Mancano giusto 24 ore all’inizio della cerimonia più attesa dell’anno nel mondo pizza: la finale mondiale di 50 Top Pizza 2024. Il penultimo atto perchè a Londra si fisserà la migliore catena artigianale che non è meno importante, anzi, starei per dire il contrario visto l’incredibile tendenza a moltiplicare i locali.
Con Barbara Guerra e Albert Sapere siamo arrivati al settimo anno senza vivere la crisi del settimo anno. Magari oggi non esistono più crisi del settimo anno perchè questo traguardo temporale è davvero molto lontano da raggiungere oggi.
Non è stato facile neanche per noi. Ma ci siamo riusciti sinora grazie alla collegialità delle scelte riuscendo a trovare il punto di equilibrio frutto di un confronto che ha le sue sensibilità in esperienze generazionali molto diverse fra loro. Loro venivano dalla esperienza delle Strade della Mozzarella che ha dato dignità gastronomica ad un prodotto che usciva dalla crisi della diossina. Dieci anni in cui è passato tutto il mondo gastronomico italiano e tanti protagonisti stranieri. Una esperienza che nessuno è più riuscito a ripetere ma che ha lasciato i segni sul territorio, oggi un vero e proprio polo di qualità agro alimentare.
I segni sul territorio e una massima da tenere sempre presente: la riconoscenza è il sentimento del giorno prima!
In comune abbiamo però due cose: la passione di coltivare un sogno e il totale disinteresse per i soldi.
Due doti non comuni in un mondo che non sogna più se non a livello individuale e dove il danaro è l’unico parametro di valutazione.
Non è un discorso moralistico, è la convinzione che i soldi servono a coltivare i sogni e non viceversa per cui mentre in tanti ci hanno immaginato a tuffarci nelle piscine di monete d’oro come Zio Paperone, in realtà abbiamo continuamente investito per pagare chi lavora con noi, chi fa le recensioni, per fare fronte alle cerimonie di premiazione che fanno la differenza con le presentazioni da oratorio anni ’70 che vediamo in giro, affidandoci sempre a professionisti che sono bravi e che conoscono il settore: domani non sarà solo una premiazione, ma uno show che riempirà di gioia tutti i partecipanti, compresi quelli che hanno fatto 10mila, 15mila, 20mila chilometri per essere a Napoli, al teatro Mercadante.
Tokyo, Madrid, Buenos Aires, New York, Milano, Napoli e a novembre Londra: il movimento è globale ormai e ridisegna luoghi comuni e tendenze.
C’è tanta gioia, ma anche un pizzico di amarezza, che penso sia la stessa che spinge tanti giovani a lasciare l’Italia. Qui la vita è come l’antico catenaccio italico: è importante non far giocare gli altri, non tanto andare a rete.
Il nostro numero uno in Usa è stato invitato a fare le pizze ai giornalisti che stavano per andare in onda con il loro telegiornale. Sarebbe pensabile una cosa del genere in Italia?
Abbiamo lavorato senza soldi pubblici e questo ci fa dormire tranquilli e soprattutto ci ha consentito di ascoltare solo le esigenze del mercato. Tralascio, per decenza, di fare paragoni che comunque sono sotto gli occhi di tutti, anche in questi giorni.
Abbiamo lavorato riuscendo ad avere un rapporto pulito e lineare con i nostri partner: scegliendo in autonomia senza pressioni perchè quando gli sponsor intervengono su premi e classifiche trasformano le guide in cataloghi e questo deprezza il loro investimento. Ma per capirlo bisogna avere rapporti con proprietà e uffici marketing capaci di guardare oltre la punta del proprio naso. E in questo siamo stati fortunati con tanti, non con tutti.
In un sistema dove tutto funziona al contrario, il mondo al contrario mo’ ci vuole, questa sembra un bugia, invece è la pura verità.
In questi anni abbiamo imparato ad affrontare tutta la spazzatura dei social, le cattiverie inutili, le spavalderie, le insinuazioni, i colpi bassi, gli storytelling, a volte dovendo ricorrere ai legali, la maggior parte riuscendo a capire che il nostro prossimo mestiere sarà quello di Ufficio Consulenza Crisi Mediatiche perchè in questo siamo diventati davvero bravi, scusate la presunzione. Potremmo scrivere un manuale, ma alla fine ringraziamo perchè abbiamo capito che nei social più sei attaccato più conti. Proprio come nella realtà italiana di tutti i giorni.
Abbiamo avuto l’ambizione, non campanilistica, di riequilibrare la narrazione gastronomica italiana. Ma non per il Sud, bensì per il nostro stesso patrimonio gastronomico nazionale, non solo culturale ma anche economico. Uno squilibrio che ha sempre visto le guide cartacee trattare con marginalità oltre metà del nostro Paese qualcosa che invece guide straniere come la Michelin esaltano. Chi ha ragione? Basta girare il mondo per rendersi conto dell’anagrafica dei piatti più famosi al mondo, a cominciare dagli spaghetti al pomodoro che per Alberto Grandi sono stati inventati dagli americani perchè ignora che Ippolito Cavalcanti ne da la ricetta nel 1837 nel suo Cucina Teorico-Pratica! Così, tanto per dire.
Con la pizza ci siamo riusciti ed è questo forse l’orgoglio più grande: senza campanilismi, abbiamo potuto raccontare un fenomeno in crescita ed è forse questa la cosa più importante: la nascita di una comunità internazionale dove si scambiano le esperienze e si matura.
Di errori ne abbiamo fatti e ne faremo. Per carità. Di difetti ne abbiamo, tanti. Ma sono errori e difetti di persone libere.
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