La cucina di Marco Ambrosino ci è sempre piaciuta molto, mi riferisco quando lanciò la cucina mediterranea da 28 Posti a Milano.
Si tratta infatti di una delle poche proposte di avanguardia vera che abbiamo in Italia, non tanto nella tecnica, quanto nella filosofia di approccio che è speculare alla corrente del Nord Europa: una ricerca che va dai turchi ai berberi, delle materie prime, dei piatti e delle tecniche che vengono poi ripensate da Ambrosino in forma moderna. Non un semplice collage di piatti tradizionali, dunque, ma una ulteriore elaborazione.
Il primo paradosso che viviamo è che dunque a Milano questa proposta era perfettamente inserita nel contesto cittadino sino al punto che era molto difficile trovare posto, invece qui a Napoli, che dovrebbe essere la naturale culla di una proposta gastronomica del genere, fa fatica a raccogliere consensi se non della cerchia dei gastronomi.
Questa considerazione serve a smentire alcuni luoghi comuni: il primo più importante di tutti, è che Milano è assolutamente una realtà mediterranea, pensiamo che lo storico Braudel stira il concetto di Mediterraneo sino alle Alpi e anche oltre. Nella sua apertura mentale rispetto a quello che circola nel mondo, potremmo arrivare a dire che Milano è ancora più mediterranea di Napoli.
La seconda considerazione è che la cucina napoletana, insieme a quella emiliano-romagnola, formano la base del menu ‘Made in Italy’ fuori dall’Italia, dunque Napoli vive un momento in cui la tradizione è ancora contemporaneità. Forse oggi più di ieri perchè i piatti codificati nell’800 da Corrado e Cavalcanti oggi trovano rifugio nella ristorazione pubblica più che nelle case. Quindi, a parte le presunzione, vive una sensazione del tipo che qui è già stato inventato tutto; invece Milano, che ha sicuramente presunzioni ma non di tipo gastronomico, relega i piatti di tradizione alla condizione psicologica della nostalgia più che della contemporaneità.
In sintesi, il napoletano con la sua cucina tradizionale si sente contemporaneo, il milanese per sentirsi contemporaneo va nei locali fusion e in quelli di nuove tendenze, tra cui rientra anche la pizza napoletana.
Dunque questo è il motivo per cui la cucina di Marco Ambrosino non entra, per il momento in città. C’è poi un altro fattore che non aiuta: la Galleria Principe di Savoia, nonostante sia di fronte ad uno dei Musei Nazionali più importanti e a ridosso di Via Costantinopoli e il teatro Bellini, è vista come un buco nero. E, da questo punto di vista , è l’emblema di come sia difficile il recupero in città ricche di storia come Napoli o Firenze. Non c’è nessun napoletano di città che scoprendo dove si trova Sustanza, questo il nome del ristorante, non arricci il naso.
Il Fato ha poi voluto che si verificasse una caduta di calcinacci nella Galleria e a Napoli funziona cosi: arrivano i tecnici del comue, mettono impalcature e segnali di diveto di accesso e tutto resta così anche per anni. In pratica, il ristorante ha dovuto creare un nuovo ingresso.
Tutto questo per sottolineare il coraggio e la visione dell’imprenditore Luca Iannuzzi che ha effettuato un restauro spaventosamente bello, sale di lettura, bancone bar, bistrot e ristorante al primo piano, biblioteca con migliaia di volumi, oggetti preziosi, aria Liberty da caffè chantant che qui funzionava alla grande proprio come nella Galleria Umberto. Una meraviglia che ti fa venire la voglia di metterti in vestaglia e pantofole e trascorrere qui tutto il resto della giornata.
Detto questo direi che la Napoli che si apre al turismo, oltre alla pizza, alla genovese e alla pasta e patate con provola deve poter offrire altro ai visitatori, e questa proposta di Marco Ambrosino è una di quelle cose che se venite in città non potete perdervi. Infatti è lo sforzo di immaginare una cultura gastronomica mediterranea che dall’archeologia dei saperi dei popoli e delle religioni in perenne guerra fra loro alla modernità della tavola, a cominciare dall’uso del vegetale come solo qui si sa valorizzare, da Instanbul a Tunisi, da Palermo a Bari e a Napoli. Una cucina in cui entrano anche tecniche giapponesi perchè su questo pontile chiamato Italia niente è italiano ma tutto diventa italiano nel corso dei millenni.
Il risultato è un pasto equilibrato, appassionante, decisamente sano, ricco di suggestioni gustative ma anche capace di essere appagante e papposo in alcuni momenti. Non è una cucina di estremi, ma una cucina di estrema sintesi e la pecora avvolta nella foglia di verza resta per me un piatto indimenticabile.
