di Santa Di Salvo
C’era una volta la pizza. Gustosa, ma immobile nel suo giro locale fino agli anni Settanta. E c’erano quattro amici al bar. No, qualcuno in più. Erano 17, numero scaramantico, tutti appartenenti alle famiglie storiche di pizzaioli partenopei.
Allarmati per il dilagare delle grandi catene di fast food, irritati dall’uso improprio ma dilagante della parola “pizza”. Si riuniscono attorno al decano Vincenzo Pace e decidono di dare vita a una Associazione che chiameranno Verace Pizza Napoletana, per tutelare l’identità di un piatto che sta perdendo senso, storia e tradizione.
Capitanati da Antonio Pace, titolare di Ciro a Santa Brigida, si ritrovano nello studio del notaio Carannante in via Melisurgo e scrivono la Regola. Su un foglio di carta vergato a mano, depositano il primo Disciplinare internazionale che definisce nei dettagli la ricetta che, abbinata al marchio registrato, punta a salvaguardare il prodotto dalle imitazioni. Si parla da subito anche di corsi di formazione. E’ il luglio 1984. I maestri non ne sono ancora consapevoli, ma hanno avviato una rivoluzione silenziosa che trasformerà alle radici il mondo della pizzanapoletana con ricadute economiche rilevanti. Da alimento povero a patrimonio dell’umanità, solo in Italia oggi la pizza muove un fatturato di 15 miliardi, e se si considera l’indotto la cifra raddoppia. Certo, non tutto è “made in Naples”. Ma quel gruppo, quella data, sono davvero l’inizio di una nuova era.
C’era una volta la pizza, e per fortuna c’è ancora. Bello e giusto ripercorrerne la storia per capire quanta strada è stata fatta, in buona parte grazie all’AVPN, l’Associazione che oggi compie quarant’anni.
“Non me l’aspettavo, non ci speravo. Pensavamo di fermarci alle porte del Sud. Quando inaugurammo la prima pizzeria in Francia eravamo emozionati come ragazzini. E oggi invece siamo presenti in 58 paesi, stiamo conquistando la Cina e il Sudamerica, andiamo fortissimo soprattutto in Brasile, in Argentina e in Cile”.
Antonio Pace la racconta a modo suo, è un pezzo di storia della nostra tavola di tradizione che rivive nei dettagli. Due gli articoli dello Statuto che gli sono particolarmente cari.
“Primo: la pizza appartiene alla città di Napoli. Secondo: dobbiamo insegnare l’arte del pizzaiolo napoletano anche all’estero. Non bisogna avere paura che ce la rubino. Lo farebbero lo stesso e male, invece così sapranno farla nel modo giusto”.
Nascono nei primi anni Novanta i corsi di formazione per pizzaioli professionisti.
“Il debutto all’Alberghiero Cavalcanti in via Manzoni. Nove banchetti, un banco grande per il docente e alle spalle il forno per le pizze. Corso dopo corso, i maestri pizzaioli hanno formato circa duecento allievi all’anno. E siamo partiti con la prima grande avventura negli Stati Uniti, con la scuola di formazione inaugurata a Los Angeles dal nostro presidente locale Peppe Miele”.
Oltre a esaminare la conformità al disciplinare degli associati, il comitato tecnico dell’AVPN comincia ad analizzare anche le caratteristiche organolettiche dei prodotti. Da qui nasce un approccio tutto nuovo alle materie prime da utilizzare per il topping.
“Il pomodoro San Marzano era praticamente scomparso alla fine degli anni Ottanta. La nostra battaglia sul marchio Doc, avviatain un convegno nel febbraio del 1989 all’Excelsior, servì anche a rivitalizzare una produzione in via di estinzione. Ricordo ancora il lungo servizio che la Bbc dedicò a questo tema”.
Così è stato per l’olio extravergine d’oliva, che non veniva utilizzato sull’impasto della pizza perché considerato “troppo grasso”. Così infine per la mozzarella di bufala, sdoganata solo in anni recenti al posto del fiordilatte.
“Siamo stati proprio noi a Santa Brigida a usarla per primi allafine degli anni Sessanta, quasi una sperimentazione dopo il premio Pizza d’Oro che si tenne alla Mostra d’Oltremare”.
A mettere in “scientifichese” il Disciplinare dei maestri pizzaioli ci pensò poi Carlo Mangoni, docente di Fisiologia della Nutrizione alla Federico II, con una commissione di espertinominata dall’allora sindaco Antonio Bassolino.
E’ la codificazione definitiva delle regole dettate dai vecchi maestri,e viene presentata nel luglio del 1997 alla Camera di Commercio per ottenere il marchio Doc.
“Non è stato facile. La guerra ce l’hanno fatta soprattutto gli altri, le grandi catene e i ristoratori del Nord. Anche qualcuno dei nostri che voleva primeggiare in proprio. Invece, proprio oggi che la cucina napoletana sbaraglia le classifiche americane come la migliore al mondo, è ancora più necessario vigilare perché una delle sue componenti principali resti l’anima verace di questa città. La pizza non ha inventori, è il frutto della genialità del popolo napoletano”.
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