di Raffaele Mosca
Il modello è quello di una piccola Via Crucis, ma le stazioni sono cinque, ad ognuna corrisponde l’ assaggio di un vino di un decennio diverso, e con l’occasione si ricorda anche qualcosa che è successo in quel periodo nel mondo del vino e non solo. In questo modo del tutto originale Antinori, ovvero una delle griffe che più hanno contribuito al passaggio dell’Italia da nazione produttrice di uve e di e sfuso generico a leader mondiale anche sotto il profilo qualitativo, festeggia l’anniversario dei 50 anni dal primo rilascio del suo vino più emblematico.
Tignanello è un nome che tutti conoscono: dal neofita quasi astemio al collezionista. Un vino-icona, parte di una prima ondata di etichette pionieristiche che parlavano toscano con una chiara inflessione francese: “ Vini che ci hanno permesso di superare quel complesso d’inferioritá che avevamo nei confronti dei cugini d’oltralpe” spiega Renzo Cotarella, amministratore delegato di Marchesi Antinori. Bottiglie coraggiose anche per il posizionamento: la prima annata, ovvero la ‘71 commercializzata nel 74’, aveva un prezzo al dettaglio di 2200 lire, contro gli 800-850 di un generico Chianti Classico.
Con un evento per pochi intimi si è voluta ripercorrere la storia di un vino con un target ampio e variegato. Tignanello fa della reperibilità uno dei suoi punti di forza, con circa 330.000 bottiglie che arrivano sugli scaffali ogni anno. Anche grazie questo rapporto tra capillarità nella distribuzione e costanza qualitativa ha raggiunto lo status di “blue chip”: ineguagliabile per volume di scambio su indici come il Liv-ex, la grande borsa del vino mondiale; primo tra gli italiani e tra i primi nel mondo nel segmento dei vini d’investimento, con una crescita a tripla cifra delle quotazioni per le annate più importanti nell’ultimo decennio.
E il paradosso in tutto questo è che se ne potrebbe parlare un vino da vigneto singolo, o perlomeno da singola collina, sita nell’agro di San Casciano in Val di Pesa, il comune più a nord del Chianti Classico; piantata per l’80-85% a Sangiovese e per la restante parte a Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc. Percentuali in linea con quelle contemplate dal disciplinare del Gallo Nero: “ Ma per noi la quota di vitigni internazionali ha un’influenza troppo rilevante e non ci permette di chiamarlo Chianti Classico” aggiunge Cotarella. Da qui la decisione di rimanere fedeli al filone dei Supertuscans, seguendo l’impostazione dettata da Giacomo Tachis ed Emile Peynaud a partire dall’annata 1975. Prima di allora Tignanello era stato un tipico Chianti Classico alla maniera di Ricasoli, ovvero con saldo di uve bianche, e poi un Sangiovese quasi in purezza con una punta di Canaiolo.
La verticale
1978
Verdiana Rimbotti Antinori, figlia di Albiera Antinori e rappresentante della ventisettesima generazione, ci accompagna alla prima stazione per l’assaggio inaugurale. Lei non era ancora nata nel primo decennio di vita del Tignanello, ma sa bene che quelli sono gli anni in cui suo nonno Piero visita a più riprese Bordeaux, fa amicizia con Emile Peynaud, compra barrique di rovere di Troncais che sostituiranno le botti di castagno, assolda un tale di nome Giacomo Tachis, a cui verrà l’idea geniale di “sporcare” il Sangiovese con un pizzico di uve internazionali e di affinarlo in barrique per renderlo più appetibile per i connoisseur del tempo. L’annata è alquanto anomala: tra le poche siccitose in un decennio in cui pioggia e freddo non sono mancati affatto.
Il vino, però, evoca un calore assai più moderato rispetto a quello odierno: solo 13,10 gradi alcolici; naso che lascia emergere toni vegetali frammisti a humus, pellame, china e tabacco da pipa, un’idea lieve di legno di cedro che fa un po’ Bordeaux vecchia scuola. Sorso delicato ma non esile, con acidità ancora guizzante, qualche lampo fruttato sul fondo, soffi di pot-pourri e lavanda che scandiscono una progressione appena rustica, ma di straordinaria vitalità.
1983
Il decennio è cruciale per l’industria del vino. A livello internazionale, Robert Parker lancia una rivoluzione radicale del gusto del vino, ribaltando il giudizio della critica vecchia scuola sull’annata 1982 di Bordeaux, calda e generosa. In Italia il cambiamento procede a passo più lento, salvo poi mettere il turbo nel day-after dello scandalo del metanolo. L’epoca è anche quella della deregolamentazione, delle privatizzazioni craxiane. Insomma, lo scenario perfetto per l’exploit divini fuori dalle categorizzazioni territoriali per i quali un buyer inglese, David Gleave, conierà il nome Supertuscans.
