Quando incontrai Glen Salva, general manager di Antica (ANTinori CAlifornia, l’azienda californiana della famiglia Antinori), per un intervista lì a Napa Valley disse che Piero Antinori sta investendo in tutto il mondo così da crearsi “una scusa per viaggiare”. Ed infatti sono numerosissimi gli investimenti esteri che la famiglia Antinori ha intrapreso da 26 generazioni con un percorso solo in crescita (leggi l’articolo qui).
Gli Antinori sono famosi per le diverse tenute toscane, terra di origine della famiglia dei Marchesi: il Brunello, il Chianti sono noti a tutti, ma ce ne sono tante altre di tenute e tanti altri vini prodotti sia in Italia che all’estero.
Antinori, quindi, è chiaramente “Chianti Classico” e così se si va a trovarli nel tempio di questo vino si degusteranno nell’ordine il Peppoli ( il Chianti Classico DOCG prodotto nell’omonima tenuta) che offre un ottimo rapporto qualità-prezzo, il Marchese Antinori (Chianti classico DOCG Riserva dalla tenuta Tignanello, da cui prende il nome anche il famoso omonimo vino “Tignanello”); 90% S. Giovese un vino con il quale c’è un legame affettivo. Infine il Badia a Passignano, probabilmente il top della gamma “Chianti Classico”, 100% Sangiovese con affinamento sia in botte grande che in barrique, ma un legno che non prevale mai.
Ma Antinori è anche “Super Tuscans”, come vennero definiti, dai giornalisti americani, questi nuovi blend toscani che nascono negli anni ‘60/’70. Una “definizione fortunata” dice Piero Antinori stesso nel suo libro “Il profumo del Chianti – storia di una famiglia di vinattieri”. Re di questa nuova generazione di vini è il fatidico Tignanello che nato come Chianti Classico (e quindi S.Giovese e piccole dosi di uve bianche), dopo varie sperimentazioni diventa oggi un blend di S.Giovese (al 90%) e uve internazionali, quali Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc.
Un’idea di vino che nasce osservando un fenomeno nascente negli anni ’60: la nascita del Sassicaia di Tenuta S.Guido (creatura dello zio di Piero) e che -affiancato poi dal Solaia (sempre dei Marchesi Antinori) e negli anni ’80 dall’Ornellaia (inventato dal fratello di Piero, Lodovico il quale dopo i primi tempi decide di lasciare il business di famiglia) diedero vita ad una linea che oggi porta il nome dell’Italia in tutto il mondo. E c’è, però, da aggiungere una nota: oggi con facilità ed orgoglio si parla di questi “Super Toscani” ma il bello è capire come nascono. Nascono, infatti, negli anni ’60 quando Piero Antinori iniziava a cercare e sperimentare altro: una maggiore raffinatezza, un vino diverso, innovativo, forse quello che suggeriva il padre quando al rientro dai suoi viaggi, carico di idee, si trovava spesso a discutere col nonno (di Piero). Poi dopo giorni e notti di riflessioni nasce l’idea, dal confronto con Giacomo Tachis (enologo piemontese divenuto tra i più influenti in quell’epoca) e il genio francese Emile Peynaud, professore francese ispiratore dell’attuale Bordeaux. E‘ questa la storia del Tignanello, che nasce quando ‘finalmente’ si cristallizzava il disciplinare del Chianti (quindi la DOC Chianti) per porre fine a contraffazioni, imitazioni e degenerazioni per scopi commerciali. Ma purtroppo la denominazione nasceva mentre si affermava la sua stessa inadeguatezza ai tempi. E’ così che quindi, Il Tignanello, probabilmente uno dei vini più importanti prodotti da sempre dalla famiglia Antinori, si ritrovava sul mercato come “vino da tavola” (non rispettando il disciplinare appena definito) ma con un prezzo 3 volte più alto di un normale Chianti: nessun esperto di marketing avrebbe mai avallato un progetto del genere! Nonostante un tale “suicidio” e la denominazione, la storia ed il successo che ne è derivato sono noti ai più.
Ma andiamo avanti, perché Antinori è anche Prunotto nelle Langhe in Piemonte dove “producevano (vino) più o meno 2500 anni prima del Tignanello”; è, ancora, spumante con l’azienda Montenisa, Franciacorta DOCG, per produrre spumante di qualità; ed ancora è Tormaresca in Puglia, una tenuta di grande fascino ed eleganza per chi non ci fosse stato, espressione della sua nobile territorialità; una terra, cioè, che offre circa 25 DOC ma con minor orientamento alla qualità, un trend che sta finalmente cambiando. Ed è sempre qui in Puglia, che nasce, già con la collaborazione di Renzo Cotarella, anche la cantina Masseria Maime e con questa, anni fa, un’idea di marketing di enorme successo il Fichimori: vino rosso leggero da degustare fresco, quindi, anche d’estate.
