di Francesco Raguni
“A piscaria” – in dialetto siciliano – è l’antico mercato del pesce di Catania. Situata nel cuore della città etnea, ci si può accedere passando da porta Uzeda, se da Sud, da piazza Duomo direttamente se da Nord. Si trova alle spalle della fontana dell’Amenano, conosciuta anche come “Acqua o linzolu”. La pescheria di Catania, però, non è un semplice mercato, è un vero e proprio percorso esperienziale. Alle sue spalle si trovano gli archi della Marina: là, dove ora sorge Villa Pacini, un tempo vi era nient’altro che il mare.
Il viaggio tra i banchi dei pescatori inizia all’aperto, partendo dalla fontana sopra citata, e prosegue al chiuso, passando per il tunnel scavato sotto il Palazzo del Seminario dei Chierici. Definirla pescheria sarebbe pure riduttivo, dato che al suo interno possono trovarsi anche banchi di macelleria ed ortofrutticoli. Il mercato del pesce etneo si sveglia alle 5 del mattino e si addormenta subito dopo l’orario di pranzo, quando gli ultimi pescatori smontano i banconi e lavano il marciapiede. La domenica è l’unico giorno di chiusura del mercato.
Un viaggio tra colori e odori
Ma cos’è davvero “A piscaria”? In primis, odori. Chiudendo gli occhi, alle porte del mercato, si può sentire il mare, l’odore del pesce fresco, caratteristico dei migliori banchi. Del mare, manca solo il rumore delle onde. Restando con gli occhi chiusi, però c’è un altro senso che trova un tripudio di emozioni: l’udito. Le urla dei pescatori sono un vero e proprio connotato caratteristico del luogo, che contribuiscono a donargli quel tocco di folklore, che in Sicilia può ritrovarsi solo alla Vucciria di Palermo. Aprendo gli occhi, invece, non si può non restare stregati dai colori. Si passa dal rosso del tonno appena affettato, dei gamberoni pescati la mattina, al nero delle seppie da poco pulite e dei gusci delle cozze. Segue l’argento delle spigole e delle orate, l’azzurro delle alici (dette “Masculini”), il vermiglio del polpo, il bianco dei filetti di merluzzo, il nero del guscio dei ricci. Si potranno inoltre trovare bancali con le vongole e le fasolari ancora vive; il pesce spada, da un lato il trancio rosa, dall’altro la spada ben in vista. I più fortunati riescono persino ad assaggiare qualcosa, un gambero crudo o un frutto di mare, basta un goccio di limone spremuto e nulla più.
Un luogo perduto nel tempo
C’è chi espone il proprio pesce su un bancone di marmo, chi su uno di legno. Si possono trovare le bilance di una volta, analogiche, talune addirittura da usare con il contrappeso. Qualcuno si ripara dal sole usando un tendone. Ovunque ci si giri, sembra di vivere il mare. La pescheria di Catania è quindi in definitiva un vero e proprio mondo a sé stante, dove il tempo sembra andare più lentamente. Perdersi tra i banconi del pesce e le urla dei pescatori è il miglior augurio che si possa fare a chi vuol vivere i colori e gli odori dello Ionio. “A piscaria” è il posto in cui si possono trovare i pescatori di cui parlava Verga ne “I Malavoglia”, seppur non ci si trovi ad Aci Trezza. “Il mare non ha paese nemmen lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole”.
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