A Casa di Dionisio a Ceppaloni
c.da Masseriola, 11/13, frazione di Beltiglio
Tel. 0824 46574
Aperto la sera, dal venerdì alla domenica anche a pranzo
Chiuso lunedì e martedì
Quando trovate un oste molto bene in carne, che conosce tutti i produttori della zona, dell’Italia e del Mondo. Che trasmette passione per il cibo ma non è un dilettante nella gestione del locale, bensì un professionista attento, e che poi sa anche di vino. Bene, segnalatelo al Wwf come raro esemplare di specie in estinzione. Io ho appena mandato il dossier che riguarda Dionisio Mignone e credo che ci rivolgeremo anche alla Soprintendenza per chiedere un vincolo.
Dionisio è figlio d’arte, fu il papà Vincenzo (di cui sotto pubblichiamo il ricordo di Nicola Matarazzo scritto qui nel 2011) a creare il ristorante a Beltiglio, una delle frazioni che compongono il comune di Ceppaloni, ai confini fra Sannio e Irpinia. All’epoca spuntavano ristoranti di pesce in aperta campagna per dare la possibilità ai locali di mangiare qualcosa che non provavano a casa. Da allora ne è passato di tempo, e siccome nemmeno nelle case dei paesini dell’Appennino ormai si cucina più, ecco che le trattorie, quelle serie, sono diventate una sorta di biblioteca comunale dei prodotti e delle ricette tradizionali.
Nel frattempo Dionisio si è sposato con Adriana Pawlick, brasiliana, che ha portato una ventata di freschezza in cucina evitando il rischio di trasformarlo in un museo.
Dalle peschiole di Verticelli ai salumi di Marcello e Roberto Di Menna, dal tartufo bianco ai vini del Sannio. Ai distillati, ai sigari, insomma questo posto, immerso nel verde, è una sorta di Caverna di Alì Babà per gli appassionati del cibo che riporta alle atmosfere, ormai perse, degli anni ’90, quando c’era la gioia e l’entusiasmo della scoperta delle novità.
Tutto è finalizzato a perdere tempo, in quella atarassia di cui si è perso ogni valore. Eravamo qui per una colazione di lavoro e ci siamo alzati da tavola alle cinque del pomeriggio, quando la notte ha iniziato ad avvolgere le dolci colline vitate e piene di olivi, pioppi, querce, qui dove nasce il tartufo bianco che poi si trasformerà, almeno in parte, in tartufo d’Alba. Un tuffo nel passato: quando eravamo con il papà Vincenzo e altri cari amici a discutere di tartufo bianco proprio a questo tavolo. Uno dei tanti cold case del Sud, in cui il tempo si deve far da parte per fare spazio alla precisione e alla precisazione e dunque ai rinvii.
La cucina di Adriana è italianizzata, ma qui, sotto sotto, ci sembra di mangiare con tante tapas che appaiono improvvisamente a centro tavola, ciascuna delle quali ha una storia da raccontare e che meriterrebbe da sola il viaggio. La pasta, ben eseguita sia fresca che secca, ci mantiene saldamente in Italia. Si chiude con carne alla brace, sempre la marchigiana razza padrona nel Sannio e bovini dell’Irpinia, con funghi porcini e patate. Una cucina terragna, autunnale, che non conosce mediazioni, prendere e o lasciare.
Prendere prendere. Persino la genovese appare vicina allo stile napoletano, perchè in provincia spesso diventa pasta e cipolla. I mezzani hanno una cottura perfetta e noi ne godiamo.
Immenso il discorso del vino, ci siamo andati pesanti subito, con due 97 Taurasi, uno di Mastroberardino, fresco, potente, e uno di Terredora, con il frutto ancora bene in evidenza. In questi casi mi piace bere un bicchiere a stomaco vuoto, mi piace sentire il vino che mi apre la fame, chiude l’ansia e si spinge sino alle gambe e alla braccia rilassandoti completamente. E deve essere un rosso potente, come il cibo che so che mi aspetta.
Con Dionisio, oste della malora e della buonora, mi sono sempre divertito a tavola. Ha un gesto familiare e consolatorio: quando ti porge il piatto è come se lo togliesse lui davanti. Proprio così, pensi che gli farebbe piacere prenderlo in cura. In sala lui è accompagnato dal figlio Matheus, anche lui preparato e ricco di esperienza, il futuro di questo posto è in buone mani.
Visita al frantoio, proprio come accadde 11 anni fa, tra Montevetrano 2002 e grappe bianche ormai fuori moda, magnum di Banfi e di Barolo, vorresti subito ricominciare e capisci quanto sia sbagliata la decisione di andarsene. La cantina è di quelle serie perchè già una passione del padre. Ma lasciate che sia lui a scegliere il vino. Vi può capitare un Moscato di Baselice di Santiquaranta con il produttore al telefono :-)
Sui 40 euro per godere senza ritegno.
L’ARTICOLO DI NICOLA MATARAZZO DEL 2011
Cosa si mangia a Casa di Dionisio a Ceppaloni
L’ARTICOLO DEL 2011 QUANDO SI CHIAMAVA RETE
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