di Alma Torretta
Cori, un nome pronunciato sempre più spesso dagli amanti del buon vino italiano. Perché qui, nell’estremo lembo delle terre vulcaniche dei Castelli romani, ai piedi dei Monti Lepini sempre carezzati da un dolce venticello salmastro che arriva dalla vicina costa di Latina, cresce un vitigno – il Nero Buono, appunto, di Cori – che sta affiancando in notorietà il Cesanese come rosso autoctono del Lazio. Un vitigno ancora da studiare, ancora da individuarne i diversi cloni, difficile da coltivare, molto sensibile alle condizioni pedoclimatiche, rigoglioso in vigna con foglie che possono raggiungere dimensioni notevoli, da sapere ben gestire in cantina perché può dare vita a vini molto diversi tra loro, sempre con un bel frutto rosso carnoso in evidenza ma tannini da domare, come è stato evidente visitando tre realtà diverse del territorio: la grande cooperativa Cincinnato, la piccola cantina familiare tbiologica Donato Giangirolami e il fuoriclasse Marco Carpineti che nell’86, abbandonato il suo lavoro da impiegato per dedicarsi alle vigne di famiglia, ha scommesso tra i primi sulle potenzialità del Nero Buono e del Bellone, la bacca bianca della zona, ma diffusa anche altrove in Lazio, nonché in una produzione il più possibile naturale, cominciando così a far conoscere anche all’estero il nome di Cori. Cittadina che, come orgogliosamente ricordano i locali, è stata fondata prima di Roma e vanta il tempio dorico più a nord d’Italia, quello di Ercole, e quel gioiello di pittura quattrocentesca che è l’Oratorio dell’Annunziata, insomma, un territorio da riscoprire per tante ragioni. Tra cui anche l’ottimo olio.
Cincinnato: la cantina sociale elegante nei vini e nell’immagine
Prima sorpresa: le cantine sociali riconvertite alla qualità soffrono spesso a lungo d’immagine, Cincinnato invece ha già un packaging molto curato e moderno ed anche la struttura d’accoglienza è già un agriturismo raffinato, con eleganti mobili ricavati dalle botti e pareti ricoperte da vecchie arnie.
La cooperativa è stata fondata nel 1947, il nome richiama quello del famoso uomo politico dell’antica Roma che si è ritirato, smesse tutte le cariche, proprio qui a Cori da dove era originario. La svolta nel 2000 quando si è chiuso l’ingresso di nuovi soci per iniziare tutti insieme, poco più di cento soci per complessivi 500 ettari circa, un programma di riconversione sopratutto grazie ad un protocollo di pagamento premiante la qualità, con prezzi sino a 4 volte superiori per le uve migliori. Protagonista di questa svolta il socio Nazzareno Milita, agronomo, da allora presidente della cantina.
Non è stato facile, per i diradamenti bisognava chiamare operai da fuori perché il contadino di Cori, già molto danneggiato dalla guerra, proprio non riusciva a farli, ma alla fine il balzo di qualità dei vini è stato compiuto, la cantina ha lanciato anche un progetto olio, poi la linea biologica, ed adesso, proprio dallo scorso aprile, è pure sponsor del Vigneto del Parco archeologico del Colosseo, nel cuore di Roma, sul colle Palatino, dove è stato impiantato il Bellone che Cincinnato produce in ben sei tipologie, dallo spumante (brut, metodo classico e pas dosé) al vino dolce, dando prova della versatilità di un vitigno che malgrado fosse apprezzato già dai romani era stato ridotto ad essere utilizzato solo per dare struttura ad altre uve mentre adesso sta mostrando tutte le sue potenzialità e versatilità.
Ma il vitigno esclusivo di Cori, resta il Nero Buono, qui prodotto in tre diverse versioni: il più immediato Ercole, più complesso il Polluce, la riserva Kora, tutti caratterizzati da colore intenso, sentori di ciliegia via via più intensa, sottobosco, una nota di liquirizia nel finale, giusta acidità, tannini morbidi. Da segnalare che le uve migliori per la riserva Kora sono risultate quelle prodotte da un vecchio tendone superstite quando la maggioranza delle vigne è oggi coltivata a guyot. “Le analisi del DNA non hanno trovato sinora parenti prossimi del Nero Buono sino al secondo grado – spiega Giovanna Trisorio, responsabile marketing di Cincinnato – sembra non abbia “cugini”, è veramente un vitigno unico di Cori”.
L’interesse è già tale che il Nero Buono lo coltiva pure già un po’ più a nord, a Velletri, Murgo, blasonata azienda siciliana dell’Etna che ha proprietà anche in Lazio. La cantina Cincinnato produce anche, con un ottimo rapporto qualità- prezzo pure Malvasia puntinata, Greco Moro (una varietà di greco bianco che resta verde scuro anche a maturazione), Cesanese e Montepulciano, uve tutte che sono state impiantate in un piccolo vigneto didattico che sta crescendo proprio davanti la struttura d’accoglienza e proprio sotto una bella vista del paesino di Cori più in alto sulla montagna.
