La Buticche di Lampredotto
Via de’Nerli, 2
Firenze
Aperto tutti i giorni, tranne la domenica, dalle 10,30 alle 18,30
di Carmen Autuori
Fino a qualche decennio fa, prima che le catene dei fast food conquistassero il mondo, il biglietto da visita della maggior parte delle città, da Nord a Sud, erano gli odori, quelli del cibo di strada che raccontano l’essenza stessa di un luogo.
A Firenze – ad esempio- una volta arrivati alla Stazione di Santa Maria Novella, si veniva inebriati dal profumo proveniente dai carretti dei trippai la cui specialità era il panino con il lampredotto. Oggi questo non accade più ma, per fortuna, questo cibo di strada fortemente identitario della cultura gastronomica popolare fiorentina è stato gelosamente preservata dagli stessi trippai, i discendenti dei membri di una delle più antiche corporazioni fiorentine della Arti Minori, seguite poi da quelle dei Macellari, dei Pollaioli, degli Agnellai, per citare solo alcune di queste associazioni nate tra il XII ed il XIII secolo e formate da membri di una stessa categoria professionale.
Il mestiere di venditore ambulante di trippa si diffuse in pieno Rinascimento. All’epoca la città pullulava di coloratissimi carretti di legno, spinti esclusivamente a mano, che si spostavano di quartiere in quartiere, oggi sono diventati chioschi e si chiamano banchini, sono super accessoriati ma mantengono sempre il loro spirito gitano che ritroviamo nel modo di essere dei gestori, sempre pronti alla battuta sagace e talvolta pungente.
Oggi è possibile trovarli nella maggior parte dei quartieri della città: al Mercato Centrale di San Lorenzo e a quello di Sant’ Ambrogio, in prossimità della Loggia del Porcellino, a Porta Romana, in via de’ Macci. E poi nel quartiere di San Frediano, dove tutto ha avuto inizio, ma andiamo per gradi.
Cosa è il Lampredotto
Partiamo dal nome che deriva da “lampreda”, un pesce simile all’anguilla di cui era ricco l’Arno, le cui carni dopo la cottura assumono un aspetto ondulato molto simile a quello di questa trippa fiorentina. Le lamprede erano una delle pietanze preferite dall’aristocrazia, un vero e proprio status symbol, tanto che nei mercati rionali si cominciò a vendere la versione povera chiamata, non senza l’ironia tipica che appartiene al popolo, lampredotto.
Chiarita la radice etimologica, il lampredotto è il quarto stomaco del bovino, l’abomaso – i primi tre sono il rumine, l’omaso ed il reticolo – che a sua volta si divide in due sezioni, la gala e la spannocchia.
La prima si presenta più magra e dal gusto più intenso – quello ricercato dai cultori di questo cibo – la seconda avvolta da uno strato di grasso dal sapore più delicato. C’è chi preferisce il lampredotto ‘sbucciato’, si tratta della gala a cui viene tolta la membrana scura che l’avvolge.
Oltre al lampredotto vero e proprio che viene servito in un panino croccante chiamato semel o semelle oppure foglia, condito semplicemente con sale e pepe, c’è anche la versione con salsa verde e olio piccante, in questo caso si chiama ‘completo’.
Una curiosità: il pane che contiene il lampredotto è sempre salato, a differenza delle altre tipologie che sono ‘sciape’.
Non manca la trippa alla fiorentina ottenuta dal rumine e dal reticolo, condita con pomodoro ed una generosa spolverata di Parmigiano, che in genere viene servita al piatto.
San Frediano e La Buticche di’ Lampredotto
Il quartiere simbolo della trippa, e di conseguenza del lampredotto è San Frediano. E’ da qui – come dicevamo – che tutto ha avuto inizio quando dalla metà dell’Ottocento nacquero i primi macelli, sul lungarno Solderini, tra via dell’Orto e via di Camaldoli, tra vicoli strette, botteghe artigiane e all’ombra di capolavori come la Basilica di Santa Maria del Carmine con accanto la Cappella Brancacci ed i suoi straordinari affreschi del Masaccio. “Quanto v’è di perfetto, in una civiltà diventata essa stessa natura, l’immobilità terribile e affascinante del sorriso di Dio, avvolge Sanfrediano, e lo esalta”, così Vasco Pratolini nel suo celebre Le ragazze di San Frediano.
