Ebbene si, ieri c’è stata tanta emozione nello studio dove abbiamo trasmesso la diretta che chiude l’edizione 2022 di 50 Top Italy. L’emozione di incontrare l’Italia ottimista e laboriosa, creativa e straordinaria, che funziona, nonostante tutto. Nonostante la burocrazia, i controlli spesso vessatori, i divieti durante la Pandemia, la quasi assenza di turisti di altri continenti, tutti i protagonisti hanno resistito, hanno usato il tempo di chiusura per studiare, approfondire menu, progettare ristrutturazioni e nuove aperture.
Perché, vedete, la motivazione più forte di noi che ci occupiamo di vino e cibo (scusate se lo scrivo in italiano) non è solo il piacere di provare e scoprire tanti vini e tanti piatti buoni e buonissimi. Quello che spinge ad andare avanti, per esempio tenere aperto questo blog diario dal gennaio 2004, è proprio la possibilità di raccontare l’Italia che affronta e supera le crisi: quella del metanolo del 1986, delle Torri Gemelle del 2001, la catastrofe finanziaria del 2008-2009. Chi frequenta il Vinitaly da decenni sa che quando si entra a VeronaFiere è come attraversare lo specchio di Alice: famiglie al lavoro, aziende lanciate nell’export, lavoro per grafici, allestitori, comunicatori, produttori di machinari, pali per le vigne. Un mondo che si muove in modo opposto ai precetti bocconiani che sono tre: 1) lauto stipendio al manager che deve rimettere a posto un’ azienda; 2) licenziamento dei dipendenti visti come costo e non come risorsa; 3 ) vendita del marchio a una multinazionale o a un fondo e bonus sulla plusvalenza.
Invece le aziende del vino e del cibo (ancora in italiano, sono antico) hanno investito proprio sul capitale umano, hanno superato la incredibile tempesta del 2020 e del 2021 che i fasci No Vax ci vorrebbero far rivivere perchéè in ogni corpo sociale c’è sempre una componente irrazionale, una foga distruttrice a prescindere, come sui social del resto. Si investe sui tempi lunghi in una vita di sacrifici, di ansia sui conti, avendo il coraggio di cercare sempre il meglio sui prodotti, interpretare la tradizione dura e pura come cercando di creare nuove cose. In questi anni abbiamo raccontato l’Italia vera, quella che produce ottimismo in un mare di settori in crisi che hanno prodotto rabbia sociale e rabbia contro il diverso. Settori inclusivi, che accolgono genti lontane e ne escono arricchiti perché da sempre la storia dell’umanità è storia di viaggi, scambi, emigrazioni di uomini e di merci, di cibi e di vini (e dagli…).
Ecco quello che mi passava per la mente ieri sera quando la trasmissione condotta da Federico Quaranta è entrata nel conto alla rovescia, viaggiando da est ovest, da nord a sud nelle cento eccellenze della cucina italiana. Ovunque ottimismo, storie di resilienza vincenti, storie di nuovi progetti e di creatività.
Giornalismo è raccontare, fotografare, sempre restando un pelo sotto a chi si racconta o chi si fotografa mentre nel settore enogastronomico spesso l’ego di chi fa il giornalista o il critico diventa esso stesso argomento proposto alla lettura o alla visione.
Giornalismo è anche dare un giudizio dopo aver messo i lettori in condizione di valutare tutto il possibile, e questi giudizi possono essere fallaci o non condivisibili. Ma l’importante è che le regole del gioco siano chiare: ecco perché noi abbiamo sempre scelto un presentatore professionista al posto nostro nelle dirette, da Paolo Notari a Federico Quaranta. Non sono un costo, sono una grande risorsa, perché ciascuno deve fare il proprio lavoro e non c’è nulla di più sbadiglioso e noioso vedere da anni il critico che diventa protagonista di una presentazione più noiosa di una messa ortodossa in cui i protagonisti dovrebbero essere loro, produttori, pizzaioli e ristoratori che si avvicinano al presentatore come le ombre dell’Ade alla spada di Ulisse.
Una risorsa perché poi i risultati sui social si vedono e sono palpabili, immediatamente misurabili, per noi e per le aziende che ci sostengono.
Non so gli altri, ma noi non abbiamo mai avuto dai marchi l’indicazione di chi premiare e chi non premiare. Abbiamo interlocutori che guardano lungo, che sanno benissimo che il progetto vince se è lontano da questi maneggi e, vi assicuro, solo la carità di Patria ci impedisce di far notare quanto avviene in altri casi anche perchè non regalo pubblicità a chi sta affondando. Le aziende di 50 Top sanno che il loro benessere viene dalla espansione del progetto, in un giusto e sano rapporto fra pubblicità e scelte redazionali e sappiamo che la prima volta in cui cederemo in questa direzione, o alla suggestione delle amicizie e delle inimicizie, sarà l’inizio della nostra fine, come lo è stato, a livello prima di reputazione poi anche commerciale, per alcuni.
Soprattutto nel mondo pizza, decisamente vivace, tanti sono i racconti di fantasia, soprattutto da parte di chi è scontento o di chi si sente intoccabile, ma basta una disamina attenta per vedere che per entrare nelle classifiche e per scalarle la condizione non aiuta usare i prodotti delle aziende che ci sostengono. Se lo facessimo saremo comunicatori e non giornalisti e critici e, ripeto, sarebbe l’inizio della fine del progetto. E chi lo fa perchè pensa questo vuol dire che non è un buon artigiano.
Un progetto ormai giunto al quinto anno che ha l’ambizione di far raccontare l’Italia dagli Italiani, senza provincialismi ma con la consapevolezza che la forza dell’Italia è proprio il suo campanile, la sua identità, la sua tipicità che varia da regione a regione e che fa del nostro Paese un luogo straordinario dove vivere di pizza, di cibo e bere vino e birra.
E raccontare l’Italia fuori dal’Italia.
Ha l’ambizione di farlo senza il peso struggente della carta, che appesantisce i costi al punto che ormai spesso chi fa schede lo fa in modo simil gratuito il più delle volte. Noi preferiamo dare risorse a chi gira in anonimato e paga i conti, ai tecnici piuttosto che ai distributori e alle tipografie.
E questa è stata la nostra scelta vincente, di contenuto e di metodo, in un momento pandemico storico che ha cambiato completamente le carte in tavola premiando che è stato flessibile.
Ovviamente le nostre scelte sono opinabili, errori se ne fanno perché chi non fa sbaglia. Per fortuna c’è un giudice neutro: il mercato dei lettori e dei clienti, i nostri unici veri padroni.
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