Giangirolami: la piccola cantina biologica familiare dove il Nero Buono è difficile da domare
Seconda sorpresa: convinti che il Nero Buono dia vini morbidi, l’azienda agricola Giangirolami che ha la maggior parte dei vigneti e la sala degustazione in località Doganella di Ninfa (Cisterna di Latina), mentre la cantina si trova ancora più giù, a Borgo Montello (Latina) ce ne fa scoprire un’altra faccia. Un’azienda interamente biologica dal 1993, che da tre ettari nel 1957 quando è stata fondata da Dante Giangirolami è passata agli attuali 80 (ma solo 40 vitati) con il figlio Donato e le nipoti Federica, Laura e Chiara.
Qui il paesaggio cambia radicalmente, siamo più vicini alla costa, già nell’area della bonifica dell’antica palude e ai vigneti si alterano gli impianti, molto remunerativi, per la produzione di kiwi . “Da noi il Nero Buono ha sempre tannini molto ruvidi – spiega Laura Giangirolami – infatti lo facciamo affinare 12 mesi in rovere da 1000 litri, e non lo imbottigliamo tutti gli anni, è proprio un vitigno difficile qui da noi”.
In degustazione infatti il loro Lepino 2018 mostra tannini evidenti e ti fa venire subito voglia di abbinargli carni succulente per attenuarne l’astringenza. La cantina, ha invece il suo punto forte nel Grechetto, sia di Todi che di Orvieto, di cui produce anche un spumante, il Nynphe, ottenuto con metodo ancestrale imbottigliando il mosto solo parzialmente fermentato. Il 2017 è un metodo classico extra brut, “ma a volte viene un brut, decide lui” spiega Laura Giangirolami, una bollicina lieve ma dal gusto intenso, solo 12,5%, perfetta anche per accompagnare piatti di mare. Qui si produce pure Bellone, Cesanese, Malvasia del Lazio e molti internazionali, tra cui un delizioso Rosé da uve Syrah con freschi, accattivanti sentori di pompelmo rosa dominanti ma di cui non sottovalutarne la potenza perché ha 13,5% d’alcol. In vigna hanno cominciato anche a sperimentare pratiche biodinamiche.
Marco Carpineti: il passato che diventa futuro
Tornando più in alto, a 250 slm, nella zona di Cori più vocata per il Nero Buono, concludiamo il giro da Marco Carpineti, il pioniere e tutt’ora l’avanguardia. La terza sorpresa è visitare una delle sue bottaie dove, nello scavare il tufo, hanno trovato una lingua di lava nerissima, probabilmente una delle più avanzate verso la pianura pontina, alla cui estremità si distinguono bene accumuli rossi ferrosi ed altri gialli di zolfo. E’ diventata una suggestiva parete che fa da cornice non solo alle botti ma anche alle anfore di tipo romano senza manici e crude (non trattate all’interno) dove affinano Nero Buono e Bellone dopo essere stati vinificati in acciaio.
Da questi due vitigni tutto è cominciato con le etichette Capolemole (dal nome della località) bianco e rosso (quest’ultimo oggi anche con cesanese e montepulciano), vitigni che adesso sono anche il futuro della cantina, un “antico futuro” con i due Nzù (che sin corese significa “insieme”, perché il vino è convivialità – spiega Marco Carpineti – ma anche perché i due Nzù mettono insieme passato e futuro). Bellone e Nero Buono in purezza, da terre lavorate con i cavalli, fermentazione spontanea e affinamento, appunto, in anfora. Che Marco Carpineti propone di servire con una brocca in terracotta appositamente realizzata per lui da un giovane ceramista della zona, per esaltarne il legame con la terra di Cori. I suoi vini si caratterizzano tutti per la lunga persistenza sapida, è il terreno vulcanico che lascia traccia. L’azienda è biologica dal ‘94, in parte già pure biodinamica, sta lavorando sui propri lieviti autoctoni, il fabbisogno energetico è orami quasi interamente garantito dai pannelli solari.
Dal piccolo casolare del nonno, oggi la famiglia Carpineti è proprietaria di quattro tenute a diverse altitudini e con diverse esposizioni, racconta Isabella, la giovane figlia di Marco.
Il Nero Buono che si produce in quella più assolata, con esposizione a sud, a Pezzi di Ninfa, diventa l’Apolide affinato due anni in barrique per domare i tannini. Da tenuta San Pietro arrivano invece le uve per i tre spumanti metodo classico, i Kius: brut da uve Bellone, extrà brut rosé da Nero Buono (colore delicatissimo ma che nasconde un’astringenza che gli da carattere), e il pas dosé pure da Nero Buono affinato 60 mesi sui lieviti. L’ultima tenuta, acquisita recentemente, in montagna a 500 metri d’altitudine in località Bastione, pure dedicata sopratutto a Bellone e Nero Buono, mostrerà, assicurano in azienda, un’altra espressione di questi due antichi vitigni.
E c’è un’altra uva rossa antica ancora tutta da riscoprire che Marco Carpineti sta sperimentando: l’Abbuoto. Da non perdere, infine, la degustazione del loro Greco moro, non fa macerazione sulle bucce ma sembrerebbe il contrario. E’ proprio indubbio, nel mondo del vino. si sentirà parlare sempre più spesso in futuro dell’antica Cori.
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