di Giovanni Ascione*
Se proprio devo riportare a dieci i miei vini del cuore del 2008, non ho dubbi. Scelgo quelli con una storia, con un’anima che va oltre, ben oltre la semplice perfezione degustativa. Vini che hanno dietro le spalle e nelle vene un territorio vero, vitigni che lo esprimono appieno e, soprattutto, una passione ed un’onestà intellettuale cristalline da parte di chi li fa. Ecco perché, più che parlare di vini, forse finirò per parlare di persone, con tutta l’imparzialità di questo mondo e tutto lo sfacciato trasporto di chi ha amato, ricorda e ricorderà per sempre quei particolari momenti di assaggio. Il 2008 è stato anche l’anno in cui ho viaggiato meno per vino, causa la dolce attesa prima, e la nascita poi, di Angela. Ci rifaremo presto, aggiungendola alla compagnia ed andando a caccia di altri angoli di territorio, vini, storie ed emozioni. Scusate le chiacchiere, veniamo al dunque.
Ah, ovviamente l’ordine è del tutto casuale e risponde al puro riemergere spontaneo dei ricordi.
Champagne Rosé Grand Cru Brut Egly-Ouriet
é stato il vino per i festeggiamenti della nascita di Angela. Il frigo-bar della Malzoni di Avellino ne è stato riempito e le sue bellicine rosa hanno degnamente accolto la piccola. Scelto non a caso. Proviene da una delle più serie aziende champenoise, tra le poche in grado di mettere d’accordo tanto i fautori dei rasoi trilama quanto quelli della cremosità. Questo vino, poi, è una delle più alte espressioni del genere, in grado di farsi bere a tutto pasto con un’impressionante messe di abbinamenti possibili, ad ulteriore e definitiva conferma delle doti da vino vero, e non certo semplice aperitivo, che hanno le migliori bollicine francesi.
Ambruco 2006 – Terre del Principe
Non ho molto per spiegare il mio rapporto con Peppe e Manuela, se non dire che mi ci sento praticamente fratello. Dunque, il ritorno ai Tre Bicchieri in tempi così brevi mi ha semplicemente e letteralmente commosso, almeno quanto il vino. Austero, intenso, eppure elegante e di grandissima bevibilità. Non solo un inno ad uno dei vitigni autoctoni italiani dalle potenzialità più elevate in assoluto, ma anche e soprattutto un elogio alla testardaggine, alla passione, all’amore per il mestiere del vignaiolo vero.
Erta dei Ciliegi 2007 – Viticoltori del Casavecchia
Oscar regionale qualità-prezzo per il Gambero Rosso, il meritatissimo riconoscimento ad una cantina pulita, seria, seriamente impegnata, da sempre inspiegabilmente sconosciuta ai mercati. Il lavoro di Battista Perrone, semplicemente il più bravo responsabile di cantina che abbia mai incontrato, e di Alfonso Cutillo va oltre la semplice valorizzazione del Casavecchia in tutte le salse, affonda le radici nella tutela di un patrimonio ampelografico con pochi altri paragoni, ricco di piante centenarie a piede franco. L’Erta è la cosiddetta etichetta base, un’esplosione di frutto e di ricchezza senza sbavature, sempre con un equilibrio da grande vino.
Catarratto 2007 Centopassi
Di nuovo, lascio a casa tutte le imparzialità ed eleggo questo vino come uno dei più emozionanti dell’anno. Proviene dai terreni confiscati alla mafia nell’alto belice corleonese, da vigne di oltre vent’anni piantate su terreni rossastri e pietrosi ad oltre cinquecento metri di altezza, con punte di settecento. E’ l’opera di un gruppo di giovani straordinari, sereni, umili, ma decisi ed ostinati quanto basta per riportare delle terre violentate ed umiliate dall’arroganza di alcune bestie a nuova dignità. Questo Catarratto non è soltanto un simbolo, è anche (e, direi, soprattutto) un vino buonissimo, come pochi altri tra i bianchi siciliani.
Jurançon Cuvée Marie-Kattalin 2004 Domaine de Souch
Yvonne Hegoburu ha cominciato a piantare le vigne a sessant’anni, cioé 23 anni fa, alla morte dell’amatissimo marito. Lo ha fatto così, solo per ricordarlo, oltre che per darsi un impegno di lungo periodo che la aiutasse a vivere. Non ha eredi, lavora ancora tutto il giorno in vigna, è biodinamica vera e sincera, ma soprattutto fa vini incredibili. é diventata famosa anche perché era tra i principali personaggi di Mondovino, simbolo di una viticoltura eroica e resistente. Siamo in una regione bellissima, tra i Pirenei e l’Atlantico, dove si fanno vini che per eleganza battono in media la stragrande maggioranza dei Sauternes. Come questa cuvée speciale, un inno all’equilibrio ed alla bevibilità, praticamente impossibile da trovare in Italia. Ma, perdonate la banalità, vale il viaggio andarla a comprare là.