Nel corso della degustazione (i piatti si possono scegliere, partendo da cinque a cento euro) Marco Ambrosino riesce a creare una cucina di carattere, personale e al tempo stesso collettiva. Mentre Ducasse a Napoli ha, da buon cartesiano francese, l’ambizione di “codificare” la cucina mediterranea mettendo la punta del compasso nell’olio d’oliva ma poi non resistendo alla riproposizione del piccione, Ambrosino, figlio dell’anarchia individualista della Magna Grecia, sa che tutto è fluido, che tutto si intreccia per diventare altro da se, e punta deciso sulle sensazioni tattili dei piatti.
Il servizio delle stanze, perchè di stanze è composta Sustanza, è competente, professionale, napoletano (leggi non rigido e ammosciapalle). La carta dei vini non ha altra pretesa che di essere c0mplementare alla cucina attraverso etichette di carattere, selezionate con intelligenza non ecumenica. Proprio come i piatti.
Quindi il mio consiglio è venite, divertitevi, ritornate. Ne vale davvero la pena. Napoli è la città dell’arte, per diventare città della cucina non basta essere primi, bisogna essere aperti, altrimenti prima o poi si passa al secondo, e al terzo, e poi sempre più giù. Ogni primato è tale se ha la capacità di aggiornarsi.
REPORT DEL18 GENNAIO 2024
di Salvatore Pope Velotti
Lo chef Marco Ambrosino è stato chiamato a un compito difficile: a Napoli, città dalla tradizione forte in campo gastronomico, proporre una cucina contemporanea che si rifà alla cucina di tendenza nordica, fatta di fermentazioni, acidità e sapori amari; propio dove la tradizione è stata tradita con un “addolcimento” dei piatti, vedasi la provola nella pasta e patate che nulla c’entra con la tradizione.
Il ristorante offre un unico percorso di cinque portate per i clienti vegani e ci auguriamo che presto possa esserci la possibilità di percorsi più lunghi: non manca la creatività allo chef né gli ingredienti che gravitano nella sua cucina possono impedirglielo. Nell’attesa speranzosa, accontentandomi del numero di portate, mi sono comunque fatti l’idea di un percorso deciso e determinato, che si srotola, come detto, sulle note acide e amare: occorre un approccio ecumenico per questo tipo di cucina o si resterà profondamente delusi.
Per me si tratta di amore al primo assaggio, poiché già dal piccolo tris di benvenuto Ambrosino scopre le carte con degli amuse-bouche che sono programmatici.
I piatti che seguono sono complessi, arricchiti da salse e brodi che non sono un semplice accompagnamento ma coprotagonisti e servono a dare sostanza al palato e alla sua stimolazione continua.
Numerosi gli ingredienti di ogni portata ma tutti necessari e percepiti distintamente, in un gioco di alchimia che vede brodi di pane fermentato, estratti di cipresso, bucce di agrumi bruciate, concentrato di foglie di fico e tanto altro alternarsi in una esperienza di puro godimento estetico e palatale.
Il locale è molto gradevole e curato nei dettagli e questo ambiente un po’ retrò contribuisce alla sensazione di essere davanti ad uno spettacolo di magia d’altri tempi, dove ogni portata è un numero sorprendente e in alcuni casi sbalorditivo.
Il servizio impeccabile e attento, pur non essendo troppo rigido, fa sentire a proprio agio gli ospiti e il sommelier è preparato e riesce a proporre i giusti abbinamenti per piatti tanto complessi, svolgendo un lavoro impeccabile, come quando propone un cocktail a base di tequila e carciofo in abbinamento a un piatto il cui protagonista è il carciofo stesso.
Una cucina difficile da comprendere e che non è per tutti; se decidete di attovagliarvi al Sustanza sappiate che potrete tanto amarlo quanto restare delusi se il vostro spirito non è pronto a stupirsi e analizzare ogni piatto. Non ci si siede con leggerezza a questo tavolo ma serve quella predisposizione curiosa e vogliosa di spremersi le meningi per comprendere la creatività proprio come se stesse approcciando un’opera d’arte contemporanea.
Per me, mi ripeto, è stato al primo assaggio amore di testa, di cuore e di palato.
Sustanza
Galleria Principe di Napoli XIV XVII
80135 Napoli
Telefono: +39 0813795766
Email: reservation@sustanzanapoli.com
Menu di 5 portate a 80,00 Euro
Abbinamento di 5 vini a 60,00 Euro
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