E fin qui siamo solo in Italia. Come accennato in apertura d’articolo è fondamentale menzionare ANTICA Napa Valley: uno degli investimenti esteri più importanti. Un’avventura iniziata negli anni ‘80 che ha reso gli Antinori l’unica famiglia italiana che abbia mai investito direttamente in Napa (il Cabernet Sauvignon resta la produzione più importante, insieme al bianco Chardonnay). Ma sono più recenti (se si considerano i 600 anni di storia) gli investimenti in Cile ed anche in Est Europa addirittura. Insomma Piero ricerca sempre la fatidica “scusa per viaggiare”, avviando produzioni in tutto il mondo. In questa direzione segue con attenzione in mercato inglese e quello scozzese dove pare che la produzione vinicola stia iniziando lentamente a prendere piede, come pochi si immaginerebbero.
Tutto sta a trovare l’equilibrio tra l’autenticità delle uve autoctone ed espressività delle uve internazionali alla scoperta di un “pianeta che è ancora tutto da seminare, potare e vendemmiare”. Ed è questo il lavoro in cui sta riuscendo la famiglia Antinori, come leggeremo più avanti anche scorrendo l’intervista ad Allegra Antinori.
Elementi di congiunzione sono facilmente identificabili: l’immancabile stile italiano così come il gusto per il bello e per il buono che da sempre ci contraddistingue e che Piero vuole sottolineare e diffondere; l’importanza della collaborazione, debolezza italiana che Piero apprende all’estero e cerca di replicare; infine la comunicazione: tutta focalizzata sulla difesa del nome di famiglia, fonte di orgoglio e per noi altri garanzia. Infatti, non su tutte le etichette è presente, ad esempio, il nome della famiglia, il marchio “Antinori”, che –ad esempio- non manca sulle etichette dei vini californiani (decisamente tra i migliori che abbia provato in California). Fateci caso e scoprite dove è presente da oggi in poi.
Questa esplosione di successo, questa internazionalizzazione, questa espansione (per accontentare gli esperti e i cultori di qualsivoglia settore: economico, sociale…) è segnata da un altro importante passaggio: le nuove cantine nel Chianti Classico che segnano l’abbandono di Palazzo Antinori il quale, situato al centro di Firenze, non si rende di certo agevole per cotanta complessità. Le nuove cantine sono a dir poco un’opera di marketing territoriale per promuovere il patrimonio enogastronomico, architettonico ed artistico locale. Situate nel Chianti Classico, dove tutta la proprietà prende, appunto, il nome di “Antinori nel Chianti Classico”, custodiscono aree di affinamento avvolte da un’atmosfera soffice e misteriosa con sale degustazione a vetri sospese al di sopra delle botti dove si apprezza il vino nel silenzio più totale e a luce soffusa. Non manca poi un ricco shop con oggetti stilosi e tutti, dico tutti, i vini della casa con fasce di prezzo che variano dai 15 ai 200 e passa €. Ma soprattutto opere di artisti famosi e meno noti, alcune delle quali si susseguono ogni 6 mesi in mostre temporanee, sempre insieme ad un torchio realizzato da un disegno di Leonardo e salvato dal Marchese da un incendio qualche tempo fa. Ed è qui che ho avuto la possibilità di intervistare Allegra Antinori, una delle 3 figlie (insieme ad Albiera ed Alessia), oggi responsabile dell’ospitalità. Questo se non vogliamo considerare il “figlio adottivo” (come spesso viene definito da alcuni) Renzo Cotarella, che inizia a collaborare con gli Antinori come giovanissimo enologo all’inizio della carriera e divenuto oggi, dopo anni di scambi e fiducia, Amministratore Delegato.
Allegra vuole sottolineare subito il valore di questo investimento nel Chianti Classico per valorizzare un territorio intero e comunque la distinzione che viene fatta per ogni singolo territorio perché ogni vino ha la sua identità e la sua personalità ed è per questo che le gestioni delle varie tenute sono separate; afferma, infatti: “la nostra comunicazione”, oggi ancora più forte con questo investimento, “si basa sulla triade famiglia-storia-territorio”.
Non sono mancate le critiche nel corso degli anni, non è mancato chi ha additato i vini Antinori come vini commerciali; invece, è proprio per evitare ciò che l’azienda è rimasta un’azienda di famiglia, non è un’azienda pubblica perché si cerca il più possibile, di mantenere un carattere territoriale e familiare…in realtà, c’è da andare oltre in questi casi, c’è da ricordarsi quanta strada è stata fatta, quanti esperimenti, quante scoperte, quante occasioni educative per il pubblico, quanto pregio è stato donato all’Italia grazie a questi successi, quante peso ha guadagnato il vino italiano sul mercato internazionale; ed ancora, quanto turismo porta (in particolare in Toscana) con questo nuovo investimento, qui ho ritrovato similitudini con mercato californiano (leggi i report qui).
Gli Antinori lavorano da sempre su un modello che lascia spazio ad una comunicazione troppo spesso sottovalutata in Italia, una comunicazione che deve accompagnare e spingere la qualità produttiva che abbiamo e ci riconoscono in ogni singola provincia dello stivale.
E così, anche ad Allegra, pongo la stessa domanda che ponevo ai produttori in California “Cosa l’Italia può imparare dalla California e dalla Francia?”, Allegra mi risponde senza esitazione “capacità di fare sistema per poi arrivare alla capacità di fare comunicazione –soprattutto di un territorio nel suo insieme appunto – e creare una rete e un sistema commerciale realmente efficaci” ma aggiunge “non è facile, il nostro territorio è storicamente frammentato e con distinzioni che ci dividono pur essendo il nostro punto di forza”!
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