Brauneberger Juffer Sonnenhur Riesling Spätlese 2006 Fritz Haag
Adoro la Germania, adoro visceralmente i suoi grandi Riesling, da tempi non sospetti, ben felice della crescente moda che li vede alla ribalta. Wilhelm Haag è semplicemente un grande. Fa vini straordinari, che come pochi altri sanno trovare il perfetto equilibrio tra la durezza minerale dei luoghi e la dolcezza della mano dell’uomo, ma è soprattuto egli stesso una forza della natura, sempre acuto e brillante. Indimenticabile nel suo gesto di sgranocchiare le lastre sottilissime di ardesia blu che ricoprono i suoi vigneti. Questo Spätlese racconta della grandezza del Riesling più di mille parole, con naso di roccia, susina e gelsomino e bocca letteralmente infinita.
Château d’Yquem 1967
Ho avuto la fortuna di berlo altre due volte. Un capolavoro, il miglior Yquem degli anni sessanta ed uno dei primi cinque del secolo, giovane come non mai, pronto a sfidare e battere la soglia del secolo di vita. Attenzione a non considerarlo un vino dolce, perché ormai lo zucchero residuo si è perfettamente integrato alla struttura portante del vino e qualunque tipo di classificazione diventa improponibile. Ecco perché l’abbinamento è con portate principali, magari di carne, perché no con un maialino o perfino con un piccione. Anche qui la storia di un grande personaggio, Pierre Lurton. Amato da pochi, odiato da tanti, ha saputo tenere fermo il timone anche dopo la fuoriuscita della famiglia Lur Saluces, rispettando appieno tuttta la tradizione di Yquem ed evitando di farlo scivolare nell’opportunismo commerciale. Un grande onore averlo conosciuto.
Cahors Vignes Centenaires 1985 Clos de Gamot
Siamo nel regno del Malbec, quello vero, sulle sponde del fiume Lot, un po’ di chilometri all’interno di Bordeaux. L’azienda è considerata un matusalemme in rovina dai più. La famiglia Jouffreau si rifiuta di cedere alla tecnologia, mai abbassando le rese e rimanendo così alla mercé dello stile di una volta e di un mercato che ormai non li accetta più da tempo. Eppure le loro vigne sono le migliori ed i loro Cagors, nelle buone annate, hanno un’eleganza ed una bevibilità di gran livello. Come il loro 85, frutto di sole piante ultracentenarie. Terra bagnata, lieve goudron, sottile cuoio, rose fresche e spezie all’infinito annunciano una bocca tanto fine e leggera quanto persistente, per decine di minuti. Forse il miglior rosso bevuto nell’anno (qualche borgognone mi perdonerà). Un’emozione infinita e, purtroppo, di difficilissima replicabilità.
Willamette Valley Pinot Noir Reserve 1999 The Eyrie Vineyards
Non é per snobismo se inserisco un Pinot Nero non borgognone, anzi. è per prondissimo rispetto noi confronti dei suoi archetipi. Trovo che fermarsi a degli schemi non sia mai utile, men che mai nel vino. Assaggiare (o riassaggiare, come mi è successo quest’anno) uno dei migliori vini dell’Oregon e trovarlo elegante, intenso, espressivo, complesso proprio come uno Chambertin (non dirò di Rousseau per non farmi bruciare la casa da qualche amico integralista) è una delle sorprese più belle che si possano avere. Senza mettere in discussione niente, senza negare la grandezza e l’esempio della Côte d’Or. Frutto della visione di un grande, David Lett, il primo che ebbe l’intuizione di piantare barbatelle di Pinot Nero in quei terreni così vocati nel 1966. Poi, nell’80, una vittoria secca in una degustazione alla cieca a Beaune con tutti Grand e Premier Cru ed il coraggio di tirare avanti. David Lett, purtroppo è venuto a mancare nel 2008.
Madiran La Tyre 2005 Château Montus
Alain Brumont è una sorta di Gaja francese, dotato della sua stessa capacità imprenditoriale e della sua rara forza. Ma, a differenza del nostro, opera in una denominazione considerara minore, Madiran (il regno del vitigno Tannat); denominazione che non solo non ha mai aìbbandonato, ma che ha protetto e valorizzato più di tutti, favorendo la crescita degli altri e contribuendo a creare una sorta di isola felice in cui tutti si vogliono bene e tutti riescono a vendere fino all’ultima bottiglia il loro vino. La Tyre è uno dei suoi tanti supervini, con una concentrazione elevatissima, ma anche con una sorprendente scorrevolezza; frutto frutto, tanto legno, ma poi anche tanta freschezza. Per invecchiamenti lunghissimi. Non è teoricamente il mio stile, ma è un vino che ho sinceramente amato. Ah, da ricordarsi che se si va da quelle parti (Lourdes o Biarritz non sono lontane) la visita è d’obbligo, perché si tratta di una delle cantine più belle che abbia mai visitato.
Auguri a tutti per un felice 2009, ricco di tante, emozionanti bevute con persone care.
*L’autore è relatore ai Corsi Ais e collaboratore di Bibenda
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