quota dove la vite lascia il limone e incontra il castagno. Qui da oltre mezzo secolo i contadini combattono cocciutamente la loro battaglia con la fillossera reimpiantando in continuazione le viti nel terreno e aspettandone pazientemente il frutto. Nasce da questa silente e infinita lotta di un pugno di testardi aggrappati alla loro terra, mentre tutti i loro paesani fuggivano al Nord per aprire pizzerie o andavano in America, la Scippata di Giuseppe Apicella e del figlio Prisco. Una Costiera inedita di una Campania difficile dove le Sirene e Polifemo vivono insieme cercando di ignorarsi, la regione dei rifiuti tossici nell’hinterland metropolitano, del sangue nella foresta di cemento dominata dalla stessa violenza selvaggia del triangolo sunnita in Iraq, ma anche la regione dell’alta ristorazione, dei paesaggi mozzafiato e della più grande estensione di area protetta, di Capri, Pompei, Ischia, Positano, Paestum e delle dolci viti. In questa Costiera nascosta dicevamo, dove c’è quello spazio che Andrea Ferraioli e Marisa Cuomo hanno dovuto inventare scavando nella roccia per due anni, Giuseppe Apicella iniziò ad imbottigliare il vino prima preso sfuso dai mediatori napoletani che venivano a fare la traffica per poi rivenderlo come Gragnano in città. Peppino era stato al Nord, aveva visto le decine di locali aperti dai suoi conterranei soprattutto in Veneto e in Piemonte, pizzerie nate dalla necessità di utilizzare i latticini freschi e diventate fonti di richezza, e ha pensato di vendere lì le sue prime bottiglie. La gente del posto lo guardava stupita e commentava, chist’è pazz. Già, perché pagare lo stesso vino 5000 lire in bottiglia invece di mille da sfuso? Non era lo stesso, perché sempre più buono grazie all’introduzione della nuova tecnologia e, soprattutto, dell’acciaio per il bianco e il rosato. Quando viene riconosciuta la doc Costa d’Amalfi, la sottozona Tramonti è la più importante, qui l’uva di Episcopio e di Ettore Sammarco a Ravello. Peppino prende il treno della rivoluzione vitivinicola e si accomoda in prima classe: le sue bottiglie non vanno più solo al Nord, ma finalmente scendono giù, nei ristoranti di Ravello, Amalfi, Positano, Maiori e si vendono tutte. Anno dopo anno. Nel frattempo Prisco finisce gli studi ad Alba, impara dai piemontesi a fare il rosso e torna per lavorare in azienda insieme alla sorella Fiorina: nasce da questa idea di rosso importante La Scippata, in italiano si direbbe la strappata, l’uva alla terra, l’energia alla fatica, la voglia di restare alla tentazione di fuggire. La Scippata viene da un vigneto a raggiera e a pergola su pali di castagno, completamente a piedefranco, piantato nel 1930 e che ancora riesce a fruttificare, almeno una quarantina di quintali per ettaro, cioé nulla: quel che prima era visto con disprezzo ora vale quanto l’oro. La raccolta avviene manualmente all’inizio di novembre durante l’estate di San Martino. Sarà la tecnica di Prisco, resta per tre o quattro mesi in acciaio dove svolge la malolattica per poi affinarsi in grandi fusti di rovere di Slavonia, sarà il succo della terra spremuto nel bicchiere senza passare per nessun tipo di filtro, ma il sapore di questo rosso è davvero unico e particolare, di grande profondità olfattiva, caldo, strutturato (estratto a 32-33 grammi), avvolgente, pulito in bocca. Ciò che stupisce soprattutto è l’equilibrio ad alta quota di tutte le componenti giacché l’alcol supera i 14 gradi ma non si avverte come sensazione precipua, il vino è come se fosse meno nervoso, compiuto, destinato a lungo invecchiamento. Prisco ha dato così scienza all’antico blend tipico della Campania, ossia la diluizione dell’Aglianico con il Piedirosso: in questo caso si parla di Tintore, un clone autoctono del vitigno più importante del Sud carico di antociani come ben indicato dal nome, comune del resto ad alte varietà con questa caratteristica, pensiamo alla Tintilia in Molise tanto per citare un esempio vicino. Il Tintore dunque è <annacquato> con il Piedirosso, uva di bassi estratti, fresca, usata per poter bere l’Aglianico, sinonimo di vino, senza provare la sgradevole sensazione astringente dei tannini no nrisolti. Storie di altri tempi, ma neanche tanto lontani, che però trova una sua ragionevole evoluzione in questo blend, ricco e morbido, fresco ma vellutato, con una trama molto bella. Lo beviamo magari il giovedì, quando nel locale non lontano dalla vigna di Zio Nino si prepara la pizza integrale per i clienti più esigenti. Questa, cari lettori, è per me l’espressione più alta di vino da viti a piedefranco che conosco, giusto per ricordare il tema di questa ottava edizione del Vino dei Blogger fissato da Mirco Mariotti sul suo bel www.blogewine.blogspot.com
Sede a Tramonti. Via Castello Santa maria, 1. Tel .089.856209, fax 089.876075. Enologo: Prisco Apicella. Ettari: 5 di proprietà. Bottiglie prodotte: 60.000. Vitigni: aglianico, piedirosso, sciascinoso, falanghina, biancolella
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