Le trippe venivano bollite in grandi caldaie, appese a dei ganci e una volta private da ogni impurità, distribuite ai trippai.
Qui, in piazza de’ Nerli, una volta conosciuta come l’antico trippaio, troviamo Simone Balleggi che con la sorella Barbara è punto di riferimento per i fiorentini, e non solo, con il suo panino con il lampredotto.
Il chiosco, proprio al centro della piazza, ha un nome quantomeno singolare, La Buticche di’ Lampredotto, un modo per ironizzare sul termine boutique, in genere utilizzato per beni di lusso che qui diventa il tratto distintivo di un cibo poverissimo.
Sono appena le undici e già c’è una lunga fila formata da operai che lavorano nei cantieri nelle vicinanze, da impiegati in giacca e cravatta, da pensionati con l’immancabile quotidiano sotto al braccio e da tanti giovani, segno che la tradizione del panino con il lampredotto è un’istituzione, una sorta di vera e propria leggenda gastronomica che non conosce differenze né di classe né di età.
<< Portiamo avanti questa attività da venticinque anni– ci spiega Barbara, mentre affetta con gesti sicuri pezzi di lampredotto bollenti -, siamo nati qui in questo quartiere, così come i nostri genitori. A differenza di altri noi non siamo trippai da generazioni, ma per passione. Una passione che ci deriva dal luogo in cui viviamo e in cui siamo nati, ad ispirarci è stato proprio il legame tra San Frediano e la trippa.
Cerchiamo di mantenerci quanto più è possibile fedeli alla tradizione, a cominciare dal pane, noi lo chiamiamo foglia, che deve essere salato ma soprattutto croccante. Grande attenzione va riservata anche al brodo in cui si cuociono i pezzi di carne: gli aromi non devono coprire il caratteristico gusto di interiora del lampredotto.
Oltre alla maniera classica, cioè con sale e pepe, i nostri panini vengono serviti con la salsa verde e l’olio piccante fatto da noi. La preparazione è un vero rituale: una volta tagliato a metà, il pane va farcito con la gala o con la spannocchia, talvolta entrambe, e poi la calotta deve essere intinta nel brodo prima di ricomporre il panino.
Il lampredotto si può gustare anche ‘inzimino’, cioè con bietole o spinaci, alla cacciatora, ‘rifatto’, con pomodori e patate, all’uccelletto con salsiccia e fagioli, ai porri, ai carciofi: a dettare le regole dei vari condimenti è esclusivamente la stagionalità>>.
Al morso il panino ‘completo’ si rivela una vera e propria esplosione di sapori e di consistenze. La croccantezza del pane – la foglia fa la differenza rispetto ad una banale rosetta – bilancia in modo perfetto la rotondità del lampredotto, nessun sapore sovrasta l’altro, anzi sono tutti in perfetta armonia anche perché perfettamente bilanciati nelle dosi, compreso salsa verde ed olio al peperoncino.
Sempre in omaggio all’antico mestiere del trippaio, a La Buticche di’ Lampredotto si può trovare la trippa alla fiorentina, il misto di frattaglie lesso, la poppa (mammella), servita in carpaccio o lessa, la matrice (le tube), la lingua e, nel periodo estivo, l’insalata di trippa condita con pomodoro cipolla e capperi, il tutto può essere gustato sia nel classico panino che al piatto e, volendo, anche da asporto.
Imperdibile il ‘peposo’, tipico brasato toscano, realizzato con la guancia di manzo.
Su una delle insegne del chiosco Simone con la sua consueta ironia scrive: “la trippa, comunque cucinata e condita è sempre un piatto ordinario. La giudico poco confacente agli stomachi deboli e delicati”.
Ci sentiamo di dissentire e di sospendere il giudizio almeno fino all’assaggio di questa squisitezza se vogliamo entrare nel cuore della cultura gastronomica più autentica della città, altrimenti nulla vieta di fermarsi al primo fast food che incontrerete uscendo dalla stazione. A voi la scelta.
La Buticche di Lampredotto
Via de’Nerli, 2
Firenze
Aperto tutti i giorni, tranne la domenica, dalle 10,30 alle 18,30
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