Con l’83’ si entra in una nuova fase della storia del Tignanello e il vino sembra molto più in linea con le ultime annate rispetto al 78’. Più delicato all’olfatto, con accenni terrosi lievi che sposano mirtilli e fiori appassiti, mentolo, cola e un soffio di fumo aromatico. Il sorso è più ricco e avvolgente, forte di un frutto ancora intatto e di un tannino indomito che sostiene l’allungo elegante e posato, con accenni terragni e di torrefazione a completare. Una spanna sopra al precedente per equilibrio complessivo.
1997
Gli anni sono quelli in cui il vino italiano fa il grande balzo in avanti, con la nascita di dozzine di aziende che poi diventeranno “cult”, e la critica internazionale che comincia a rendersi conto della crescita dell’Italia anche al di là delle solite marche. È anche un periodo di prosperità economica a livello globale e di boom demografico; in sintesi, i tempi sono perfetti per un’annata di dirompente successo come la 97’. Osannata dalla critica, forte di un’immediatezza espressiva estrema dovuta ad un’estate piuttosto calda. Supertuscans e Brunello di Montalcino vanno sold out all’uscita, ma, a distanza di qualche anno, i giudizi entusiasti cominciano ad essere contraddetti. Qualche vino tira fuori note di evoluzione prematura a pochi anni dalla vendemmia; con il tempo ci si renderà conto che si trattava di un millesimo più adatto al consumo nel medio termine che ai grandi invecchiamenti.
Il Tignanello 1997, però, ha mantenuto integrità e freschezza. Il naso è curioso: quasi umami sulle prime, con soffi di alga nori e salsa di soia, poi accenti selvatici da Sangiovese perfettamente fusi a soffi floreali e balsamici derivanti dalla quota di Cabernet. Il palato convince ancor più del naso: c’è giusto un pizzico di dolcezza da rovere a fare da cornice al frutto intonso, quasi nessuna traccia di evoluzione e rimandi mentolati che danno ampiezza al retro-olfatto soave e cangiante.Ha almeno vent’anni di vita residua.
2004
Il decennio inizia con il boom economico legato all’introduzione dell’euro e si conclude con una crisi economica spaventosa, da cui, però, il mondo della
produzione vinicola è uscito rafforzato anziché fiaccato. La 2004 è nel mezzo e appartiene a una fase transitoria in cui i produttori italiani fanno di tutto di stare al passo con i tempi, ricercando una potenza estrattiva che serve per far fronte all’avanzata dei vini del nuovo mondo sullo scacchiere globale. “ Eravamo ossessionati dalla ricerca della ricerca della muscolarità – spiega Cotarella – temevamo che il vino potesse essere troppo leggero”.
L’annata, però, è stata molto equilibrata ed è anche tra la prime prodotte dai nuovi vigneti, impiantati con le migliori selezioni massali dal vigneto storico.
Per quanto muscoloso al limite dello statuario, il Tignanello 2004 non ha nulla fuori posto. Esuberante, con un lato mediterraneo di garriga e spezie assortite che fino a questo momento non era mai emerso, carcadè, liquore ai mirtilli e tostature a sottolineare la materia molto ricca. Il tannino è il più forzuto della cinquina, ma non
sciupa affatto l’equilibrio complessivo, anzi incalza e rende molto tonica una progressione giovanile, con un finale ancora carico di frutto. Vino di spessore ed ampiezza più che di finezza, ma con le credenziali giuste per essere immortale.
2013
Si riemerge dall’oscurità della cantina per degustare l’ultima annata del tour proprio davanti alla collina di Tignanello. In un decennio di grandi stravolgimenti sia in ambito agricolo che nella comunicazione del vino, con l’avvento dei social che cambia i riferimenti e l’avanzata del riscaldamento globale che spinge a ripensamenti, il Tignanello rimane fedele a sé stesso e consolida la sua posizione di fine wine da vino d’investimento, conseguendo grandi risultati sul mercato secondario.
Il Tignanello 2013 è frutto di un’annata molto solida, per quanto messa in ombra dai tanti millesimi leggendari del periodo: tra tutte 2015,2016 e 2019. Emerge un frutto molto ricco: confettura di more, susina nera, violetta ed eucalipto, giusto un inizio di evoluzione boschiva. Non ha la profondità del grandissimo millesimo, ma la piacevolezza è garantita tra acidità garbata, tannino ben assestato, ricchi rimandi fruttati e qualche soffio balsamico che allunga una chiusura golosa.
2021
Vino fuoriprogramma, servito a tavola dopo che Cotarella, per almeno tre o quattro volte nel corso del tour, aveva sottolineato come il 2021 fosse uno dei migliori Tignanello mai prodotti.
Il Tignanello 2021 rappresenta un po’ la quadratura del cerchio, forte di un corredo attraente e ben definito di confettura di gelsi e visciole, terriccio, viola mammola ed erbe spontanee, la parte animale del Sangiovese che fa capolino con l’areazione. Giovane si, ma estremamente espressivo,con spinta acidità notevole e tannini ruggenti che incalzano il frutto, finale coccolato ed amplificato dalla traccia sottile del rovere. Bordolese per stile infusivo e compassato, chiantigiano per verve. Da stappare alla celebrazione del centenario!
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